Relazione annuale

Le attività di ricerca svolte dai/dalle dottorandi/e sono sinteticamente descritte nel seguito, così come autocertificato e verificato nel corso della loro presentazione annuale.

Maria Carla Ciacchella
Sintesi dell’inibitore con approccio green in collaborazione con il Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Perugia
In questa fase della ricerca si è conclusa la sintesi green dell’inibitore di cristallizzazione salina. Per giungere al prodotto inibitorio ideato è stato necessario operare la fosforilazione dell’acido citrico, ovvero la sostituzione di un gruppo idrossilico con un gruppo fosfato (PO43-) per il rafforzamento dell’intensità di carica negativa per una migliore interazione con i cationi del sale. Durante questo anno ci si è concentrati sulla reazione di idrogenolisi. A partire dall’intermedio di reazione – ottenuto lo scorso anno - e adoperando un catalizzatore solido metallico commerciale palladio su carbone al 10 %, si sono rotti i due legami rimasti O-CH2-benzile per giungere al prodotto finale in soluzione acquosa.
Studio dell’efficacia dell’acido citrico (AC) come trattamento superficiale
Prove di cristallizzazione con soluzioni di Na2SO4 su campioni di calcestruzzo trattati superficialmente con inibitore di cristallizzazione (AC)
I campioni di calcestruzzo sono stati prodotti con cemento CEM II/B-LL32,5 R (UNI EN 197-1:2011) e sabbia silicea mista di fiume GRAS CALCE con curva granulometrica garantita e densità apparente > 2600 kg/m3 - marcatura CE EN 12620. Si è scelto di non aggiungere additivi in modo da limitare le variabili. Il rapporto acqua/cemento è stato mantenuto a 0,55; un valore elevato che permette di sviluppare una porosità maggiore. Il rapporto legante: aggregato è stato fissato a 1:2 in volume. Il calcestruzzo fresco è stato confezionato in provini prismatici gettando l’impasto in casseforme di ghisa calibrate secondo la norma UNI EN 12390-1. I provini sono stati rimossi dallo stampo dopo 24 ore e stagionati a temperatura ambiente in acqua distillata per 28 giorni. La caratterizzazione chimica dei campioni è stata effettuata mediante analisi termica e diffrattometria a raggi X, mentre la porosità è stata calcolata mediante picnometro a elio. È risultata una densità pari a 2.2644 ±0.0009 [gr/cc] ed una porosità connessa di 11.0887 ±0.0717 [%]. Gli esperimenti di cristallizzazione sono stati condotti su campioni di dimensioni 2x2x12 cm. Al fine di osservare l’abito delle specie cristallizzate all’interno della matrice porosa, un campione per gruppo è stato ulteriormente diviso in 3 sezioni e sottoposto a test di cristallizzazione. Prima dei test, ogni campione è stato essiccato in stufa a una temperatura di 60 °C fino a raggiungere un peso costante. Le concentrazioni delle soluzioni acquose di inibitore (AC) utilizzate sono 5.46*10-6 M, 5.46*10-5 M, 5.46*10-4 M. Ogni esperimento è stato condotto utilizzando tre serie di tre campioni, ciascuno trattato con differenti concentrazioni e una serie di riferimento. Ciascuna soluzione di inibitore è stata applicata a pennello sui campioni fino al rigetto. Al termine, i campioni sono stati collocati in camere climatiche a temperatura e umidità controllate e lasciati essiccare per circa una settimana. Ogni campione è stato posto verticalmente all’interno di un cristallizzatore contenente 50 mL di soluzione salina (99 g/L Na2SO4), che è stato poi sigillato lateralmente con parafilm per evitare l’evaporazione della soluzione e per favorire la risalita capillare di quest’ultima attraverso il materiale poroso. Gli esperimenti sono stati eseguiti in condizioni di temperatura e umidità relativa controllate (rispettivamente, 21 ± 2 °C e CaCl2 33 ± 5 %) in camere climatiche di 30 x 35 x 40 cm a chiusura ermetica. La velocità di evaporazione della soluzione salina attraverso la superficie di ciascun campione è stata determinata valutando la variazione di peso del sistema composto da campione-soluzione-cristallizzatore a vari intervalli di tempo. I risultati ottenuti sono graficati come curve di assorbimento capillare che rappresentano il flusso della soluzione salina attraverso la superficie esposta del provino. La velocità di evaporazione è minima per i campioni di riferimento e massima per la serie trattata con la soluzione 10-5 M di AC. Ne deriva un’efficacia del trattamento nell’inibizione della formazione dei cristalli di sale all’interno della matrice porosa. Inoltre, come evidenziato dalle micrografiche SEM, l’acido citrico svolge la sua azione inibitoria anche tramite la modifica della morfologia dei cristalli. Infatti nel campione non trattato con AC si rileva la presenza di ettringite secondaria, responsabile di fenomeni espansivi nel conglomerato cementizio, in forma aciculare e massiva. La stessa assume un abito sferico o non espansivo nei campioni trattati con la soluzione inibitoria alla concentrazione 5.46*10-5 M.
Analisi del comportamento all’onda di campioni di calcestruzzo trattati con inibitore (AC) e sottoposti a cristallizzazione con acqua di mare
Sono stati confezionati tre campioni di calcestruzzo - con la stessa formulazione sopra descritta - in parallelepipedi a base rettangolare di dimensioni 30x40x3 cm utilizzando casseforme in legno. I provini sono stati rimossi dalle casseforme dopo 24 ore e sono stati fatti maturare a temperatura ambiente in acqua distillata per 28 giorni. Un campione (WHT) è servito come bianco ed è stato sottoposto alla procedura in acqua distillata. Il campione (REF) ha rappresentato il controllo, mentre (ACT) ha ricevuto una preventiva applicazione di trattamento superficiale sino al rifiuto con una soluzione di acido citrico 10-5 M, risultata la concentrazione ottimale negli esperimenti precedentemente condotti. Ad una fase di precondizionamento in stufa a 60 °C, fino al raggiungimento del peso costante, è seguita una procedura di cristallizzazione composta da 30 cicli di 16 ore di essiccamento e 8 ore di bagnatura per immersione totale in una soluzione ternaria composta da 3 (99 g/L Na2SO4) : 1 (99 g/L NaNO3) : 1 (85 % NaCl – 11 % MgCl2 – 4 % MgSO4 – 1 % CaCl2 - 0. 5 % KCl), che riproduce la composizione dell’aria presente nelle zone costiere e accelera efficacemente il fenomeno della cristallizzazione. È stata poi condotta una campagna sperimentale sull’interazione dei provini con il moto ondoso marino mediante il flume costruito presso il “Laboratorio di costruzioni idrauliche” del DICEA. Le misure nel canale di simulazione del moto ondoso hanno permesso il calcolo del coefficiente di riflessione dei provini utilizzando il metodo Goda-Suzuki, due sonde di livello posizionate in prossimità del provino, e il metodo Mansard-Funke, che richiede l’utilizzo di tre segnali di livello. La caratterizzazione degli stati del mare è stata basata sulle caratteristiche del clima ondoso tipico del Mar Mediterraneo occidentale. Indagini acustiche sono state condotte in tre fasi distinte: dopo l’indurimento del cemento senza alcun trattamento specifico, dopo la procedura di cristallizzazione, e al termine della simulazione del moto ondoso marino. In ogni fase i campioni sono stati essiccati fino a raggiungere un peso costante per garantire che l’acqua non influenzasse i risultati del test acustico. Per ciascun campione sono state effettuate otto misurazioni per le onde P e otto per le onde S. Il picking delle onde è stato eseguito con un apposito codice realizzato in Python. Due risultati in particolare meritano discussione. A seguito dei cicli di bagnatura e asciugatura, tutti i campioni hanno mostrato aumenti dei valori di Vp, Vs, Vp/Vs e del modulo di Young (E). Questo fenomeno potrebbe essere spiegato dal contributo del silicato di calcio idrato (C-S-H) nel cemento all’aumento delle proprietà elastiche durante la stagionatura prolungata. Tuttavia, questo incremento è significativamente inferiore nel campione WHT rispetto ai campioni immersi nella soluzione salina. A questo notevole spostamento può aver partecipato la parziale restrizione della porosità dovuta alla precipitazione dei cristalli di sale all’interno del campione. La presenza di sale (velocità di propagazione superiore a 7 km/s) può aver sostituito l’aria all’interno dei pori (velocità di propagazione di 330 m/s), portando a un aumento di tutti i valori calcolati. Il ridotto incremento in ACT rispetto a REF dimostra l’efficacia dell’inibitore sulla cristallizzazione dei sali presenti nella soluzione utilizzata. A seguito della simulazione del moto ondoso marino, i campioni mostrano una proporzionale diminuzione di E che dimostra che il precedente aumento in seguito all' attività di cristallizzazione era fuorviante. In realtà, non si è verificato un vero e proprio aumento della compattezza del materiale poroso, ma solo l’occlusione dei pori da parte dei cristalli di sale. Un ulteriore risultato merita attenzione. Durante le simulazioni del moto ondoso, la parte superiore del campione di calcestruzzo ha subito l’impatto e l’infrangersi delle onde mentre quella inferiore ha sopportato le sollecitazioni subacquee causate dal moto ondoso senza rottura delle onde. In termini di valori E, questa distinzione ha prodotto risultati diversi. I valori del modulo di Young sono diminuiti maggiormente nella zona di impatto delle onde (N) rispetto alla zona di stress subacqueo (S). Questo evidenzia la maggiore vulnerabilità della zona di impatto delle onde, indicando che essa subisce un indebolimento più pronunciato rispetto alla zona di sollecitazione subacquea. Il comportamento dei campioni REF, ACT e WHT conferma quanto sopra.
Incorporazione dell’inibitore di cristallizzazione (AC) nel mix cementizio
Questa fase della ricerca è stata articolata – parallelamente su miscele additivate e non di inibitore a diverse concentrazioni – in 4 attività distinte:
1) Produzione di provini: si è mantenuto la stessa formulazione cementizia (vide supra) in modo da minimizzare le variabili. All’acqua di impasto sono state aggiunte 0.01 %; 0.02 % e 0.04 % (pari a 5.21*10-4 M; 1.04*10-3 M; 2.08*10-3M, rispettivamente) di AC nella fase di miscelazione. Come nelle altre prove, un impasto è stato realizzato con sola acqua distillata e ha rappresentato il riferimento. La scelta delle concentrazioni è stata operata in funzione della letteratura. Molti autori infatti (Kastiukas et al., 2015; Khalil, 2008; Möschner et al., 2009; Kadhim et al., 2017) consigliano di non superare l’1 % in peso di CA rispetto al cemento per assicurare buone resistenze meccaniche.
2) Studi reologici e di idratazione sull’impasto nella fase di presa: l’indagine tramite calorimetria a conduzione isotermica ha dimostrato uno spostamento dell’on-going set point all’aumentare della concentrazione di CA rispetto al campione di controllo. Esistono diverse teorie sul meccanismo di ritardo indotto da CA, ma quelle principali prendono in considerazione l’effetto chelante con gli ioni di Al, Si, Ca e Fe e l’assorbimento sulla superficie dei grani. Un terzo meccanismo ipotizzato, legato alla dissoluzione dei grani di clinker, è attualmente oggetto di ricerca e i risultati saranno prossimamente discussi. Le relative curve cumulative suggeriscono un’inibizione della reazione la cui entità è nuovamente proporzionale alla concentrazione di AC nell’acqua di impasto.
3) Prove meccaniche sul cemento indurito al termine dei 28 giorni di cura. La resistenza a flessione dei provini diminuisce in funzione del contenuto di AC. Questo potrebbe essere dovuto ad una più labile interfaccia microstrutturale con i grani o, in alternativa, alla formazione di idrati con differente resistenza. Contrariamente, la difficoltà nel riconoscere un andamento tra serie differenti nelle resistenze a compressione lascia supporre che nel calcestruzzo l’influenza di AC alle concentrazioni scelte non è influente, poiché non viene modificata significativamente la struttura porosa che si viene a creare nel calcestruzzo al termine della fase di stagionatura. Lo stesso si può dire per i sorptivity test.
4) Test di cristallizzazione accelerata: in assenza di test di cristallizzazione standardizzati, si è scelto di trattare i provini secondo la nuova procedura RILEM TC 271-ASC, attualmente in studio e sino ad ora testata solo su pietre, malte e mattoni, che sarà successivamente normata e adottata. Questa si caratterizza per la divisione in due fasi: una prima di accumulo della soluzione salina ed una seconda di propagazione. In funzione del sale scelto come contaminate (Na2SO4o NaCl), si effettuano differenti cicli che prevedono continue variazioni della temperatura e dell’umidità a cui sono esposti i provini e delle fasi di riassorbimento. Le procedure hanno una durata totale di circa tre mesi e i campioni sono attualmente nella fase di propagazione.
Concretto
I campioni di calcestruzzo prelevati durante il sopralluogo presso il Grande Cretto di Gibellina – Caso Studio – sono stati caratterizzati principalmente con tecniche di risonanza magnetica nucleare. Lo studio è stato rivolto alle proprietà fisiche e alle conseguenti interazioni soluzione acquosa – matrice porosa. Mediante NMR ad alto campo (9.4 T) è stato realizzato un sezionamento virtuale del campione in modo non distruttivo con acquisizione di immagini ad alta risoluzione (10 μm). Il contrasto d’immagine è stato ponderato su vari parametri fisici come i tempi di rilassamento (T1, T2 e T2*) e il coefficiente di diffusione (D). Si è, inoltre proceduti alla misurazione dei parametri T1 e T2 per ottenere la distribuzione delle dimensioni dei pori, nonché informazioni sulla dinamica e la mobilità delle molecole d’acqua presenti sia in forma liquida che di vapore e/o dei protoni che interagiscono con altri componenti del campione. Mediante lo studio del coefficiente di diffusione dell’acqua confinata è stato possibile calcolare parametri quali la tortuosità, una proprietà intrinseca dei materiali porosi che riflette il grado di connettività dei pori. L’analisi ha rivelato l’assenza di una via d’accesso preferenziale con un 8 % di anisotropia in Dz e Dx. Analisi porosimetriche ad intrusione di mercurio (MIP) sono state eseguite sugli stessi campioni per corroborare i dati. Immagini al SEM sono state acquisite per lo studio della morfologia dei pori.

Giuseppe Pelliccione
Limitazioni dei modelli di linea multi-conduttore nel dominio modale
Sono state analizzate le principali limitazioni dei modelli di linea multi-conduttore nel dominio modale, con particolare riferimento al problema della diagonalizzazione del prodotto di matrici [𝑌′][𝑍′] per disposizione dei conduttori di fase con piano di simmetria verticale, e alla scelta della frequenza di calcolo dei parametri di linea e delle matrici di trasformazione modale. In particolare, non sono stati rilevati problemi di diagonalizzazione del prodotto di matrici [𝑌′][𝑍′], per le tipologie di linee aeree unificate Terna per i livelli di tensione 132-150 kV. Il modello di linea a parametri distribuiti di J.R. Marti non presenta un’apprezzabile dipendenza dalla frequenza della matrice di trasformazione modale, per linee aeree non trasposte a semplice terna. Al contrario, il modello di linea a costanti distribuite di K.C. Lee presenta una significativa dipendenza dalla frequenza, di conseguenza se ne raccomanda l’utilizzo solo per la modellazione di linee aeree molto corte (al massimo qualche campata di linea), con una frequenza di calcolo dell’ordine delle decine di kHz nel caso di sovratensioni di origine atmosferica a onda piena, e frequenze di calcolo maggiori per onde di tensione troncate.
Sovratensioni per difetto di schermatura di una linea aerea 132-150 kV
Al fine di verificare i modelli di linea aerea 132-150 kV implementati in ATP-EMTP, sono state simulate le sovratensioni per difetto di schermatura che si propagano lungo la linea a seguito di fulminazione diretta del conduttore più esterno della terna. Nelle simulazioni si è trascurato l’effetto corona, considerando solo la dipendenza dalla frequenza dei parametri di linea.
Analisi critica dei modelli della corrente di fulmine
Sono state analizzate le distribuzioni delle correnti dei primi colpi di fulmini negativi discendenti, e sono stati analizzati criticamente i principali modelli per la simulazione nel dominio del tempo della corrente di fulmine (modello doppio esponenziale, modello CIGRE, modello di Heidler).
Sebbene il modello di Heidler sia più semplice del modello CIGRE, dal momento che utilizza una sola equazione per descrivere la corrente di fulmine, tuttavia se ne raccomanda l’utilizzo solo per la simulazione delle sovratensioni conseguenti a difetto di schermatura sulle linee elettriche aeree. Al contrario, il modello CIGRE può essere utilizzato sia per la simulazione delle sovratensioni conseguenti a difetto di schermatura delle linee, sia per le sovratensioni conseguenti a scarica di ritorno sui sostegni delle linee elettriche aeree. Infine, si sconsiglia l’utilizzo del modello doppio esponenziale negli studi di coordinamento dell’isolamento, in quanto non riproduce correttamente il fronte dell’onda di corrente dei primi colpi di fulmini negativi discendenti.
Modelli dei contrappesi di tipo radiale
Sono stati ricavati i modelli dei contrappesi di tipo radiale attraverso la rappresentazione nel dominio della frequenza con modello a due porte di tipo ABCD, la successiva approssimazione con funzione razionale nella forma poli-residui (vector fitting), e infine la sintesi della rete elettrica equivalente nel dominio del tempo. Con l’ausilio dei modelli ricavati, è stata analizzata l’impedenza complessa, in modulo e fase, e la risposta transitoria, per onde di corrente a fronte ripido e per onde di corrente a fronte lungo, dei contrappesi di tipo radiale unificati Terna. L’analisi della risposta transitoria per onde a fronte ripido mostra che in corrispondenza del valore di cresta della tensione il transitorio dell’impedenza si è già esaurito, pertanto il comportamento del dispersore è sostanzialmente analogo a quello di un dispersore a resistenza costante. Questo comportamento giustifica la prassi comune di rappresentare i dispersori di terra dei sostegni direttamente con la loro resistenza di dispersione a frequenza industriale.
Velocità di propagazione dei sostegni 132-150 kV
È stata stimata la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche lungo i sostegni di linea e il palo gatto di stazione, attraverso il calcolo agli elementi finiti dell’energia immagazzinata nel campo elettrico e quindi della capacità del sostegno verso il piano di massa. Per il calcolo dell’energia immagazzinata nel campo elettrico, è stato implementato nel software COMSOL Multiphysics un modello geometrico semplificato del sostegno, che trascura la tralicciatura. Si osserva che il valore della velocità di propagazione calcolato per i sostegni di linea è all’incirca pari al 75% della velocità della luce ed è in accordo con il valore misurati sperimentalmente su sostegni di linea di altezza pari a 20 metri; per il palo gatto, invece, la velocità di propagazione media è maggiore ed è all’incirca pari al 90% della velocità della luce.
Tasso di guasto per scarica di ritorno delle linee elettriche aeree 132-150 kV
È stata determinata la corrente critica della linea oltre la quale si ha il cedimento dell’isolamento a seguito di una fulminazione diretta sul sostegno, ed è stato calcolato il tasso di guasto per scarica di ritorno (BFR) delle linee aeree 132-150 kV, per terreni a resistività medio-alta. I valori di BFR calcolati, dell’ordine di 2,5÷3 fulmini/100 km · anno, sono in linea con i risultati di precedenti studi ENEL-CREL e CESI, e con i ritorni di esercizio Terna.
Coordinamento dell’isolamento nelle stazioni 132-150 kV
Con l’ausilio dei modelli ricavati, sono state analizzate le sovratensioni in stazione per difetto di schermatura e scarica di ritorno sulle ultime campate delle linee afferenti alla stazione, con il metodo deterministico già impiegato da ENEL per la definizione dei livelli di isolamento sulla rete di alta tensione. Sono stati analizzati i seguenti scenari: fulminazione sul sostegno capolinea e fulminazione lontana (a 3 km dalla stazione); tutti gli stalli linea in servizio (condizione di servizio normale); due stalli linea e un solo stallo trasformatore in servizio (costruzione del sistema o periodo di manutenzione). I risultati ottenuti sono in linea con le conclusioni di precedenti studi ENEL-CREL e CESI, e con i ritorni di esercizio Terna.
Le simulazioni sono state ripetute con MOSA in arrivo linea in luogo delle corna spinterometriche sugli armamenti di amarro al palo gatto di stazione. Con i MOSA in arrivo linea le sovratensioni sono ampiamente al disotto dei livelli di tenuta a impulso atmosferico dei componenti di stazione; inoltre, sono garantiti adeguati margini di sicurezza per tenere conto dello stato fisico e dell’invecchiamento degli isolamenti non auto-ripristinanti. Tuttavia, in presenza di sovratensioni per scarica di ritorno non si ha un perfetto coordinamento tra i MOSA in arrivo linea e quelli a protezione dell’ATR.

Ginevra Lalle
Il progetto di dottorato riguarda la crescita diretta di nanostrutture di carbonio (CNS) sulla superficie di fibre di rinforzo mediante deposizione chimica da fase vapore (CVD). In particolare, vengono proposti catalizzatori alternativi a quelli tradizionali e l’ausilio del plasma per ridurre le temperature tipiche del processo CVD (600-1000 °C), che possono degradare significativamente le proprietà meccaniche del substrato. Nel corso dei tre anni di dottorato, dunque, la ricerca verterà sull’ottimizzazione dei parametri di processo ed includerà un’indagine sistematica sull’effetto di tali parametri (nello specifico della temperatura) sulle proprietà meccaniche delle fibre selezionate come substrato per la crescita. In conclusione, verranno valutate le proprietà delle fibre funzionalizzate con nanostrutture di carbonio in termini di adesione interfacciale con una matrice polimerica e di funzionalità aggiuntive conferite dalla presenza delle CNS. Nello specifico, ne verranno studiate le proprietà elettrochimiche per l’applicazione nel campo della rimediazione ambientale.
Nel corso del primo anno di dottorato (a.a. 2021-2022) sono state selezionate le fibre di quarzo come substrato per la crescita diretta di CNS. Si tratta infatti di particolari fibre di vetro progettate per resistere a temperature superiori rispetto alle fibre di vetro E e S e, pertanto, potenzialmente adatte per la produzione di rinforzi gerarchici mediante CVD. Tuttavia, la perdita di resistenza delle fibre di quarzo dovuta all’esposizione a temperature medio-alte è stata raramente studiata. Per valutare le conseguenze dell’esposizione a temperature tipiche del processo CVD sulle proprietà meccaniche delle fibre di quarzo, queste ultime sono state trattate termicamente a 600, 700 e 800 °C per 1 ora in aria e sono state eseguite le seguenti prove sulle fibre vergini e su quelle trattate: prove di trazione su singola fibra, analisi dei dati di trazione secondo la distribuzione di Weibull, osservazione al microscopio a scansione elettronica (SEM) delle superfici laterali e di frattura delle fibre, analisi diffrattometrica ai raggi X. Ciò ha evidenziato una drastica perdita di resistenza a trazione (fino all’86%), mentre il modulo elastico delle fibre è rimasto pressocché invariato. L’innesco della frattura è avvenuto in corrispondenza di difetti superficiali a prescindere dalla temperatura di trattamento e non sono stati riscontrati fenomeni di cristallizzazione di bulk mediante analisi ai raggi X.
Durante il secondo anno di dottorato (a.a. 2022-2023), tale indagine è stata ampliata mediante ulteriori prove volte ad approfondire la natura dei meccanismi responsabili della perdita di resistenza delle fibre. Misure di densità mediante picnometro a elio hanno mostrato che, a differenza di quanto accade per fibre di vetro e di basalto trattate termicamente, la densità delle fibre di quarzo resta invariata a seguito dei trattamenti. Mappe del modulo elastico e della durezza realizzate mediante prove di nanoindentazione sulla superficie trasversale delle fibre hanno confermato l’assenza di variazioni di tali proprietà con la temperatura ed escluso la presenza di gradienti radiali di proprietà. L’eventuale presenza di fenomeni di cristallizzazione localizzata o di segregazione nella sezione della fibra è stata investigata mediante osservazione al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) di una lamella sottile di fibra trattata a 800 °C, precedentemente preparata tramite fascio ionico focalizzato (FIB). Tale indagine, svolta durante il periodo di visita presso l’università norvegese NTNU a Trondheim, non ha rivelato alcuna disomogeneità né cristallizzazione nella sezione. Facendo uso della modalità a scansione e trasmissione (HAADF STEM) e realizzando mappe spettroscopiche di perdita di energia (EELS), è stata inoltre confermata l’omogeneità della fibra trattata a 800 °C anche dal punto di vista della composizione chimica. Nella modalità STEM, infatti, il contrasto atomico e la possibilità di realizzare mappe degli elementi in un’area selezionata può essere sfruttato per evidenziare eventuali fenomeni di segregazione o gradienti nella composizione. Inoltre, è stata impiegata una tecnica innovativa denominata micro-pillar splitting per la valutazione dell’andamento della tenacità a frattura delle fibre con la temperatura. Tale tecnica, condotta presso l’università di Roma Tre, consiste nel produrre mediante FIB dei pilastri micrometrici che vengono successivamente caricati fino a rottura durante test di nanoindentazione. Tali prove hanno evidenziato un leggero aumento della tenacità a frattura (circa il 9%) che rivela, dunque, un aumento della resistenza delle fibre di quarzo alla propagazione della cricca dal caso non trattato a quello trattato a 800 °C. Inoltre, sulle fibre vergini e su quelle trattate a 800 °C, sono stati introdotti tramite FIB degli intagli a “V” di diverse lunghezze, ortogonali all’asse della fibra. Tali fibre verranno testate a trazione durante il terzo anno di dottorato. Si tratta di un metodo alternativo per misurare la tenacità a frattura delle fibre che verrà usato per confronto con il metodo già utilizzato.
Dalle analisi svolte si può concludere che le fibre di quarzo presentano una degradazione della resistenza meccanica paragonabile a quella delle comuni fibre di vetro. Allo stesso tempo, però, sono meno sensibili a variazioni delle proprietà di bulk (modulo elastico, durezza, densità, tenacità a frattura), le quali rimangono relativamente stabili fino a 800 °C. La degradazione termica della resistenza meccanica è pertanto da attribuire a fenomeni di danneggiamento superficiali che coinvolgono l’esposizione e la crescita di difetti superficiali. Come mostra l’analisi termogravimetrica sulle fibre vergini, infatti, si ha una perdita di peso nell’intervallo di temperature 150-550 °C corrispondente alla degradazione del rivestimento polimerico delle fibre (sizing) che espone i difetti originariamente presenti sulla fibra. All’aumentare della temperatura di trattamento è probabile che avvenga un aumento della severità e della quantità di tali difetti (ad esempio per fenomeni di rilassamento dell’anisotropia strutturale) che non è compensato dal leggero aumento di tenacità a frattura e, pertanto, determina un drastico calo della resistenza meccanica.
Crescita di nanostrutture di carbonio mediante PECVD a bassa temperatura
La crescita di CNS su fibre di quarzo con catalizzatore tradizionale a base ferro è stata realizzata mediante due tecniche: (i) un metodo tradizionale di CVD termica, che richiede temperature superiori a 600 °C, e (ii) un metodo innovativo di CVD assistita da plasma (PECVD), in cui un plasma altamente energetico fornisce parte dell’energia necessaria per le reazioni di decomposizione dell’idrocarburo e di formazione delle CNS, consentendo temperature di crescita inferiori.
Prima della crescita, un precursore del catalizzatore di ferro è stato depositato sulle fibre di quarzo per immersione in una soluzione 0.05 M di nitrato di ferro nonaidrato in isopropanolo. Successivamente, le fibre sono state inserite in una camera ad alto vuoto equipaggiata con un modulo a radiofrequenza. In questa camera, è stato condotto un trattamento di annealing in atmosfera di idrogeno, volto a ridurre il precursore del catalizzatore alla forma metallica cataliticamente attiva e a promuovere la formazione di nanoparticelle di catalizzatore uniformemente distribuite sulla superficie del substrato. A seguire, è stato introdotto in camera acetilene come sorgente di carbonio per la crescita delle CNS. Nel processo di PECVD, quest’ultimo stadio è stato condotto con una potenza del plasma di 30 W
Per valutare l’effetto della temperatura e della presenza del plasma sulla morfologia delle CNS e sulle proprietà meccaniche del substrato, sono state selezionate diverse temperature di annealing e di crescita. Come punto di riferimento per la crescita di CNS su fibre di quarzo, è stato condotto un processo di CVD termica a temperature superiori a 600 °C (indicato come TCVD-1), il quale ha portato con successo alla crescita di lunghe schiere di CNS verticalmente allineate con lunghezza da 15 a 80 µm ma, allo stesso tempo, ha determinato una riduzione di resistenza meccanica delle fibre del 74%. La temperatura di processo è stata pertanto ridotta a circa 500 °C (PECVD-2) grazie all’ausilio del plasma. Ciò ha efficacemente ridotto la perdita di resistenza al 13% di quella originaria e ha portato alla crescita di nanostrutture di carbonio più corte, aventi lunghezza da 1 a 3 µm, e radialmente allineate. Senza l’uso del plasma, tale risultato in termini di crescita non può essere raggiunto, come dimostra la completa assenza di nanostrutture osservata nelle immagini SEM di fibre sottoposte al processo TCVD-3, realizzato nelle stesse condizioni del processo PECVD-1 ma in assenza di plasma.
Le diverse condizioni operative adoperate nei processi TCVD-1 e PECVD-1 hanno comportato, inoltre, differenti morfologie delle CNS ottenute. In particolare, mentre le CNS del processo TCVD-1 appaiono molto aggrovigliate su sé stesse e con le CNS adiacenti, quelle del PECVD-1 hanno una minore tortuosità, apparendo più dritte e parallele tra loro. Ciò è attribuibile all’effetto del plasma che tende ad allineare le CNS con le linee del campo elettrico, orientate perpendicolarmente alla superficie del substrato. La diversa morfologia è inoltre legata alle differenti condizioni di annealing, che determinano una diversa morfologia dei siti di nucleazione da cui ha luogo la crescita.
Le nanostrutture ottenute sono state indagate al TEM durante il periodo trascorso all’estero presso l’Università Norvegese della Scienza e della Tecnologia (NTNU) di Trondheim, Norvegia. Tale indagine è stata condotta innanzitutto su CNS disperse in etanolo mediante ultrasonicazione. L’osservazione al TEM ha dimostrato che le CNS ottenute sono nanotubi di carbonio a parete multipla (MWCNT) con diametri medi di 20 nm per il TCVD-1 e 12 nm per il PECVD-1, coerenti con la dimensione media delle nanoparticelle di ferro. Queste ultime si trovano prevalentemente sulla punta del nanotubo, rivelando un meccanismo di crescita di tipo tip growth, in cui la nanoparticella è sollevata durante la crescita. Nel caso della TCVD-1, sono state spesso osservate nanoparticelle allungate all’interno della cavità del tubo: ciò è determinato dalle forze esercitate sulla particella durante la crescita, che la deformano, allungandola; la cavità interna più stretta (maggior rapporto tra il diametro esterno e quello interno del tubo) dei nanotubi cresciuti mediante TCVD-1 rende queste forze maggiori che nel caso della PECVD-1, favorendo l’intrappolamento del catalizzatore nella lunghezza del tubo. È interessante notare, inoltre, che i CNT cresciuti mediante TCVD-1 presentano uno strato amorfo sulla superficie esterna che è raramente osservato nel caso PECVD-1. Ulteriori indagini TEM sono state condotte su sezioni sottili di fibra preparate mediante FIB per osservare l’interfaccia tra fibra e CNS. Durante la preparazione del campione, è stato applicato un sottile strato protettivo di carbonio per proteggere la regione selezionata della fibra da danneggiamento dovuto al FIB. Le figure hanno mostrato la presenza di numerosi CNT incorporati nello strato di carbonio protettivo e di molte nanoparticelle di Fe all’interfaccia fibra/CNT e nei tubi. Su questi campioni è stata effettuata anche un’indagine in modalità STEM e mappe EELS per mettere in evidenza i diversi elementi presenti, in particolare il catalizzatore di ferro. È interessante notare che le nanoparticelle di ferro in corrispondenza della superficie della fibra sono incorporate da strati di carbonio grafitico, che le hanno rese inattive nei confronti della crescita dei nanotubi.
Per approfondire gli effetti della temperatura e del plasma sulla morfologia delle CNS, sono stati condotti altri due processi CVD: (i) un processo CVD termica con annealing a bassa temperatura (TCVD-2) e (ii) un processo PECVD ad alta temperatura (PECVD-2). In entrambi i casi l’indagine SEM ha mostrato una perdita di allineamento delle nanostrutture, mentre l’indagine al TEM dei nanotubi dispersi in etanolo ha rivelato una struttura delle pareti grafitiche più disordinata e ricca di difetti.
L’indagine verrà completata nel corso del terzo anno di dottorato mediante le seguenti caratterizzazioni: spettroscopia Raman su tutte le crescite, indagine TEM all’interfaccia per i campioni TCVD-2 e PECVD-2, indagine TEM all’interfaccia per campioni sottoposti a solo annealing a 520 °C e a 620 °C. Tali indagini forniranno ulteriori informazioni sul meccanismo di crescita, sul ruolo del catalizzatore e sull’effetto del plasma e della temperatura sulla crescita.
Crescita di nanostrutture di carbonio da catalizzatore innovativo a base rame
L’attività del rame nei confronti della crescita di CNS su fibre di quarzo è stata dimostrata nel corso del primo anno di dottorato (a.a. 2021-2022) mediante un processo di CVD termica ad alta temperatura avente gli stessi parametri usati per il catalizzatore di ferro nel processo TCVD-1. Come precursore del catalizzatore è stato selezionato l’acetato di rame, depositato sulle fibre mediante dissoluzione in acetonitrile e successiva immersione delle fibre in soluzione. Questo processo è stato adottato come punto di partenza per la successiva regolazione dei parametri di processo volta all’ottenimento di un processo CVD a bassa temperatura. In particolare, sono stati variati il tempo e la temperatura di annealing e la temperatura di crescita, mantenendo invariate le portate dei gas immessi in camera. L’osservazione al SEM dei campioni sottoposti a tali processi di crescita ha dimostrato che l’aumento della temperatura di annealing è favorevole alla crescita, mentre la riduzione della temperatura è sfavorevole. L’indagine sperimentale è stata accompagnata da un’attenta ricerca bibliografica sulla decomposizione termica dell’acetato di rame, sulla riduzione di ossidi di rame a rame metallico e sull’uso del rame come catalizzatore di varie reazioni, in particolare di ossidazione del CO, di idrocarburi e di composti organici volatili in cui il rame è già ampiamente utilizzato. È stato pertanto introdotto un trattamento termico in aria a 300 °C, successivo al trattamento di dipping, volto a decomporre l’acetato di rame in ossidi di rame (CuO e Cu2O), al fine di favorire la riduzione a rame metallico durante il successivo stadio di annealing. Inoltre, è stato introdotto idrogeno in camera CVD già durante la rampa di riscaldamento per raggiungere la temperatura di annealing, in modo da favorire la progressiva riduzione del catalizzatore a temperature inferiori che ne limitassero la coalescenza in particelle più grandi. Effetti positivi sulla crescita sono stati ottenuti da entrambe queste strategie ed altre verranno indagate nel corso del terzo anno di dottorato. Ulteriori informazioni sullo stato chimico e sulla morfologia delle nanoparticelle di rame ottenute a seguito del processo verranno raccolte mediante indagine al TEM delle CNS ottenute finora e dell’interfaccia fibra/catalizzatore e attraverso analisi XPS sul catalizzatore al variare della temperatura in presenza di idrogeno, al fine di individuare i parametri ottimali per ottenere la crescita di CNS a bassa temperatura su fibre di quarzo.

Francesco Lelli
Il lavoro del secondo anno di dottorato si è concentrato sullo studio della retroazione necessaria per la realizzazione del controllo delle macchine in saturazione magnetica. Al fine di controllare il comportamento non-lineare della macchina garantendo alte prestazioni è necessario avere informazioni sul flusso concatenato, indipendentemente dalla variabile di stato scelta per il controllo (flusso concatenato o corrente). Il flusso concatenato in una macchina può essere ricavato mediante sistemi ad anello chiuso, come un osservatore matematico, o ad anello aperto, come l’utilizzo di tabelle o funzioni matematiche che descrivano la relazione flusso – corrente (e l’inversa: relazione corrente - flusso).
Il primo sistema analizzato è stato l’osservatore lineare di flusso. Si tratta di uno stimatore matematico che si basa sul modello della macchina, in particolare richiede conoscenza dei parametri di resistenza, induttanza e flusso concatenato generato dai magneti permanenti; inoltre, gli ingressi sono la corrente misurata e la tensione applicata al carico. Non essendo tale tensione misurabile si utilizza la tensione ideale in uscita dal controllore, motivo per cui è necessaria una buona compensazione delle non-linearità dell’inverter. Molta attenzione è stata posta nella fase di discretizzazione di tale osservatore, per evitare possibili errori derivanti da un processo di discretizzazione errato. Essendo la tensione costante in un tempo di campionamento per via dello ZOH, la corrente varia come una rampa ed è quindi necessario costruire un osservatore di corrente per poter predire la pendenza di tale rampa e implementare correttamente l’osservatore di flusso. L’osservatore è poi stato implementato su microcontrollore. Per validare sperimentalmente la qualità dell’implementazione è stata inserita nel motore di prova una sonda per misurare il flusso concatenato su una parte degli avvolgimenti dello statore.
Successivamente è stata studiata la rappresentazione della saturazione magnetica mediante l’utilizzo di modelli matematici. Avere a disposizione un’equazione piuttosto che una tabella presenta vantaggi in termini di allocazione di memoria e identificazione sperimentale, ciò ha portato a prediligere il modello matematico alle più tradizionali tabelle (lookup table). Dall’analisi dello stato dell’arte è emerso che i modelli ad oggi sviluppati si basano tutti su un’analisi più matematica che fisica, soprattutto per quanto riguarda la modellizzazione della mutua saturazione. Questo porta a modelli molto precisi, ma estremamente complicati i cui parametri sono di difficile identificazione; questo complica l’utilizzo di tali modelli per applicazioni diverse dal caso di studio considerato. Si è quindi studiato come derivare un modello semplice, descritto da pochi parametri di facile identificazione. Per poter applicare un approccio che fosse di carattere maggiormente fisico/geometrico che matematico, lo studio ha riguardato il caso di una macchina SPM data la sua semplice geometria (macchina isotropa). In prima istanza sono stati trascurati i magneti permanenti. È stato possibile definire un modello in coordinate polari basato sull’assunzione che i vettori di flusso e corrente hanno la stessa fase (assunzione vera solo nel caso di macchine isotrope). Il modulo del vettore del flusso è stato descritto mediante una funzione non-lineare del modulo della corrente. Grazie a questa caratterizzazione è possibile ricostruire il modello completo (comprendente quindi la saturazione mutua) sulla base solo della saturazione propria, riducendo notevolmente il numero di test sperimentali necessari per l’identificazione del modello. Inoltre, i parametri descrittivi dell’equazione proposta sono solo tre e godono di un significato fisico (induttanza nell’origine, induttanza in saturazione e altezza del ginocchio) il che li rende identificabili mediante delle prove specifiche. Si è infine dimostrato che il modello così descritto rispetta sempre la proprietà di reciprocità indipendentemente dalla funzione non-lineare scelta per descrivere il modulo del flusso. Per validare lo studio sono state effettuate delle simulazioni agli elementi finiti mediante il software MagNet per confrontare i risultati delle simulazioni con le stime ottenuto dal modello proposto. Due macchine di diversa geometria e taglia sono state analizzate. I risultati mostrano una buona sovrapposizione fra le due tecniche. Per concludere, è stato descritto anche il comportamento dei magneti permanenti. L’inserimento di questi elementi comporta una traslazione della caratteristica flusso-corrente lungo l’asse d (sistema di riferimento sincrono). Questa traslazione può essere modellizzata come una componente di flusso costante generata da una forza magnetomotrice costante e quindi da una corrente equivalente costante. Nonostante questa sia solamente una approssimazione dell’effetto dei magneti, i risultati delle prove agli elementi finiti mostrano un buon match coi risultati analitici. Seppure l’errore sulla stima sia leggermente aumentato rispetto al caso senza magneti, questo risulta essere ancora piccolo in percentuale, inoltre, grazie alla semplicità del modello proposto, tale errore è ancora tollerabile; è stato necessario aggiungere un solo parametro per descrivere l’effetto dei magneti ed anche quest’ultimo ha un significato fisico ed è quindi possibile stimarlo mediante una prova sperimentale mirata.

Giulia Pedrizzetti
L’attività di ricerca svolta durante il secondo anno di dottorato si è concentrata su diversi obiettivi, il cui conseguimento è stato sviluppato in parallelo:
• Definizione di una procedura di metallic turnover per il bagno di deposizione electroless del platino, al fine di garantire la deposizione di spessori elevati , minimizzando il consumo di Pt e aumentando l’applicabilità industriale del processo;
• Validazione della tecnica electroless per la produzione di alluminuri diffusivi per applicazioni in alta temperatura tramite confronto in test di ossidazione (fino a 1000h a 1100°C) con gli stessi rivestimenti ottenuti per via elettrolitica con una soluzione commerciale di Q-Salt® (Johnson Matthey ©, Londra, Regno Unito).
• Studio e ottimizzazione di una tecnica di alluminizzazione tramite slurry;
• Studio dell’effetto di un diverso spessore iniziale di platino electroless (4-12 µm) sulla microstruttura e sulla resistenza a ossidazione dei rivestimenti alluminuri diffusivi ottenuti con tecnica slurry, con test a 1100°C fino a 1000h.
Modifica preliminare dei rivestimenti alluminuri modificati con platino electroless tramite l’ulteriore introduzione di un layer di nickel puro ottenuto per tecnica electroless. Studio delle differenze microstrutturali e test preliminari in ossidazione fino a 1100°C fino a 1000h.
Studio di una procedura di metallic turnover per la deposizione electroless di Pt. Il rateo di deposizione di Pt di una deposizione standard con bath loading ≈ 11 ml/cm2 segue un trend parabolico governato dalla diffusione degli ioni platino dalla soluzione bulk al substrato. Secondo questo meccanismo, il progressivo consumo degli ioni metallici in soluzione porta a una costante diminuzione della velocità di deposizione. Per garantire una deposizione con velocità circa costante e aumentare l’applicabilità industriale del bagno è necessario sviluppare un metodo per ristabilire la concentrazione di metallo in soluzione (metallic turnover, MTO). Lo studio della rigenerazione del bagno si è concentrata su: (i) studio dei reagenti per ripristinare la concentrazione iniziale di ioni metallici complessati e di agente riducente; (ii) studio dell’introduzione del regolatore di pH, al fine di garantire la stabilità del bagno; (iii) studio della tempistica e della modalità di rigenerazione per ottenere un plating rate circa lineare preservando la stabilità del bagno e la semplicità di processo; (iv) studio dell’eventuale contaminazione del rivestimento a seguito della rigenerazione. Il fitting lineare dei dati sperimentali dimostra che il processo è ben approssimabile a una deposizione con rateo costante, come coefficiente di correlazione pari 0.999. La procedura di MTO sviluppata permette di raggiungere il miglior compromesso tra rateo di deposizione ed efficienza del bagno (rapporto tra Pt depositato e Pt disponibile nel bagno), garantendone la stabilità e senza contaminazione fino a uno spessore 4 volte superiore al target.
Confronto tra alluminuri modificati con Pt electroless e Pt elettrolitico in ossidazione: I campioni prodotti e analizzati nello stato as deposited, as diffused e as aluminized durante le attività del I anno di dottorato sono stati sottoposti a test di ossidazione isoterma a 1100°C fino a 1000h. Al fine di garantire una comprensiva comparazione dell’evoluzione microstrutturale e delle capacità protettive dei rivestimenti, i campioni di alluminuri modificati con Pt electroless e Pt elettrolitico sono stati analizzati tramite XRD, SEM ed EDS ogni 7h e 14h di ossidazione (alternatamente) per le prime 105h, poi ogni 100h fino al raggiungimento delle 1000h target.
Il confronto tra le cinetiche di ossidazione dei due rivestimenti evidenzia un maggiore consumo di alluminio nella fase di ossidazione transitoria per il rivestimento con Pt elettrolitico; tuttavia, il fitting delle cinetiche tramite il modello di Monceau dimostra un comportamento pressoché identico terminata la fase transitoria, con costanti paraboliche paragonabili (0.0098 µm2/s per l’alluminuro modficato con Pt elettrolitico e 0.0057 µm2/s per quello modificato con Pt electroless). Dalle cinetiche è possibile anche notare che l’andamento parabolico viene mantenuto fino a 500h di ossidazione, dopo le quasi si assiste a una crescita consistente della scaglia nel punto a 600h e al distacco della stessa con il proseguire dell’esposizione. Tale comportamento, identico per entrambi i tipi di rivestimento, è confermato dall’analisi SEM. Le immagini a 21h mostrano la presenza di fasi transitorie dell’allumina, mentre la scaglia appare adesa, coesa e continua a partire da 28h di esposizione. Lo spessore della scaglia aumenta mantenendo le caratteristiche protettive fino a 500h. A 1000h l’aumento di spessore e i distacchi sono associati alla trasformazione della fase protettiva β-NiAl in γ’-Ni3Al, con conseguente diminuzione della resistenza a ossidazione dei rivestimenti. Il confronto tra gli spettri XRD dei rivestimenti in funzione delle ore di ossidazione mostra che entrambi gli alluminuri studiati hanno la stessa evoluzione microstrutturale e la formazione delle stesse fasi a seguito dell’ossidazione, dimostrando ancora l’equivalenza tra di essi. La tecnica electroless risulta dunque essere qualificata per la deposizione del layer di Pt necessario alla modifica degli alluminuri diffusivi, avendo lo stesso comportamento dei rivestimenti ottenuti con standard industriale.
Ottimizzazione di una tecnica di alluminizzazione slurry: La tecnica industriale standard utilizzata per la qualifica descritta nel paragrafo precedente porta alla realizzazione di alluminuri caratterizzati da un gradiente di Al lungo lo spessore del rivestimento. Nella parte più interna non si ha una sufficiente quantità di Al da garantire la stabilità di β-NiAl, con conseguente limitazione delle capacità protettive dell’alluminuro. È stato dunque ottimizzato il processo di alluminizzazione per ottenere β-NiAl in tutto il rivestimento, mantenendo la formulazione industriale dello slurry e studiando l’effetto dei parametri operativi del trattamento termico. In particolare, è stato studiato l’effetto di: (i) quantitativo di slurry per unità di superficie del campione da alluminizzare (mg/cm2sample), che influenza l’efficienza della reazione superficiale; (ii) quantitativo di slurry all’interno della camera di alluminizzazione (mg/cm3chamber), che influenza la quantità di fase vapore disponibile per il processo. Una volta ottimizzata la quantità del punto (i), le quantità del punto (ii) sono state fatte variare mantenendo costante il primo parametro, variando il numero di campioni in camera. I risultati hanno permesso di definire i parametri necessari a ottenere un rivestimento di β-NiAl lungo tutto lo spessore dell’alluminuro.
Confronto microstrutturale e in ossidazione di alluminuri diffusivi modificati con diverso spessore iniziale di Pt electroless. Una volta definito il processo di alluminizzazione, sono stati prodotti rivestimenti a diverso spessore inziale di Pt: 4.5 µm, per confronto con lo standard industriale; 6 µm, migliore da letteratura, e 12 µm, spessore raggiunto durante i processi di deposizione elettrochimica con target 4.5 µm. Dal confronto tra le microstrutture ottenute da analisi SEM e XRD si nota che all’aumentare dello spessore iniziale di Pt aumenta lo spessore della regione ricca di fase PtAl2, fragile e negativa per le proprietà meccaniche del rivestimento. Tuttavia, tale fase tende a sparire grazie ai processi di interdiffusione che si attivano durante l’esposizione all’alta temperatura nei test di ossidazione. Dalle cinetiche si nota che i rivestimenti rinforzati con 6 e 12 µm di Pt mostrano capacità protettive simili e maggiori rispetto a quello rinforzato con 4.5 di Pt. Inoltre, la maggiore presenza di PtAl2 nel rivestimento con 12 µm iniziali di Pt porta a una durata maggiore della fase di ossidazione transitoria. Le micrografie SEM confermano le migliori capacità protettive dei rivestimenti con 6 e 12 µm di Pt, in cui si evidenzia una più contenuta trasformazione di NiAl in Ni3Al.
Confronto microstrutturale e test preliminari in ossidazione di rivestimenti alluminuri modificati con Pt electroless e Ni electroless. Al fine di migliorare la distribuzione di Pt nel rivestimento ed evitare la formazione di fasi fragili nella zona esterna, i rivestimenti alluminuri modificati con Pt electroless sono stati ulteriormente modificati con l’aggiunta di un layer esterno di Ni electroless, prima del processo di alluminizzazione. Sono stati effettuati test preliminari accelerati di ossidazione isoterma fino a 100h a 1100°C e le cinetiche mostrano un comportamento promettente per i rivestimenti modificati. Il confronto tra gli spettri XRD del rivestimento standard e modificato dopo le 100h non evidenzia la formazione di fasi potrebbero compromettere le prestazioni del rivestimento modificato.

Marco Conti
Definizione di un set-up sperimentale per il bagno di deposizione electroless NiCr, al fine di garantire la deposizione di spessori adeguati di rivestimento Ni e inclusione di ottimale delle particelle di Cr, massimizzando il tenore di Cr; Validazione della tecnica electroless per la produzione dei rivestimenti NiCr con studio svolto sui fenomeni di diffusione ad alta temperatura e caratterizzazione dei rivestimenti ottenuti mediante studio dell’ossidazione isoterma alla temperatura di 800°C.
II trimestre
Studio della tecnica di alluminizzazione tramite slurry mediante ottimizzazione dei parametri di deposizione, composizione dello slurry e trattamento termico di alluminizzazione per diffusione;Studio dell’effetto di diversi set-up sperimentali in camera di diffusione e ottimizzazione dello spessore ed il tenore di alluminio nel rivestimento ottenuto. Modifica della composizione chimica dello slurry per l’introduzione di Si e Zr nel rivestimento e caratterizzazione della microstruttura e delle fasi cristalline.
III trimestre
Test di ossidazione isoterma per i rivestimenti ottenuti NiCr per electroless composite plating e valutazione della cinetica di ossidazione mediante osservazioni SEM-EDS dei rivestimenti e caratterizzazione XRD della scaglia d'ossido formatasi. Caratterizzazione in ossidazione isoterma dei rivestimenti ottenuti per alluminizzazione per diffusione via metodo slurry con modifica per introduzione di Si e Zr. Valutazione della cinetica di ossidazione dei rivestimenti in ossidazione isoterma mediante monitoraggio del guadagno in peso dei campioni e dell'aumento della scaglia di ossido in accrescimento ed estrapolazione delle costanti di ossidazione cinetica.
IV trimestre Studio e messa a punto di un set up sperimentale per la produzione di rivestimenti electroless Ni e NiP a temperatura ambiente mediante utilizzo di un catalizzatore metallico. Definizione dei risultati ottenuti durante il percorso di dottorato e stesura dell'elaborato di tesi.

Eva Gualtieri
I trimestre Termine soggiorno all'estero come Guest-Student presso il gruppo del prof. Andrea Balducci all'Università di Jena (Germania). Test di materiali elettrodici da me sintetizzati con elettroliti alternativi sintetizzati dal gruppo ospitante. In questo periodo ho seguito vari seminari organizzati dal dipartimento ospitante e ho avuto modo di approfondire le mie conoscenze sulle tecniche di caratterizzazione degli elettroliti.
II trimestre Continuazione attività di laboratorio presso il dipartimento DICMA (ottimizzazione sintesi di compositi C/Si ottenuti da rice husk, ovvero lolla di riso). Frequentazione di corsi online specifici riguardo le batterie agli ioni-litio tenute da esperti del settore (Vedi corso ELMO-LION).
III trimestre Inizio scrittura tesi. Continuazione test elettrochimici sui compositi precedentemente sintetizzati: prove di ciclazione galvanostatica con potenziale controllato e voltammetria ciclica. Preparazione di un progetto di gruppo (con studenti di dottorato di altre università europee) sul riciclo delle batterie ioni litio nell'ambito del corso ELMO-LION.
IV trimestre Scrittura tesi. Continuazione/termine test elettrochimici (ciclazione celle per batterie agli ioni-litio) a lungo termine. Esecuzione ultime analisi per caratterizzazione morfologica dei campioni realizzati. Partecipazione a una conferenza internazionale e una scuola di dottorato specifica (ELMO-LION).

Erica Sonaglia
I trimestre. La mia attività ha riguardato la messa a punto di protocolli di caricamento di solventi polari e apolari in membrane idrogel di nanocellulosa batterica e lo studio dell'efficienza di caricamento. Questi sistemi sono poi stati impiegati in esperimenti di laboratorio sulla rimozione di depositi idrofobici e di prodotti di corrosione del rame (sintetizzati in laboratorio), per applicazioni nel campo della pulitura di materiali lapidei. A tale scopo si sono impiegate microscopia ottica, spettroscopie infrarossa (ATR-FTIR) e micro-Raman e colorimetria. Al lavoro di laboratorio è succeduto quello di scrittura di articoli sui risultati ottenuti. Contestualmente, si sono sintetizzate membrane idrogel di nanocellulosa batterica a partire dal microorganismo isolato nel corso dello scorso anno di dottorato, con l'impiego di substrati di coltura costituiti da prodotti derivanti dal settore alimentare (by-products), con la valutazione delle rispettive rese in cellulosa. In questo contesto, sono stati messi a punto alcuni protocolli che hanno riguardato l'impiego di co-colture di microorganismi, con lo scopo di aumentare la resa in cellulosa del processo.
II trimestre. In questo trimestre sono stati messi a punto protocolli per l'immobilizzazione di batteri probiotici in membrane idrogel di nanocellulosa batterica. In seguito, si è valutata per mezzo di specifici esperimenti la capacità di caricamento e la vitalità dei microorganismi immobilizzati dopo trattamento a diversi pH della membrana. Contestualmente, si sono messi a punto protocolli per
l'immobilizzazione di enzimi in membrane idrogel di nanocellulosa batterica e studiata l'attività enzimatica su substrato di amido della membrana.
III trimestre. Si è messo a punto un protocollo per la sintesi di membrane idrogel di nanocellulosa batterica antimicrobiche, funzionalizzate per mezzo di trattamento all'ozono. Tali sistemi sono stati caratterizzati per mezzo di specifiche tecniche analitiche ed è stata studiata la loro attività antibatterica e antifungina, la loro stabilità nel tempo e la possibilità di riuso.
IV trimestre. In questa fase sono stati portati avanti gli esperimenti riguardanti l'attività antimicrobica del sistema idrogel formulato. Inoltre si è valutata la sua efficienza antimicrobica per applicazioni nel campo della conservazione dei beni culturali, per combattere il biodeterioramento dei materiali lapidei. A tale scopo, si sono eseguiti esperimenti che hanno riguardato l'applicazione dei materiali sintetizzati su provini di materiale lapideo a diversa porosità, inoculati con i microorganismi biodeteriogeni. Parte del lavoro ha riguardato la scrittura di articoli e la partecipazione a conferenze nazionali e internazionali per la divulgazione dei risultati della ricerca.

Francesco Trentini
I trimestre. Durante il corso del mio dottorato, ho dedicato particolare impegno alla fase di validazione del modello matematico sviluppato per l'autotrasformatore. Questo processo è stato essenziale per assicurare l'affidabilità e l'accuratezza del modello stesso. Per raggiungere questo obiettivo, ho condotto approfondite simulazioni nel corso del tempo, esplorando dettagliatamente il comportamento dell'autotrasformatore in varie condizioni. Una parte significativa del mio lavoro è stata incentrata sull'analisi delle instabilità nel tempo del sistema. Questa fase critica ha richiesto una valutazione attenta e approfondita dei dati emersi dalle simulazioni, al fine di identificare eventuali variazioni o comportamenti non previsti nel funzionamento dell'autotrasformatore nel corso del tempo. L'obiettivo era comprendere le dinamiche del sistema in modo completo, mettendo in luce eventuali anomalie o fenomeni che potrebbero influire sulla sua stabilità.
II trimestre. Nella prosecuzione della verifica del modello mediante simulazioni nel tempo, ho approfondito ulteriormente il processo di validazione, enfatizzando la necessità di garantire la stabilità del modello matematico dell'autotrasformatore. In particolare, ho integrato l'applicazione del criterio di passività, una fase cruciale volta a confermare che il modello rispetti le condizioni necessarie per mantenere la stabilità nel tempo. L'implementazione di questo criterio è stata un passo fondamentale per assicurare che il modello rappresenti fedelmente il comportamento dinamico dell'autotrasformatore e che le simulazioni nel tempo riflettano accuratamente le dinamiche del sistema in situazioni reali. Questa fase di lavoro ha richiesto un'attenta considerazione delle relazioni matematiche e delle caratteristiche intrinseche dell'autotrasformatore, assicurando che il modello sia in grado di rispondere in modo coerente e stabile alle varie sollecitazioni nel tempo.
III trimestre. Fase di stesura della tesi di dottorato e dell'articolo da essa derivato.
IV trimestre. Fase di stesura della tesi di dottorato e dell'articolo da essa derivato.

Alice Nicole Casling
I trimestre. È stata realizzata una vernice carica di nanoparticelle di grafene (GNP) da successivamente depositare per mezzo della tecnica di air-spraying. È stato necessario ottimizzare il materiale al fine di poter utilizzare questa tecnica, basandosi sulla percentuale in peso (%wt) di GNP aggiunte alla soluzione si è condotto uno studio accurato per determinare la percentuale in volume (%vol) di diluente da aggiungere al fine di migliorare la lavorabilità durante la deposizione. Parallelamente, è stata effettuata uno studio di letteratura riguardante i sottili film magnetici come materiali radar assorbenti. La scelta di utilizzare il ferro carbonile come filler per la vernice è stata attentamente ponderata. Successivamente, sono state sviluppate procedure dettagliate per integrare questo riempitivo nella matrice polimerica (la vernice) e per ottimizzare le caratteristiche di radar assorbenti del materiale.
II trimestre. È stata eseguita la caratterizzazione morfologica, elettrica ed elettromagnetica del prodotto ottenuto. Questo processo ha coinvolto l'estrapolazione della permittività e permeabilità complesse attraverso i parametri S misurati. Sono state utilizzate misure capacitive, che hanno richiesto lo sputtering di un elettrodo sul campione da analizzare, a basse frequenze, insieme a misure con guida d'onda rettangolare. Successivamente, si è proceduto con simulazioni elettromagnetiche utilizzando i parametri estratti al fine di realizzare uno schermo di tipo Salisbury.
III trimestre. Attraverso simulazioni elettromagnetiche tridimensionali supportate dal parallelo utilizzo del software MATLAB, è stato condotto uno studio relativo alla problematica della distorsione del pattern d'antenna in un contesto satellitare. In particolare, ci si è concentrati sul miglioramento di tale distorsione mediante l'impiego dello schermo Salisbury precedentemente ottimizzato. I risultati di questo studio forniscono una comprensione approfondita degli effetti dello schermo Salisbury sulla configurazione elettromagnetica, contribuendo a ottimizzare ulteriormente la qualità del segnale satellitare.
IV trimestre. Si è proceduto all'ottimizzazione del processo di ball milling sulle particelle magnetiche, al fine di migliorarne le prestazioni di radar assorbenza. Successivamente, le particelle lavorate sono state integrate in una matrice polimerica. Il processo è stato completato con una caratterizzazione morfologica ed elettromagnetica del materiale risultante.

Gianluca Ciarleglio
I trimestre. Sintesi di microsfere di hydrogel pH-responsive a base di alginato/olio ozonizzato mediante tecnica di electrospray. Ottimizzazione dei parametri di processo: tensione, flow rate, collecting distance e needle size. Caratterizzazione proprietà delle microsfere: determinazione tasso di swelling e contenuto d’acqua, analisi chimica mediante spettroscopia ad infrarossi (FT-IR).
II trimestre. Sintesi del polimero PNIPAM mediante polimerizzazione radicalica. Analisi termica mediante calorimetria a scansione differenziale (DSC) al fine di valutare la temperatura di transizione volumetrica di fase del polimero (TVPT). Sintesi di microsfere di hydrogel thermo-pH-responsive a base di alginato/PNIPAM/olio ozonizzato mediante tecnica di electrospray. Caratterizzazione delle proprietà delle microsfere: determinazione tasso di swelling e contenuto d’acqua, analisi chimica mediante spettroscopia ad infrarossi (FT-IR) per indagare la presenza di PNIPAM e olio ozonizzato.
III trimestre. Ottimizzazione dei parametri di processo della tecnica di electrospinning: tensione, flow rate, collecting distance e needle size su microsphere thermo-pH-responsive. Analisi morfologica mediante microscopia ottica ed elettronica (SEM) e valutazione del fattore di sfericità, analisi statistica. Test di degradazione a differenti valori di pH e a differenti temperature per valutare la risposta al pH e alla temperatura.
IV trimestre. Realizzazione di set-up per la produzione controllata di nanofibre a base di PVA mediante tecnica di electrospinning. Ottimizzazione dei parametri di sistema: concentrazione, viscosità, tensione superficiale. Ottimizzazione dei parametri di processo: tipologia di collettore, flow rate, orientamento setup. Analisi morfologica mediante microscopia ottica ed elettronica (SEM) e valutazione dei diametri medi delle nanofibre.

Federico Cozzolino
I trimestre. Classificazione materiali multistrato e misure di spessori. Nel corso del primo trimestre del secondo anno, l'attenzione si è focalizzata sulla classificazione e caratterizzazione approfondita di materiali multistrato progettati per schermare il campo elettromagnetico, forniti dalla collaborazione con ESA/Airbus. L'obiettivo primario di questa fase iniziale è stata l'analisi dettagliata degli spessori dei vari strati dei campioni in nostro possesso tramite tecniche di microscopia ottica e misure AFM. La precisione acquisita nella determinazione degli spessori ha fornito dati chiave per poter comprendere la composizione stratificata di tali materiali. Questo livello di dettaglio è stato essenziale per interpretare poi correttamente le interazioni elettromagnetiche che si verificano all'interno di tali sistemi. L'approccio metodologico adottato durante questo trimestre fornisce una solida base di conoscenza, indispensabile per le fasi successive del progetto, guidando in modo efficace le caratterizzazioni elettromagnetiche mirate alla valutazione dell'efficienza di schermatura di questi materiali.
II trimestre. Caratterizzazioni dielettriche ed elettriche. Durante questo trimestre, l'approfondimento delle caratterizzazioni si è concentrato sulle proprietà dielettriche ed elettriche dei vari materiali multistrato (sopracitati nell'attività del I trimestre). L'obiettivo primario è stato quello di esplorare le caratteristiche fondamentali dei materiali isolanti e conduttivi attraverso una serie di misurazioni e analisi dielettriche ed elettriche. Per quanto riguarda la parte dielettrica, sono state eseguite misurazioni a basse frequenze, nell'intervallo compreso tra 1 KHz ed 1 MHz tramite un metodo capacitivo che ha permesso di poter valutare con precisione la permettività complessa del materiale isolante. Parallelamente, le misurazioni in corrente continua sono state condotte utilizzando la tecnica a quattro punte. Questo ha consentito di estrapolare informazioni sulla conducibilità degli strati conduttivi dei vari materiali multistrato. I dati ottenuti da entrambe le analisi insieme alle misurazioni degli spessori svolte precedentemente, sono stati poi utilizzati per eseguire simulazioni elettromagnetiche avanzate. Il secondo trimestre ha quindi permesso di ottenere tutte le informazioni necessarie che costituiranno la base per le fasi successive del progetto, consentendo una valutazione più approfondita dell'efficienza di schermatura elettromagnetica di tali materiali.
III trimestre. Caratterizzazioni elettromagnetiche Nel terzo trimestre, l'attenzione si è spostata sulle caratterizzazioni elettromagnetiche, focalizzandosi sulle misure e simulazioni di schermatura elettromagnetica dei vari materiali. Le simulazioni iniziali, utilizzando il software CST Studio Suite, hanno fornito un mezzo accurato per confrontare i risultati con le misurazioni sperimentali effettive.
Particolare attenzione è stata dedicata ad una tipologia di materiale con superficie irregolare. In sintesi, il terzo trimestre ha rappresentato una fase chiave in cui le caratterizzazioni elettromagnetiche hanno permesso di ottenere una comprensione approfondita delle performance schermanti dei materiali, con particolare attenzione a tipologie con superficie irregolare.
IV trimestre. Progettazione guida d’onda e sviluppi futuri Nel quarto trimestre, è stata progettata una nuova guida d'onda seguendo lo standard ASTM D4935 per la misura dell'efficienza di schermatura elettromagnetica. Questo nuovo set-up estenderà la frequenza massima di misura a 4 GHz, consentendo la caratterizzazione di nuovi materiali in un range più ampio di frequenze. Per il futuro, si prevede di approfondire l'influenza della geometria dei vari materiali e di modellizzare quale sia l'effetto di fori su superfici conduttive per le prestazioni schermanti a diverse frequenze. Si pianifica anche di validare le misure e i modelli sviluppati attraverso misure in camera riverberante, estendendo la frequenza di misura fino a 40 GHz. In conclusione, il quarto trimestre non solo ha segnato la progettazione e l'implementazione di una guida d'onda avanzata, ma ha anche tracciato una chiara visione per gli sviluppi futuri, promuovendo la comprensione e ottimizzazione continue delle caratteristiche elettromagnetiche dei materiali in esame.

Nicola Pesce
trimestre Modellizzazione dei Coefficienti Piezoresistivi per Materiali Nanostrutturati (Thick Film Resistors):sono stati modellizzati i coefficienti piezoresistivi dei materiali nanostrutturati a base di grafene utilizzando un approccio tipico per i resistori a film spesso.
II trimestre. Misurazione dei Coefficienti Piezoresistivi tramite Esperimenti: utilizzando un sistema sperimentale appositamente concepito per test di trazione, sono stati calcolati i gauge factors GFl e GFt dei rivestimenti realizzati per ottenere i rispettivi coefficienti piezoresistivi , che sono stati poi inseriti in una simulazione agli elementi finiti (FEM) per riprodurre il comportamento dei rivestimenti.
III trimestre. Realizzazione di Tappetini Porosi Piezoresistivi (Foam Mat Sensors) con Rivestimento a Base di Grafene: si è proceduto alla produzione di tappetini porosi, rivestiti con una soluzione di grafene a nanoparticelle (GNP) , sui quali implementare in seguito il protocollo di tomografia a resistenza elettrica( ERT) e applicare tecniche di machine learning per la classificazione in modo da realizzare un sistema di monitoraggio per le deformazioni meccaniche su ampie aree.
IV trimestre. Test dei Tappetini Porosi (FMS) tramite Utilizzo della Tecnica di Tomografia a Resistenza Elettrica (ERT). Applicazione di Algoritmi di Machine Learning (ML) per Classificazione.

Eleonora De Santis
III trimestre. Sintesi innovativa e caratterizzazione (calorimetria differenziale a scansione, spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier, conducibilità ionica) di sali fusi a temperatura ambiente (liquidi ionici) in qualità di componenti elettrolitici innovativi per realizzare batterie al litio dotate di maggiore sicurezza e affidabilità.
IV trimestre. Assemblaggio e caratterizzazione elettrochimica di celle al litio.

Gabriele Galbato Muscio
I trimestre. Sono stato introdotto al laboratorio, agli strumenti presenti e ai protocolli utilizzati. Mi sono concentrato nel raccogliere e studiare la bibliografia relativa agli attuatori soffici, con particolare riferimento a quelli elettrostatici, pneumatici ed elettrofluidici.
II trimestre. Sono stati realizzati dei primi campioni per sviluppare esperienza con la strumentazione e i protocolli. È stato studiato sperimentalmente l’effetto del campo elettrico sulle proprietà reologiche dei fluidi dielettrici utilizzati negli attuatori, per raccogliere dati utili alla modellazione dinamica degli stessi.
III trimestre. I risultati sperimentali delle proprietà reologiche dei fluidi dielettrici sono stati portati alla conferenza ICDL a Worcester. La presentazione ha ricevuto il premio di “best student oral presentation”. Successivamente è stata pubblicata in transaction. La ricerca sperimentale è continuata con l’individuazione di una geometria innovativa per gli attuatori, sono stati testati ulteriori spessori del polimero di shell e sono stati raffinati i protocolli sperimentali.
IV trimestre. È stato realizzato un prototipo del setup sperimentale necessario alla caratterizzazione meccanica degli attuatori, sono stati ottenuti i primi risultati da cui sono stati dedotti i parametri geometrici necessari all’attuazione. È stato elaborato il software necessario per l’interfacciamenti tra misuratore di capacità (RLC meter) e sensore di distanza attraverso Matlab, sono state realizzate le prime misure di correlazione capacità-deformazione. È stato elaborato un modello geometrico per quantificare la contrazione e ottimizzare i parametri geometrici. Sono stati predisposti i disegni per la realizzazione dei campioni necessari a validare il modello. Sono stati ordinati i componenti elettronici necessari alla realizzazione dei nuovi generatori di alta tensione, sono state richieste le offerte per i componenti necessari alla realizzazione del nuovo setup di caratterizzazione meccanica.

Olga Krymskaya
III trimestre. Analisi della letteratura scientifica relativa al water splitting e alla fotocatalisi artificiale, con l'obiettivo di individuare i materiali più efficienti nell'utilizzo della radiazione solare per tali applicazioni. I materiali più promettenti e che soddisfano i criteri elencati sono risultati essere quelli appartenenti alla famiglia dei niobati, in particolar modo i niobati di sodio e potassio nelle diverse concetrazioni di Na, K con eventuali droganti. NaNbO3, KNbO3 e K0.5Na0.5NbO3 (KNN) e loro eventuali variazioni, grazie alla loro struttura perovskitica, presentano una banda proibita ottica adeguata (3.17 – 3.40 eV), che consente di sfruttare efficacemente la componente visibile della radiazione solare per innescare reazioni fotoindotte.
IV trimestre. 1. Studio della letteratura attualmente disponibile riguardante la sintesi dei materiali inorganici perovskitici basati sul niobio, tra cui NaNbO3, KNbO3 e K0.5Na0.5NbO3 (KNN) per la preparazione dei target necessari alla realizzazione dei film sottili mediante la tecnica di Pulsed Laser Deposition (PLD). 2. Preparazione dei target dei materiali di interesse: NaNbO3, KNbO3 e due diverse composizioni di KNN, K0.46Na0.54NbO3 e K0.54Na0.46NbO3 3. La crescita dei film sottili basati sulle perovskiti NaNbO3, KNbO3 e K0.46Na0.54NbO3 mediante la tecnica PLD e la caratterizzazione strutturale dei film così prodotti. Questa fase ha consentito lo studio della struttura e della qualità cristallografica dei film depositati.

Micol Di Veroli
Il primo periodo del mio dottorato di ricerca è stato dedicato alla ricerca bibliografica sui metodi di sintesi dei precursori di materiali catodici. Mi sono concentrata soprattutto sulla sintesi tramite precipitazione, come idrossidi, carbonati e ossalati. Successivamente, ho sintetizzato materiali catodici utilizzando alcuni dei precursori ottenuti durante il mio tirocinio magistrale. A questi precursori ottenuti tramite co-precipitazione di soluzioni a concentrazione di metalli di 2M, 1M e 0.2M, ho aggiunto Li2CO3. Dopo una macinazione manuale, i materiali sono stati sottoposti a calcinazione. Il processo di calcinazione ha comportato un primo riscaldamento a 500°C per 6 ore, con una rampa di temperatura di 2°C/min, seguito da un secondo riscaldamento a 850°C per 12 ore, con una rampa di temperatura di 3°C/min. Ho caratterizzato i materiali catodici tramite spettroscopia di assorbimento atomico (AAS) per verificare la composizione chimica. I risultati della caratterizzazione hanno evidenziato un difetto stechiometrico di litio. Di fronte ai risultati insoddisfacenti, ho cercato di modificare il metodo di macinazione. Ho aggiunto Li2CO3 al precursore NMC-C2O4 (2M, pH 6.5, 24 ore), previamente posto in stufa per 24 ore a 100°C. La macinazione è stata eseguita tramite ball milling, utilizzando giare di acciaio. Il processo è stato condotto a una velocità angolare di 400 rpm e per un periodo di 1 ora. Dopo la macinazione, ho posto il precursore miscelato a Li2CO3 in una muffola e ho avviato la calcinazione. I parametri di calcinazione sono rimasti invariati. L'ossido ottenuto, NMC811, è stato caratterizzato tramite AAS. I risultati hanno mostrato un difetto di litio, con un rapporto molare (Ni+Co+Mn):Li pari a 1:0.84, invece del valore desiderato di 1:1.
Ho eseguito una seconda caratterizzazione tramite AAS del precursore NMC-C2O4 (2M, pH 6.5, 24 ore) per confermare i risultati della prima caratterizzazione. Poi ho pesato una certa quantità di precursore e ho aggiunto Li2CO3in rapporto stechiometrico 1:1 rispetto al precursore. Ho eseguito una macinazione manuale e ho sottoposto la miscela alla stessa procedura di calcinazione utilizzata precedentemente. L'ossido ottenuto, caratterizzato tramite AAS, ha mostrato un difetto di litio ancora maggiore, con un rapporto molare (Ni+Co+Mn):Li di 1:0.75, invece del valore teorico di 1:1.
A questo punto, ho pensato di aggiungere Li2CO3 dopo il primo riscaldamento (a 500°C per 6 ore, con una rampa di temperatura di 2°C/min). L'ossido ottenuto è stato nuovamente caratterizzato tramite AAS e ha mostrato un difetto di litio superiore rispetto agli ossidi ottenuti aggiungendo litio prima di entrambe le calcinazioni, raggiungendo un rapporto molare (Ni+Co+Mn):Li di 1:0.71, invece del valore desiderato di 1:1.
Per verificare se il problema potesse derivare dallo strumento di AAS, ho analizzato l'ultimo NMC811 sintetizzato con la nuova procedura e un campione di NMC811 commerciale tramite ICP. I risultati ottenuti dall'ICP sono stati coerenti con quelli ottenuti tramite AAS.
Sulla base dei risultati ottenuti, ho messo a calcinare tre campioni di catodo, staccando il tubo dell'areazione e disattivando la ventilazione durante la fase di calcinazione. A ciascun campione di precursore (2M, pH 6.5, 24 ore), ho aggiunto rispettivamente il 10% in eccesso di Li2CO3, il 40% in eccesso di Li2CO3 e il 10% in eccesso di Li2CO3, coprendo solo uno dei due crogioli contenenti il 10% in eccesso di Li2CO3 con un coperchio (un altro crogiolo più grande). La calcinazione è stata effettuata seguendo gli stessi parametri di temperatura. I risultati migliori si sono ottenuti con il campione a cui è stato aggiunto il 40% in eccesso di Li2CO3, che presentava comunque un difetto di litio del 20%.
Sulla base dei recenti lavori in letteratura, ho deciso di utilizzare il LiOH∙H2O come fonte di litio, poiché ha una temperatura di decomposizione termica inferiore rispetto al Li2CO3. Al precursore NMC-C2O4 (2M, pH 6.5, 24 ore), ho aggiunto il 10% in eccesso di LiOH∙H2O. La calcinazione è stata effettuata seguendo la stessa procedura di temperatura. Parallelamente, ho preparato degli standard per la caratterizzazione tramite assorbimento atomico (AAS):
- Standard 1: 0.5 mL di standard Ni, 0.05 mL di Co, Mn e Li.
- Standard 2: 0.7 mL di standard Ni, 0.1 mL di Co, Mn e Li.
- Standard 3: 1 mL di standard Ni, 0.2 mL di Co, Mn e Li.
L'ossido ottenuto è stato caratterizzato tramite AAS e ha mostrato un difetto di litio inferiore, raggiungendo un rapporto molare (Ni+Co+Mn):Li di 1:0.81, invece del valore teorico di 1:1. Si è ipotizzato quindi che il difetto di litio nel materiale catodico finale potesse dipendere dall'interazione del materiale con il crogiolo durante la fase di calcinazione. Di conseguenza, ho sintetizzato un nuovo materiale catodico utilizzando un crogiolo di allumina anziché ceramica. L'ossido ottenuto è stato caratterizzato tramite AAS e ha mostrato un rapporto molare desiderato (Ni+Co+Mn):Li di 1:1. Analizzando la composizione dei precursori sintetizzati, è emerso che solo controllando il pH a 6.5 durante la co-precipitazione si otteneva la stechiometria desiderata. Viceversa, lavorando a pH spontaneo si ottenevano materiali sottostechiometrici rispetto al manganese.I materiali ottenuti sono stati caratterizzati tramite SEM. Le immagini ottenute hanno mostrato che il materiale è costituito da particelle micrometriche, principalmente sferiche. Per ciascun materiale, è stata eseguita un'analisi delle immagini mediante il programma ImageJ, da cui sono state ricavate informazioni relative al diametro medio delle particelle e alla loro distribuzione dimensionale.
Sulla base dei risultati ottenuti, ho riprodotto sei esperimenti di co-precipitazione, controllando il pH a 6.5 mediante l'aggiunta di NaOH 2M (idrossido di sodio), utilizzando concentrazioni dei metalli in soluzione di 0.2M, 1M e 2M, e tempi di reazione di 6 ore e 24 ore. Successivamente, ho eseguito la caratterizzazione chimica (AAS/ICP), morfologica (SEM) e dimensionale dei sei precursori ottenuti. Questi precursori hanno subito un trattamento termico a 500°C per 5 ore. In seguito, è stato aggiunto LiOH∙ H2O (al 10% in eccesso) e sono stati calcinati seguendo i suddetti parametri di temperatura.
Anche sui materiali catodici ho effettuato una caratterizzazione chimica (AAS/ICP) e morfologica (SEM). Tra i sei precursori sintetizzati, quello che ha mostrato la migliore morfologia e distribuzione dimensionale è stato ottenuto utilizzando alte concentrazioni (2M) e lunghi tempi di co-precipitazione (24 ore).
Tuttavia, mentre la stechiometria è stata mantenuta, la morfologia sferica del precursore è stata persa durante il trattamento di calcinazione.
Le possibili tecniche di ottimizzazione del materiale catodico, come presentate in letteratura, includono:
1) Modifica dei parametri di calcinazione.
2) Modifica della tecnica di macinazione.
3) Rivestimento (coating).




Ursula Grunwald Romera
Il presente progetto di dottorato si è concentrato sullo studio delle fibre minerali artificiali attraverso metodi innovativi. In particolare, l'obiettivo è quello di ottenere una caratterizzazione più rapida e sicura per i lavoratori esposti a materiali fibrosi, al fine di sviluppare un processo sistematico di caratterizzazione e classificazione di questi materiali per la necessaria gestione dei rifiuti. Questa opportunità nasce dalla mancanza di una tecnica di classificazione rapida durante la rimozione o lo smantellamento di impianti sia domestici che industriali. Le installazioni più recenti sono dotate di schede di sicurezza che includono tutte le caratteristiche del materiale da utilizzare e le analisi a cui sono state sottoposte, comunque, durante i lavori sopra citati, se si trova tale materiale, non è possibile stabilire a priori la natura non pericolosa o pericolosa della fibra minerale e se è mescolata con altre fibre pericolose, come l'amianto. Le fibre artificiali vetrose ("man-made vitreous fibres", MMVF, in inglese), precedentemente chiamate anche fibre minerali artificiali, sono un gruppo di materiali non cristallini (vetrosi o amorfi). Il termine descrive generalmente le fibre inorganiche prodotte principalmente da vetro, rocce, minerali, scorie e ossidi inorganici processati. A causa delle loro caratteristiche fisiche relativamente simili all'amianto, sono state utilizzate principalmente come isolanti termici e acustici e come protezione antincendio, nell'industria e nell'uso domestico.
Ricerca bibliografica
Al fine di contestualizzare l'oggetto di studio, uno dei principali compiti della ricerca , relativamente a questo primo anno, è stato quello di effettuare una ricerca bibliografica (con oltre 130 documenti analizzati, tra cui pubblicazioni scientifiche; legislazione europea, italiana e americana; relazioni di organismi ufficiali e libri). Una volta contestualizzato il quadro teorico, si è proceduto alla definizione e alla redazione di una review sullo stato dell'arte della MMVF che servirà come punto di partenza strutturale e metodologico per lo sviluppo finale della tesi. La rassegna è stata organizzata in quattro blocchi fondamentali. In primo luogo, è stato definito un inquadramento storico, che riassume brevemente come l'informazione scientifica sui rischi professionali dell'esposizione ai MMVF si sia evoluta nella storia recente, soprattutto tenendo conto delle informazioni già ottenute in precedenza sui rischi associati all'amianto. Sono state inoltre illustrate la sua classificazione e le informazioni di base sulla sua produzione, usi e applicazioni. Tenendo presente che uno degli obiettivi finali della tesi è la sicurezza dei lavoratori, il successivo blocco di contenuti si è concentrato sulla definizione di fibre artificiali dal punto di vista della salute, ovvero si è cercato di capire fin da quando si è compreso il potenziale pericolo di questi materiali, le motivazioni, il modo in cui si è evoluto e, soprattutto, le caratteristiche che rendono pericolosa una fibra. In generale, si intende per fibra qualsiasi particella con una lunghezza maggiore o uguale a 5 µm e un rapporto lunghezza/diametro maggiore o uguale a 3:1. Ciononostante, non tutte le fibre sono respirabili. Secondo l'ultimo rapporto IARC (2002) una fibra respirabile è una particella con un diametro inferiore a 3 µm e una lunghezza superiore a 5 µm e con un rapporto lunghezza/diametro superiore a 3:1. Inoltre, viene spesso fissato un limite superiore di respirabilità di 250 µm. Altri parametri importanti spiegati nel documento sono la deposizione, la clearance, la ritenzione e la biopersistenza Per effettuare un'indagine dal punto di vista dell'innovazione industriale è stato essenziale studiare la legislazione sui MMVF e sulla gestione dei rifiuti, sia a livello italiano che europeo. Per concludere, viene introdotto il punto di partenza di quello che sarà l’argomento principale della tesi: i diversi metodi analitici standardizzati esistenti per determinare la pericolosità delle fibre. L’obiettivo è quello di sviluppare un metodo innovativo per classificare un materiale ignoto in modo rapido e sicuro per poi classificarlo come “rifiuto speciale non pericoloso” o “rifiuto speciale pericoloso”. Partendo dal presupposto che se durante l’analisi del materiale viene rilevato dell’amianto, questo diventa automaticamente pericoloso, la classificazione dei MMVF può essere riassunta come segue:
 MMVFs con ossido alcalino e ossido alcalino-terroso < 18% e > 18%, con diametro medio geometrico ponderato in lunghezza > 6 μm e meno di due errori standard geometrici: CER 170604, rifiuti speciali non pericolosi.
 MMVFs con ossido alcalino e ossido alcalino-terroso < 18 %, con diametro medio geometrico ponderato in lunghezza < 6 μm e meno di due errori standard geometrici: CER 170603, rifiuti speciali pericolosi.
 MMVFs con ossido alcalino e ossido alcalino-terroso > 18 %, con diametro medio geometrico ponderato in lunghezza < 6 μm e meno di due errori standard geometrici: CER 170603, rifiuti speciali pericolosi. Questo materiale sarà classificato come non pericoloso se soddisfa i requisiti elencati nella Nota Q.
Questa review viene realizzata sotto forma di un articolo che sarà pubblicato su una rivista a breve. Sulla base di questo lavoro, abbiamo si è iniziato a svolgere alcune analisi con l'obiettivo di valutare l'applicazione delle tecniche HSI, già utilizzate per l'amianto, nel riconoscimento di diverse lane minerali attraverso processi di analisi delle immagini.
Attività di laboratorio
Una parte importante del primo anno è stata dedicata alla formazione sui metodi e sulle procedure utilizzate nei laboratori dell'INAIL. Ho imparato a conoscere i diversi strumenti e a preparare campioni specifici per le analisi SEM-EDS, FT-IR e DRX.
I campioni sono stati forniti dall'INAIL. Per questa prima fase esplorativa di caratterizzazione delle fibre minerali con HSI, la procedura seguita è stata la seguente:
 Preparazione di 24 campioni per il SEM-EDS con coating in oro.
 Analisi al SEM dei campioni per ottenere la composizione chimica media di ognuno di essi.
 Analisi con il SISUChemaXL (sistema HSI a infrarossi a onde corte) dei campioni per ottenere la firma spettrale tra 1000 e 2500 nm e le informazioni per l'analisi delle immagini.
 Selezione a vista supportata da una prima osservazione dell'analisi chimica dei diversi tipi di materiale. Per questa prima fase, sono state selezionate tre famiglie di fibre minerali: un materiale scuro, ad alto contenuto di calcio e alluminio ma medio di silice; un materiale chiaro, quasi bianco, a medio contenuto di calcio e basso contenuto di alluminio ma alto di silice e, infine, un materiale intermedio, né bianco né sporco, a basso contenuto di calcio, alluminio e silice. Questi campioni vengono aggiunti al cosiddetto “Calibration Dataset”.
 Creazione di due serie di dati a partire dai risultati ottenuti con l'HSI attraverso l'elaborazione chemiometrica: un set di dati di calibrazione e un set di dati di test. L'obiettivo di questo studio è identificare, in primo luogo, se un materiale sconosciuto contiene il gruppo dell'amianto o del MMVF e, nel caso in cui sia classificato come MMVF, determinare a quale dei tre tipi scelti appartenga.
 Pre-elaborazione, con il software Matlab Hypertools 3, di 4 campioni al fine di verificare se, effettivamente, è possibile differenziarli in qualche modo. Inizialmente è stato applicato applicato uno preprocessing in due fasi (scatter-correction methods e spectral derivatives) per creare un modello con il metodo PCA (Principal Component Analysis). Due dei modelli prodotti hanno ottenuto buoni risultati.
 Definizione finale del 'Calibration Dataset' con le fibre minerali precedentemente segnalate e quattro standard di fibre di amianto (da un precedente progetto BRIC tra Sapienza e Inail): crisotilo, amosite, crocidolite ed erionite.
 Definizione del "Test Dataset" con 5 campioni diversi da quelli utilizzati nel dataset precedente.
 Esecuzione, utilizzando il programma di analisi delle immagini Eingenvector (PLS e MIA Toolbox) per Matlab, di una una PCA gerarchica per la creazione di un modello in grado di differenziare, da un lato, l'amianto dalle MMVF e, dall'altro, all'interno delle MMVF, due famiglie, una in cui predomina il calcio, denominata Tipo 1, e l'altra in cui prevale la silice, denominata Tipo 2.
In questa prima fase della ricerca sono stati conseguiti promettinti risultati, che saranno presentati a novembre al congresso in Portogallo. Uno dei campioni aggiunti al "Test Dataset" era sconosciuto, sebbene la firma spettrale suggerisse che si trattasse di amianto. La modellazione lo ha chiaramente identificato nel gruppo "Asbestos", ma non è stata in grado di classificarlo chiaramente come crisotilo o amosite. Uno studio più attento con SEM-EDS ha rivelato che si tratta di un campione misto, contenente crisotilo, amosite e fibra di vetro. Pertanto, il modello HSI è stato in grado di identificare con successo un materiale pericoloso contenente amianto dai MMVF.
Nel secondo anno si lavorerà ulteriormente su questi modelli, con l'obiettivo di migliorarli e di arrivare a un'efficace differenziazione tra fibre minerali non pericolose e pericolose.

Alessia Pantaleoni
La rapida espansione dell’industria manifatturiera sta comportando una crescente richiesta di materiali caratterizzati da buone proprietà meccaniche, bassi costi di produzione e sostenibilità. Questa domanda viene ben soddisfatta dai materiali compositi. Nello specifico i materiali compositi fibro-rinforzati a matrice polimerica (FRP) hanno trovato applicazione in un’ampia varietà di settori industriali, come quello automobilistico, aeronautico, aerospaziale, navale, ecc., grazie alle loro elevate proprietà meccaniche specifiche, all’eccellente resistenza alla corrosione, all’isolamento termico e alla bassa espansione termica. Una recente indagine di mercato ha stimato che il mercato globale degli FRP potrebbe raggiungere $ 381.21 miliardi entro il 2028 con un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 7.8 % durante il periodo di previsione (2021-2026). Tuttavia, negli ultimi anni la crescente consapevolezza delle problematiche ambientali ha portato ad uno sviluppo di politiche volte a proteggere e salvaguardare l’ambiente. Fra queste sono state attivate normative locali, nazionali e persino globali (come il Protocollo di Kyoto), che mirano a indirizzare le industrie verso la riduzione dell’impatto ambientale e a incentivare l’uso di materie prime rinnovabili.
Questa condizione ha spinto la ricerca verso lo sviluppo di un’alternativa sostenibile ai tradizionali FRP: i materiali biocompositi. In questa categoria rientrano i compositi in cui la fase di rinforzo (la fibra) e/o la matrice (il polimero) sono di origine naturale e biodegradabili.
I compositi rinforzati con fibre naturali (NFRC) hanno quindi attirato una grande attenzione sia nell’ambito industriale che accademico, in quanto rispetto ai tradizionali FRP, che impiegano fibre sintetiche più impattanti come le fibre di vetro e di carbonio, questi presentano le specifiche caratteristiche meccaniche richieste a un composito FRP combinate a un profilo ecosostenibile. Una recente indagine di mercato ha stimato che il mercato dei NFRC raggiungerà 4.01 milioni di tonnellate entro la fine del 2023, ed avrà un tasso di crescita annuale composto (CAGR) superiore al 9 % nel periodo 2023-2028. Tuttavia, ci sono due principali problematiche che devono essere affrontate per poter espandere le aree di applicazione degli NFRC: la scarsa compatibilità interfacciale fibra-matrice, che ne riduce le proprietà meccaniche complessive, e la scarsa resistenza al fuoco e stabilità termica che ostacolano l’uso commerciale degli NFRC in alcune applicazioni ingegneristiche, in particolare nel settore dei trasporti e aerospaziale, dove le norme di sicurezza antincendio sono più stringenti. È dunque chiara la necessità di individuare trattamenti ritardanti di fiamma (FR) sostenibili ed efficaci per ampliare i settori di utilizzo dei materiali biocompositi e garantirne un utilizzo sicuro. Gli FR attualmente in commercio differiscono per composizione chimica e modalità d’azione e possono quindi essere classificati in base a diverse caratteristiche. Negli anni ‘70 è stata introdotta sul mercato un’ampia gamma di ritardanti di fiamma a base di alogeni. Questi agiscono principalmente in fase gassosa risultando efficaci anche per bassi livelli di carico; tuttavia sono risultati tossici per l’uomo e per l’ambiente, dunque l’Unione Europea ha emanato una legislazione volta a ridurre o porre fine all’utilizzo e vendita di alcuni ritardanti di fiamma alogenati. Questa condizione ha portato ad un aumento della domanda di FR non alogenati e derivati da risorse rinnovabili. Secondo una recente indagine di mercato, si stima che il mercato dei ritardanti di fiamma privi di alogeni raggiungerà i $ 11.63 miliardi entro il 2030 con un tasso di crescita annuale composto del 9.12 % per il periodo di revisione 2023-2030.
In questo contesto, il progetto di ricerca mira a sintetizzare FR a base di fosforo come efficace alternativa ai sistemi alogenati. Questi si distinguono per la loro versatilità in termini di struttura (possono essere sia di tipo organico che inorganico), contenuto di P (ad esempio, il fosforo rosso ha una concentrazione del 100 %, mentre il 9,10-diidro-9-oxa-10-fosfofenantrene-10-ossido (DOPO) ha una concentrazione del 14.33 %) e stato di ossidazione del fosforo (che può variare da 0 a +5, con conseguente variazione del meccanismo di ritardo di fiamma). Questa modulabilità rende il fosforo un elemento unico per la progettazione di FR, consentendo di ottenere proprietà specifiche coerenti con il tipo di matrice selezionata. Fra le metodologie di applicazione dei ritardanti di fiamma ai materiali compositi l’incorporazione nella matrice polimerica è la tecnica più comune per migliorare la resistenza al fuoco degli FRP; tuttavia, le prestazioni meccaniche sono spesso ridotte a causa dell’incompatibilità tra la matrice polimerica e gli additivi FR. Alcuni FR possono anche aumentare la viscosità del polimero, rendendo il composito più difficile da lavorare.
Un altro approccio consiste nell’innestare il FR sulla fibra di rinforzo. Questa strategia non influisce sulle proprietà meccaniche del composito e riduce l’effetto "wicking". È particolarmente utilizzata per i compositi rinforzati con fibre vegetali, poiché queste presentano un'elevata quantità di gruppi polari funzionalizzabili in superficie. Altre fibre, invece, come le fibre di carbonio e di basalto (BF), hanno una superficie inerte e una ridotta quantità di gruppi polari, rendendo difficile l’interazione ritardante di fiamma-fibra. Inoltre, alcuni studi riportano che l’innesto di FR di tipo organico sulla superficie della fibra può migliorare la compatibilità interfacciale fibra-matrice, ottenendo un composito con migliori proprietà meccaniche e resistenza al fuoco.
In questo contesto l’obiettivo principale del progetto è sintetizzare rivestimenti FR a base di fosforo per fibre naturali, che possano essere utilizzate come rinforzo per i materiali biocompositi, con lo scopo di migliorare così la resistenza al fuoco e la durabilità del composito nel suo complesso.
In particolare, in questo primo anno il progetto di dottorato si è concentrato sullo sviluppo di un FR contenente fosfonato di ferro, in grado di formare un rivestimento di tipo covalente sulla superficie della fibra naturale. Il primo step di rivestimento prevede l’immobilizzazione di unità di acido gallico (GA) mediante la formazione di legami estere con i gruppi idrossilici presenti sulla superficie della fibra. L’acido gallico è un acido fenolico di origine biologica presente nella biomassa vegetale, sia "tal quale" che come parte dei tannini. Nel secondo step, ispirandosi al processo batterico di acquisizione del ferro dall’ambiente circostante, le unità di GA immobilizzate sulla superficie della fibra naturale vengono sfruttate per la complessazione del fosfonato di ferro.
Una delle proprietà che rende i ritardanti di fiamma alogenati altamente efficaci è la loro capacità di agire in fase gassosa. I FR a base di fosforo, se opportunamente progettati, possono agire con lo stesso meccanismo. In letteratura esistono lavori che dimostrano la capacità del fosfonato di ferro di agire sia in fase gassosa che condensata. Si prevede quindi che le fibre rivestite, se utilizzate come rinforzo per i materiali compositi, produrranno in caso di incendio acido fosforico favorendo la formazione di uno strato carbonioso e rilasciando specie radicaliche in grado di inibire il processo di combustione. Il rivestimento FR è stato progettato per essere applicabile su un ampio spettro di fibre naturali. Nello studio, come modello, sono state scelte le fibre di diversa origine: fibre di basalto e di lino. Le prime presentano una superficie inerte e una ridotta quantità di gruppi polari, mentre le seconde presentano una certa quantità di gruppi -OH. Queste vengono pretrattate con ozono (O3) per incrementarne i gruppi -OH superficiali, necessari per l’innesto del FR.
METODOLOGIA
Rimozione del sizing dalle fibre di Basalto
I tessuti di basalto in commercio sono in genere costituiti da fibre superficialmente trattate con agenti compatibilizzanti di tipo silanico o epossidico. Per favorire l’adesione del rivestimento ritardante di fiamma tali fibre devono quindi essere pre-trattate per la rimozione del sizing commerciale. Tre tessuti di basato (BF) di dimensione 18 cm × 18 cm (324 cm2) sono stati posti in un recipiente a cui sono stati aggiunti 1000 mL di acetone (fino a completa immersione del tessuto). Il recipiente è stato sigillato e il tessuto è stato lasciato in immersione per 48 h a temperatura ambiente. L’avvenuta rimozione del sizing è stata confermata mediante spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR).
Funzionalizzazione delle fibre naturali con gruppi idrossilici
Le fibre di lino e basalto sono state pretrattate con O3. È stato utilizzato un generatore di ozono Salinovo, alimentato ad aria con una velocità di diffusione massima di 0.5g/h. 324 cm2 di tessuto (1 tessuto di dimensioni 18 cm × 18 cm) sono stati collocati nella camera di ozonizzazione, avente un volume di 1000 cm3. L’ozono è stato fatto fluire all’interno attraverso una piastra di diffusione porosa. Il trattamento è stato effettuato per un tempo massimo di 7 ore.
Sintesi del galloil cloruro
L’acido gallico (63.75 g, 374 mmol) e il THF anidro (45 mL, 701 mmol) sono stati inseriti in un pallone a collo singolo. Successivamente sono stati aggiunti cloruro di tionile (90 mL, 461 mmol) e N,N-dimetilformammide (DMF) (0.35 mL, 4.5 mmol). La miscela di reazione è stata riscaldata a 80 °C per 3 h. Al termine del tempo di reazione, il solvente e l’eccesso di SOCl2 sono stati rimossi sotto vuoto dalla miscela di reazione. Il galloil cloruro grezzo è stato utilizzato per la reazione successiva senza ulteriori purificazioni.
FT-IR (cm-1): 2800-3400 (O-H stretching); 1715, 1632 (C=O stretching), 736, 693, 646, 589 (C-Cl stretching).[19]
1H NMR (400 MHz, chloroform-d): δ 7.46 (s, 2H, Ar-H).
Rivestimento delle fibre naturali con sistema FR
Il galloil cloruro ottenuto (5.13 g) è stato sciolto in TAME (12 g, 0.12 mol) per ottenere una soluzione al 30 % p/p. Un tessuto di 3 cm × 3 cm è stato immerso in 20 mL di soluzione e il sistema è stato mantenuto sotto agitazione per 2 h. Successivamente il campione è stato lavato con H2O deionizzata e asciugato in forno ventilato a 100 °C per 2 h.
Il tessuto funzionalizzato con unità di acido gallico (T-GA) è stato trasferito in un recipiente contenente 16 mL di H2O deionizzata a cui sono stati aggiunti 4 mL di soluzione acquosa di FeCl3·6H2O (0.014 g, 0,05 mmol). Il sistema è stato mantenuto sotto agitazione e il PPA (0,016 g, 0,1 mmol), disciolto in 4 mL di H2O deionizzata, è stato aggiunto goccia a goccia dopo 6 h. La reazione è proseguita a temperatura ambiente per 12 h. Il tessuto modificato con fosfonato di ferro (FeP-T) è stato quindi lavato con acqua deionizzata ed essiccato per una notte in un forno ventilato a 85 °C.
Il progetto ha preso come modello tessuti di lino (FF) e tessuti di basalto (BF)
Considerando la natura intrinsecamente inerte della superficie delle fibre di basalto, è stata necessaria la rimozione del sizing commerciale dalla loro superficie per incrementare la disponibilità di gruppi -OH liberi. La rimozione è avvenuta mediante immersione in acetone a temperatura ambiente.
Nello spettro IR del BF non trattato, gli assorbimenti a ≈ 1510 cm-1 possono essere assegnati allo stretching C-C degli anelli aromatici, tipico dei sizing epossidici. Questi segnali scompaiono nello spettro del BF trattato, confermando l’efficacia del trattamento con acetone.
Come ulteriore conferma dell’efficacia del trattamento, il sizing estratto è stato analizzato mediante FT-IR. Lo spettro IR ha rivelato gli assorbimenti caratteristici delle resine epossidiche: 1608 cm-1 (stretching C = C degli anelli aromatici), 1509 cm-1 (stretching C-C dei gruppi aromatici), 1039 cm-1 (stretching C-O-C degli eteri) e 828 cm-1 (stretching C-O-C del gruppo ossiranico). La rimozione del sizing è stata confermata anche mediante analisi morfologica al SEM. Le micrografie mostrano infatti l’assenza di rivestimenti superficiali a seguito del trattamento in acetone.
I BF e FF sono stati pretrattati con ozono (O3) per aumentare ulteriormente i gruppi -OH superficiali. L’O3 è quindi proposto come alternativa più sicura ad altri trattamenti chimici ossidanti, generalmente utilizzati a questo scopo, come ad es. la soluzione piranha, altamente corrosiva e difficile da maneggiare. Lo spettro di BF-O3 mostra nuovi assorbimenti a 1637 cm-1 e 3365 cm-1 associati rispettivamente all’acqua adsorbita e allo stretching Si-OH, mentre lo spettro FF-O3 mostra un nuovo assorbimento a 1712 cm-1 associato al gruppo -COOH, che confermano la formazione di gruppi funzionali contenenti ossigeno sulla superficie dei tessuti. I tessuti pretrattati e non trattati sono stati caratterizzati mediante analisi termogravimetrica (TGA). Il BF non trattato mostra una riduzione dello 0.82 % circa in peso nell’intervallo di temperatura 200-300 °C dovuta alla decomposizione del sizing commerciale, perdita nettamente superiore rispetto al BF trattato con acetone, a dimostrazione dell’efficacia del trattamento di rimozione del trattamento superficiale. Il termogramma di BF-O3 mostra una riduzione di peso tra 70 °C e 170 °C causata dalla perdita di molecole d’acqua fisicamente adsorbite. La perdita di peso nell’intervallo di temperatura 200-300 °C (0.72%) del BF-O3 è maggiore rispetto a quella riscontrata nel BF senza sizing, presumibilmente a causa della perdita di gruppi idrossilici superficiali acquisti mediante trattamento con ozono. Le analisi effettuate non hanno rivelato alcuna riduzione di peso significativa associata alla degradazione della fibra di basalto fino a 600 °C. Il termogramma del FF-O3 mostra che la decomposizione della cellulosa, principale componente della fibra di lino, ossidata ha lo stesso andamento della degradazione della cellulosa non trattata, tuttavia si osserva una diminuzione della temperatura di degradazione della lignina. Ciò è probabilmente dovuto all’elevata affinità che l’ozono ha verso i fenoli e i polifenoli e alla bassa affinità verso etanolo e glucosio. Il pretrattamento con O3 influisce sulla struttura della lignina che dunque mostra una termostabilità lievemente ridotta, mentre la struttura cristallina della cellulosa non ne viene influenzata.
Le fibre pretrattate (BF-O3 e FF-O3) sono poi state modificate innestando sulla loro superficie il nuovo rivestimento FR. In una prima fase sono state immobilizzate covalentemente (mediante la formazione di un legame estere) unità di acido gallico sulla superficie dei tessuti (BF-GA e FF-GA). Questa immobilizzazione è avvenuta sfruttando la reazione fra il cloruro acilico derivato dall’acido gallico [26] e i gruppi -OH superficiali delle fibre. Lo spettro di BF-GA mostra segnali che possono essere associati alle unità di acido gallico legate alla fibra: l’ampio assorbimento nell’intervallo tra 3000 cm-1 e 3600 cm-1 è dovuto allo stretching O-H dell’anello fenolico, gli assorbimenti a 1611 cm-1, 1525 cm-1 e 1445 cm-1 sono dovuti allo stretching C-C dell’anello aromatico. Mentre i segnali a 1270 cm-1 e 1017 cm-1, insieme al pattern generale di assorbimento osservato nell’intervallo 1000 cm-1-1300 cm-1, sono dovuti rispettivamente allo stretching C-O e al bending O-H. Lo spettro di FF-GA mostra l’assorbimento a 1687 cm-1, dovuto allo stretching C=O del legame estereo, gli assorbimenti a 1609 cm-1, 1534 cm-1 e 1444 cm-1, dovuti allo stretching C-C dell’anello aromatico, e gli assorbimenti a 1312 cm-1, 1231 cm-1, 1200 cm-1 e 1161 cm-1 dovuti allo stretching del legame C-O e al bending del legame O-H legati alla presenza delle unità di acido gallico. Inoltre, l’assorbimento a 801 cm-1 può essere associato allo stretching del C-C del gruppo fenolico.
I tessuti BF-GA e FF-GA sono stati inoltre caratterizzati mediante analisi SEM. In entrambe le micrografie è possibile osservare materiale legato alla superficie dei tessuti. I gruppi fenolici delle unità di GA sono stati poi sfruttati per la complessazione del FeIII. La reazione è avvenuta in acqua a temperatura ambiente, poiché il FeCl3 in acqua si dissocia in Fe(OH)3 e HCl, fornendo allo stesso tempo lo ione metallico per la complessazione con gli atomi di ossigeno dei gruppi fenolici e raggiungendo un pH<5. In queste condizioni di pH, si possono ottenere complessi mono-catecolati di ferro (III).
Al sistema di reazione viene poi aggiunto il PPA. Gli atomi di ossigeno della parte fosfonata sono in grado di legarsi fortemente al FeIII portando alla formazione del fosfonato di ferro, che risulta strettamente legato alla superficie della fibra grazie alla sua complessazione con le unità di acido gallico (F-GA-FeP). I tessuti di basalto e lino così rivestiti sono stati analizzati mediante analisi SEM-EDS (Figura 6) che ha rivelato, per entrambi i tessuti (BF-GA-FeP e FF-GA-FeP), un rivestimento di forma globulare sulla superficie, mentre lo spettro EDS mostra un’elevata quantità di P e Fe, a conferma che il materiale legato alle fibre è il fosfonato di ferro. La quantità di Fe sui tessuti BF-GA-FeP e FF-GA-FeP è stata misurata mediante analisi MP-AES (Spettroscopia di Emissione Atomica al Plasma a Microonde). I campioni mostrano un carico di ferro, rispettivamente, dello 0.1% p/p e 0.3% p/p, confermando la complessazione FeIII - unità di acido gallico sulla superficie dei tessuti trattati.

Pietro Cocozza
Il presente progetto di dottorato si concentra sulla caratterizzazione e monitoraggio delle micro, meso e macroplastiche in diversi comparti ambientali. Le microplastiche sono particelle di plastica con dimensione tra 1 µm e 5 mm, le mesoplastiche variano tra 5 mm e 25 mm e le macroplastiche hanno una grandezza superiore ai 25 mm. Durante il mio primo anno di dottorato, l’attività di ricerca svolta è stata inquadrata nell’ambito di tre differenti casi studio:
• La caratterizzazione e il monitoraggio delle microplastiche campionate lungo il fiume Po. In questo progetto sono state analizzate le microplastiche campionate per 12 mesi, con cadenza mensile da maggio 2022 ad aprile 2023, in 6 stazioni differenti: Chivasso, Isola Sant’Antonio, Isola Serafini, Boretto, Pontelagoscuro, Po di Goro. Sono state analizzate circa diecimila particelle di microplastica mediante spettroscopia FT-IR per individuare la tipologia di polimero. Lo strumento utilizzato è un FT-IR ATR che opera nell’intervallo di lunghezze d’onda tra 4000 a 400 cm-1 mediante spettrofotometro IRAffinity-1S (Shimadzu) dotato di un interferometro di Michelson con un angolo di incidenza di 30°. I risultati ottenuti con questa tecnica analitica sono stati poi confrontati con quelli dell’analisi d’immagine iperspettrale.
Dopo la caratterizzazione si è proceduto all’elaborazione dei dati, al confronto dei risultati e alla valutazione delle potenziali sorgenti di emissione delle microplastiche.
È stato anche effettuato un confronto tra i risultati del campionamento del mese di febbraio 2023 e quelli di un precedente campionamento effettuato nello stesso mese dell’anno 2020, relativamente alle stesse 4 stazioni (Isola Serafini, Boretto, Pontelagoscuro e Po di Goro).
I risultati sono ancora in corso di elaborazione.
Per questo progetto sono state effettuate due missioni sul territorio:
- la prima il 02/02/2023 alla Struttura Oceanografica Daphne dell’ARPA Emilia Romagna per l’apprendimento sui metodi di estrazione delle microplastiche dalla matrice acquosa – biologica e prelievo di campioni.
- la seconda il 19/04/2023 sul Fiume Po in occasione dell’ultimo campionamento al fine di comprendere e ipotizzare le cause della presenza di microplastiche nel tratto di Chivasso e Isola Sant’Antonio.

• La caratterizzazione e il monitoraggio delle macroplastiche direttamente in situ sulla spiaggia della Riserva Naturale di Torre Guaceto (Puglia). In questo contesto oltre al prelievo di campioni sabbiosi contaminati da microplastiche, è stato utilizzato un sistema iperspettrale portatile con sensore da campo (DV Optics) che opera nell’intervallo del vicino infrarosso (1000-1700 nm) per effettuare delle acquisizioni all’interno del sistema interdunale, tra la vegetazione, su un’area target di 2 x 3 m2. Questo sistema è stato in grado di catturare le caratteristiche spettrali della maggior parte dei polimeri che costituiscono i rifiuti di plastica direttamente in loco. Le acquisizioni sono state effettuate in 8 scenari differenti cambiando ogni volta la disposizione degli oggetti sulla duna.
Dopo la caratterizzazione polimerica in loco, le macroplastiche marine prive di simbolo identificativo del polimero sono state analizzate con FT-IR ATR nei laboratori DICMA dell’Università di Roma “La Sapienza”. I risultati di questi primi test preliminari sono molto promettenti evidenziando la possibilità di identificare i principali tipi di polimeri che comunemente costituiscono i rifiuti di plastica direttamente in loco. Inoltre i risultati di questo studio sono stati oggetto di una presentazione a un congresso internazionale nell’Ottobre del 2023.

• La caratterizzazione e il monitoraggio delle microplastiche sulle spiagge dell'Isola di Vulcano (Isole Eolie). In questo caso studio è stata effettuata l’analisi di una campionatura avvenuta in precedenza. Qui sono stati effettuati 3 campionamenti a distanza di tre mesi l’uno dall’altro tra il 2021 e il 2022 nelle spiagge sabbiose dell’Isola di Vulcano: una collocata a Nord dell’Isola e una a Sud. Ogni sito è stato monitorato secondo un transetto diretto dalla linea di costa alla duna in quattro differenti punti. Per ogni punto è stato setacciato il sedimento sabbioso con un vaglio da 5 mm per un totale di 0.025 m2 di sabbia. In un secondo momento è avvenuta la caratterizzazione polimerica di 687 microplastiche mediante due diverse tecniche spettroscopiche: analisi con FT-IR e analisi d’immagine iperspettrale. Successivamente, in ambiente MATLAB® R2022a è stato utilizzato il software PLS_Toolbox (Eigenvector Research inc.) per analizzare le caratteristiche morfologiche e morfometriche delle microplastiche.
I risultati di questo studio saranno presentati a un congresso internazionale a Novembre 2023.
Tra le attività future programmate vi è l’elaborazione dei 3 casi studio ancora in corso al fine di sviluppare un dataset complessivo delle microplastiche provenienti da diverse matrici ambientali. Lo scopo ultimo è quello di effettuare un’analisi dei risultati per ipotizzare le fonti di immissione delle microplastiche in ambiente.

Ilario Biblioteca
Nel corso del secondo anno di dottorato è stato analizzato il processo di condizionamento con sodio di clinoptilolite naturale ai fini di una pubblicazione su Ceramics International. I risultati, riportati nel precedente documento, sono stati elaborati, confrontati con la più recente letteratura ed analizzati statisticamente. In parallelo sono stati analizzati campioni organici umani (capelli, feci, sangue, urine) provenienti da una campagna sperimentale in vivo preliminare per la rilevazione del contenuto di Nichel nell’organismo di pazienti affetti da disturbi dovuti al contatto o l’ingerimento di questo metallo. Con metodologia analoga sono state effettuate prove per la rilevazione del contenuto di metalli pesanti in mele commerciali coltivate tradizionalmente in suolo.
La procedura di condizionamento della clinoptilolite naturale è stata effettuata attraverso la preparazione di una soluzione di NaCl 2 M (EMPROVE® bio Ph.Eur., Merck KGaA, Germania) con un volume di 600 ml utilizzando acqua bidistillata. La soluzione è stata mescolata magneticamente con un agitatore a 200 giri al minuto per alcuni minuti fino a completa dissoluzione del sale. Successivamente, sono stati aggiunti 60.0 g di clinoptilolite naturale alla soluzione, la quale è stata lasciata in agitazione per 24 ore, a temperatura ambiente, con agitatore magnetico a 160 giri al minuto, ricoperta da parafilm. La sospensione ottenuta è stata filtrata utilizzando una beuta da vuoto da 2 litri per raccogliere il permeato. La sospensione è stata versata in un imbuto Buchner del diametro di 100 mm nel quale è stato alloggiato un disco di carta da filtro Whatman (Whatman® plc, UK) del diametro di 90 mm e con pori di 80 μm. Quando la soluzione è stata versata, è stato realizzato il vuoto con una pompa a membrana Laboport N86 KT18 KNF (KNF®, Italia). Il pH del filtrato è stato testato con un pHmetro Hanna Instruments HI12302 (Hanna Instruments®, USA) con tecnologia Bluetooth. Per il secondo lavaggio, la torta di filtraggio è stata ricoperta con un centimetro di acqua bidistillata e attivata la pompa del vuoto, infine, il deposito ottenuto è stato essiccato in forno a 110 °C per due ore e macinato a mano in un mortaio ceramico. Dopo il secondo lavaggio è stato misurato il pH dei filtrati ottenuti. La misura del pH come indicatore del lavaggio da effettuare è fondamentale per l'applicazione delle zeoliti condizionate come setaccio molecolare. Le zeoliti condizionate con NaCl potrebbero ospitare nei pori della struttura tracce di ioni metallici scambiati con sodio, ma che non hanno completamente controdiffuso per finire in soluzione, nonché ioni cloro precipitati sulla superficie o nei pori della struttura della zeolite stessa. Queste sostanze potrebbero ridurre l’efficienza di adsorbimento delle zeoliti inibendo alcuni siti attivi o ostruendo i pori altrimenti accessibili. Inoltre, tali sostanze potrebbero essere rilasciate indesideratamente nella soluzione da setacciare e nel caso specifico di un’applicazione nutraceutica questo potrebbe comportare un aumento delle controindicazioni del prodotto.
Dalle misure effettuate sulla clinoptilolite condizionata si è notato che dopo il primo lavaggio il pH del filtrato risulta debolmente acido (pH medio 6,41), mentre dopo il secondo lavaggio tende alla neutralità (pH medio 6,67). Alla tendenza verso la neutralità all'aumentare del numero di lavaggi (ΔpH medio 0,30) corrisponde una tendenza sempre decrescente da parte della zeolite a rilasciare ioni nella soluzione.
Dai risultati ottenuti dalla caratterizzazione delle clinoptiloliti nella loro forma naturale e condizionata con Na si possono confermare diversi aspetti per cui questo minerale sotto forma di polvere micronizzata potrebbe essere adatto come nutraceutico per ridurre il carico di metalli pesanti dal tratto gastrointestinale. Per quanto riguarda l’allergia al nichel, la capacità di scambio ionico della clinoptilolite rispetto allo ione Ni2+ è stata valutata attraverso test di adsorbimento in vitro. Le soluzioni di nichel simulano le condizioni del tratto gastrointestinale (pH 4.5, 37.5 °C) con una concentrazione iniziale di 2.0 mg/l e un tempo di permanenza di 3 ore. Le sospensioni risultanti sono state separate tramite filtrazione a vuoto e le soluzioni ottenute sono state analizzate tramite ICP-EOS per la rilevazione del Nichel residuo. I risultati hanno dimostrato che il processo di condizionamento migliora l'efficienza di rimozione dal 73±2% della clinoptilolite naturale al 96±1,5% della clinoptilolite condizionata. Attraverso l’analisi ed il confront dei pattern XRD è stato riscontrato che la struttura cristallina della clinoptilolite rimane inalterata a seguito del processo di condizionamento. La composizione chimica, rilevata tramite EDX in percentuale atomica, varia nella presenza di sodio (2.8%) nella forma condizionata, sostituito al calcio (4.3%) inizialmente presente nella clinoptilolite naturale. Le densità di entrambe le clinoptiloliti sono state ricavate da prove con picnometro ad acqua (2.20±0.055 g/cm3 naturale, 2.19±0.017 g/cm3 condizionata) e ad elio (2.238±0.0024 g/cm3 naturale, 2.227±0.0011 g/cm3 condizionata). La morfologia delle particelle, investigata al SEM, mostra un accumulo di sodio sulla superficie della clinoptilolite condizionata ed un conseguente piccolo aumento delle dimensioni medie delle particelle confermato dell’analisi granulometrica. Infine, dalle analisi effettuate con il metodo BET risulta che il processo di condizionamento non modifica la porosità del minerale in quanto i valori dell'area superficiale sono simili per le due clinoptiloliti analizzate (29.1 m2/g naturale e 30.3 m2/g condizionata).
In collaborazione con il Dipartimento di Gastroenterologia della Facoltà di Medicina alla Sapienza, è stata avviata una campagna sperimentale preliminare in vivo in cui sono state somministrate capsule edibili contenenti clinoptilolite naturale e condizionata a pazienti affetti da allergia al Nichel. La terapia consiste nell’assunzione quotidiana di tre dosi per venti giorni, dopo i quali si procede analogamente con con una capsula di tipo diverso. La terapia ha una durata di 60 giorni compresi 20 giorni in cui al paziente viene somministrata una sostanza placebo, innocua per il corpo umano. Nei giorni 1, 7 e 20 di ogni ciclo i pazienti forniscono campioni biologici per le rilevazione del contenuto di nichel nel loro organismo.
Feci, sangue e urine vengono centrifugate per separare il surnatante che viene prelevato e conservato a temperature prossime ai -18 °C. I campioni sono stati prelevati e misurati con una micropipetta calibrata dalle provette porta campioni e versati in becher da 50 ml. Per ogni singolo campione è stato usato un nuovo puntale per micropipetta. In tre becher da 100 ml sono stati versati i tre reagenti, acido nitrico al 65%, acido solforico al 97% e perossido di idrogeno al 30%, necessari all’attacco chimico. Con una pipetta Pasteur sono stati aggiunti, in ogni becher contenente materia organica, 2 ml di acido solforico. I becher sono stati agitati manualmente e lasciati agire per circa dieci minuti. Nei campioni di feci e urine non si sono verificate variazioni di colore eccessivi delle soluzioni o effervescenze, mentre nei campioni di siero si sono formati degli agglomerati solidi di colore bianco a seguito di una visible reazione. Successivamente, ad ogni campione, sono stati aggiunti 2 ml di acido nitrico goccia a goccia con una nuova pipetta Pasteur. All’aggiunta di acido nitrico si è generata effervescenza in tutti e tre i tipi di campione e, una volta terminata, sono stati aggiunti altri 2 ml di acido nitrico e lasciato decorrere l’effervescenza per altre tre volte. In totale sono stati aggiunti 8 ml di acido nitrico. I becher contenenti campione organico, acido solforico e acido nitrico sono stati posti su piastra riscaldata a 75 °C per 25 minuti. Una leggera effervescenza si è verificata in tutti i campioni. I matracci sono stati lasciati reagire e raffreddare per almeno un’ora e successivamente sono stati aggiunti 2 ml di perossido di idrogeno goccia a goccia molto lentamente. Ad ogni 2-3 gocce aggiunte ai campioni si è generata una forte e rapida effervescenza. I matracci sono stati poi lasciati su piastra riscaldata a 80 °C per un’ora e successivamente lasciati reagire e raffreddare per una notte. I campioni così trattati risultano trasparenti e limpidi tranne il siero che si presenta di colore giallo tenue e non limpido. Per verificare che la reazione sia completata sono state aggiunte a freddo delle gocce di perossido di idrogeno che non hanno generato effervescenza. I campioni raffreddati sono stati filtrati con carta in matracci da 20 ml e di seguito portati a volume con acqua bidistillata. Le soluzioni ottenute sono state analizzate ad ICP-EOS per la rilevazione di Nichel.
I campioni analizzati sono relativi a sette cicli da venti giorni in cui ogni paziente ha fornito campioni organici ai giorni 1, 7 e 20. La mancanza di dati è stata dovuta all’impossibilità di reperire il campione nel momento stabilito. Dei sette cicli da venti giorni considerati, tre sono stati effettuati assumendo clinoptilolite naturale, tre condizionata ed un ciclo con la sostanza placebo. Come evidente dai risultati non è possible stabilire una relazione causale tra i livelli di Nichel nei fluidi organici considerati e l’assunzione di clinoptilolite. D’altro canto i risultati ottenuti evidenziano che le concentrazioni relative tra i fluidi di uno stesso paziente nello stesso giorno risultano confrontabili. In ordine crescente, la concentrazione relativa ai campioni di feci è sempre circa 2-3 volte superiore a quella relativa al siero, infine, con rapporti variabili rispetto alle altre due concentrazioni, i livelli di Nichel nelle urine risultano sempre minori. Queste informazioni, combinate con i risultati di analisi di rilevazione di Nichel in tessuti organici umani aiuta la comprensione dei fenomeni di diffusione del Nichel in forma ionica all’interno dell’organismo umano.
Nell’ottica dell’applicazione di clinoptiloliti ad alta efficienza di rimozione dello ione Ni2+ in acque destinate ad impianti idrici di coltivazioni aeroponiche, risulta utile investigare i metodi per la rilevazione di metalli pesanti in alimenti ai fini di una comparazione dei prodotti della tradizionale coltivazione in suolo o l’alternativa aeroponica. Considerata la moltitudine di dati disponibili in letteratura, si è scelto di analizzare una mela commerciale proveniente da coltivazione tradizionale in suolo. La tecnologia disponibile per la valutazione della concentrazione di metalli pesanti in soluzioni è l’ICP-EOS. I metalli di nostro interesse sono Nichel, Zinco, Cromo, Piombo e Rame. In accordo con la letteratura più recente sono stati selezionati dei metodi di trattamento per la mela con lo scopo di ottenere una soluzione concentrata del contenuto inorganico della mela, ma con una concentrazione di carbonio preferibilmente non superiore ai 100 mgTOC/l. La presenza di carbonio organico nelle soluzioni da analizzare ad ICP-EOS genera delle interferenze di segnale che riducono la risposta relativa al metallo selezionato con conseguente sottostima del valore reale.
Per la preparazione dei campioni secchi, due mele commerciali, inizialmente lavate ed asciugate, sono state tagliate a cubetti da un centimetro cubo circa e messe ad essiccare per una notte in forno a 105 °C. La mela essiccata è stata macinata a mano in un mortaio ceramico e conservata in un barattolo chiuso alla temperatura di 4 °C. Il macinato ottenuto è stato utilizzato in tutti i trattamenti sperimentati.
TRATTAMENTO A
2.0 g di mela essiccata sono stati adagiati in un becher da 150 ml. Nello stesso sono stati versati 50 ml miscela HNO3:HClO4 (4:1) precedentemente preparata. Il becher è stato posto su piastra riscaldata a 250 °C fino ad evaporazione dell’acido. L’evaporazione avvenuta sotto cappa, impiega circa tre ore per ridurre il volume da 50 ml a circa 3 ml. La soluzione rimanente è stata fatta raffreddare, diluita con acqua bidistillata e filtrata, con carta filtro Whatman grado 42, in un matraccio da 20 ml dove viene diluita con acqua bidistillata fino al menisco del matraccio stesso.
TRATTAMENTO B
In un becher da 50 ml, contenente 1.0 g di mela essiccata, sono stati versati 15 ml di miscela HNO3:HClO4:H2SO4 (5:1:1). Il becher è stato posto su piastra riscaldata a 80 °C. La miscela ha reagito con produzione di schiume e leggeri vapori per un’ora circa. Dopo 20 ore complessive di trattamento termico la miscela risulta limpida ma di colore giallo tenue. Il becher è stato raffreddato e la miscela è stata diluita con acqua bidistillata, filtrata in matracci da 20 ml e portata a volume con acqua bidistillata.
TRATTAMENTO C
In un becher da 50 ml, a 0.5 g di mela essiccata sono stati aggiunti 10 ml HNO3. Il becher è stato lasciato una notte sotto cappa ricoperto da parafilm e successivamente posto su piastra riscaldata a 90 °C. Con una pipetta Pasteur sono stati aggiunti goccia a goccia 4 ml di HClO4 con produzione di effervescenza. Il becher è stato tenuto su piastra per 8 ore fino a raggiungere la trasparenza. La miscela è stata poi raffreddata, diluita con acqua bidistillata, filtrata in un matraccio da 20 ml e portata a volume.
TRATTAMENTO D
15 ml miscela acida HNO3:H2SO4:H2O2 (3:3:1) sono stati versati in un becher contenente 1.0 g di mela essiccata. Il becher è stato posto su piastra riscaldata a 80 °C. Dopo 20 ore il campione risultava limpido, ma di colore giallo. Il trattamento è stato comunque interrotto e la soluzione, dopo raffreddamento e diluizione, è stato filtrato e portato a volume in un matraccio da 20 ml.
I campioni ottenuti da questi quattro trattamenti sono stati analizzati per la rilevazione del contenuto di carbonio organico totale. Per evitare sovracarichi dello strumento, i quattro campioni ottenuti dai trattamenti sono stati diluiti con rapporto 1:10 e 1:100. Dai risultati mostrati in Tabella 2 ottenuti sui campioni maggiormente diluiti si evince che quelli che hanno raggiunto la trasparenza nel loro trattamento termico possiedono una concentrazione minore in termini di TOC. Tuttavia, solo il campione processato con il Trattamento A possiede una concentrazione di carbonio organico per cui è possibile analizzare il tal quale ad ICP-EOS.
I due campioni analizzati all’ICP-EOS (A1 e A2) sono stati entrambi preparati con il Trattamento A di digestione acida. Lo strumento ripete due volte le analisi per ogni campione, quindi, per ogni metallo analizzato sono stati mediati i quattro valori di concentrazione, la concentrazione media è stata moltiplicata per il volume della soluzione analizzata per l’ottenimento della massa del metallo presente nel campione. Infine, la massa di metallo è stata divisa per la massa organica trattata per l’ottenimento della concentrazione di metallo nella massa secca di mela. Le concentrazioni risultanti mostrano che il Trattamento A di digestione acida accoppiato all’analisi ad ICP produce risultati in linea con quelli riportati in letteratura e in accordo con le più recenti dichiarazioni della WHO in termini di limiti massimi consentiti del contenuto di metalli pesanti in alimenti.

Davide Gattabria
Il presente percorso di Dottorato PON, ovvero “Programma Operativo Nazionale”, è un percorso innovativo con caratterizzazione industriale, inteso a sostenere la promozione e il rafforzamento dell’alta formazione nonché la specializzazione post-laurea in coerenza con i bisogni del sistema produttivo nazionale. Il progetto proposto unisce le capacità di analisi offerte dalla spettroscopia nel visibile e nel vicino infrarosso alla valutazione delle proprietà di materiali ottenuti da un processo biocinetico di gestione dei rifiuti organici attraverso lo sviluppo di metodi statistici chimici (chemiometria). L'obiettivo principale di questo progetto è sviluppare procedure di monitoraggio ottico-digitale basate sull'analisi iperspettrale nei range del visibile e del vicino infrarosso. Queste analisi verranno condotte sui materiali risultanti dal trattamento biocinetico dei rifiuti organici, esaminando le caratteristiche del suolo, delle piante e dei frutti prima e dopo l'utilizzo del nuovo prodotto innovativo da valorizzare. La ricerca si articola in diverse fasi di studio.
L’attività di ricerca svolta nel corso di questo anno di dottorato si è focalizzata principalmente sul monitoraggio della crescita di piante mediante implementazioni di logiche chemiometriche applicate a spettri acquisiti in riflettanza e transflettanza (soluzioni acquose). Il monitoraggio è stato effettuato su piante di pomodoro coltivate mediante l’uso di acque reflue, proveniente da un impianto di depurazione. L’attività depurativa è determinata da complesse interazioni tra processi di tipo chimico, fisico e biologico, derivanti da un’azione combinata tra substrato, piante, refluo e microrganismi presenti. Con questa attività di ricerca si valuta la crescita di tali piante mediante la conoscenza dell’apporto nutritivo e lo sviluppo fenologico delle stesse.
Le Analisi in Componenti Principali (PCA) sono state effettuate sugli attributi spettrali acquisiti con lo spettrometro portatile JDSU MicroNIR™. Per quanto riguarda questa strumentazione, è in grado di acquisire spettri in riflettanza nel range dello spettro elettromagnetico che va da 950 a 1650 nm (NIR). Il MicroNIR™ è basato sull’utilizzo di un linear variable filter (LVF) come elemento dispersivo, accoppiato con un detector array: 128 pixel InGaAs photodiode array (JDS Uniphase Corporation, 2013; JDS Uniphase Corporation, 2014). Questo strumento portatile è interfacciabile con un PC tramite cavo USB 2.0 ed integra nella sua architettura 2 lampade a incandescenza (a filamento di tungsteno). La procedura di calibrazione e l’acquisizione dati può essere effettuata grazie all’ausilio del software MicroNIR Pro.
L'ASD FieldSpec® 4 Standard-Res (ASD Inc., Boulder, CO, U.S.A.) (ASD Inc. FieldSpec®4 UserManual, ASD Document 600979, Rev, hjttp://support.asdi.com/Document/FileGet.aspx?f=600000.PDF, 2015) è stato impiegato per l’acquisizione di spettri in trasmittanza nelle Regioni del Vis-SWIR per mezzo di una sonda ad immersione e per l’acquisizione di spettri in transflettanza direttamente sui liquidi.
La fibra della sonda di transflessione (2 m di lunghezza, 600 µm LOH S/S, 0,22 NA) è sommersa nel campione liquido, che entra in una cavità della sonda attraverso una fessura sulla punta. La cavità è dotata di una finestra otticamente trasparente posta all’estremità della fibra e uno specchietto posto sul fondo della cavità. Tale spettrofotoradiometro portatile funziona nell’intervallo spettrale di 350-2500 nm e ha una risoluzione spettrale di 3 nm a 700 nm e 10 nm a 1400/2100 nm. Il sistema di rivelazione è composto da un rivelatore VNIR (350–1000 nm; array di silicio a 512 elementi), il rivelatore SWIR1 (1001–1800 nm; InGaAs con indice graduato, Photodiode, Two Stage TE Cooled) e il rivelatore SWIR2 (1801–2500 nm; Graded Index InGaAs. Photodiode, Two Stage TE Cooled) (ASD Inc. FieldSpec®4 UserManual, ASD Document 600979, Rev, hjttp://support.asdi.com/Document/FileGet.aspx?f=600000.PDF, 2015). Per l'acquisizione dei dati è stato utilizzato il software nativo dello strumento ASD, chiamato RS3, e anche il software ViewSpecPro.
Le tipologie di pomodoro prese in considerazione nella Serra sperimentale sono: Pantano romanesco, tondo liscio Melody, ovale Rio grande, San Marzano Giano, Piccadilly Trendy, Datterino collina. Le piantine di pomodoro coltivate sono state sub-irrigate con due cicli nell’arco della giornata, la mattina contenente il fertilizzante ed il pomeriggio solo acqua.
Le piante analizzate, piantumate il 21/02/2023 in condizioni idroponiche, sono state monitorate in 10 tempi differenti (dal 09/03/2023 al 31/05/2023: dal tempo T1 a T10), per seguire lo sviluppo fenologico delle stesse. La data di prima acquisizione è stata il 09/03/2023 (T1) e l’ultima il 31/05/2023 (T10 – T finale). Per ciascuna piantina di pomodoro nella serra sperimentale sono stati acquisiti 15 spettri in 5 punti differenti della stessa (5 foglie diverse).
Una seconda tipologia di campionamento è avvenuta sui fluidi prelevati giornalmente, in due diversi punti, alla fonte (campione tal quale) e scarico, e acquisiti in trasflettanza con l’uso del FieldSpec. Sui fluidi, inoltre, è stata misurata la conducibilità elettrica con un Tester a tenuta stagna (portatile). Successivamente, le analisi sui dati collezionati sono state effettuate in ambiente MATLAB mediante l’ausilio del toolbox PLS_toolbox (Eigenvector Inc.).
In questo contesto, nell'ambito della statistica multivariata, è stata impiegata un’Analisi in Componenti Principali (PCA) per semplificare i dati da analizzare. Infatti, la PCA rappresenta, in genere, la prima fase da affrontare quando si ha a che fare con dati multivariati complessi. Questa tecnica è un potente mezzo per effettuare una analisi esplorativa dei dati, la quale consente di valutare una intera matrice di dati al fine di descrivere la struttura dei campioni e delle variabili che entrano in gioco, nonché di valutare possibili correlazioni esistenti tra i campioni e le variabili analizzate.
L’analisi in componenti principali è stata adottata per effettuare una analisi esplorativa degli spettri in riflettanza dei campioni acquisiti con lo spettrofotometro portatile JDSU MicroNIR™ e valutarne eventuali variabilità in relazione anche alle caratteristiche chimico-fisiche delle piante analizzate.
Le misurazioni di conducibilità elettrica sui liquidi e gli spettri di assorbimento raccolti nell'intervallo spettrale del vicino infrarosso (1000-1800 nm) sono stati poi correlati per costruire un modello di regressione Partial Least Squares (PLS) (Geladi, 1986).
Le acquisizioni di spettri in riflettanza in diversi punti delle tipologie di orticole considerate hanno permesso di condurre uno studio esplorativo, valutando la crescita delle piante, dal giorno della piantumazione, l’intero sviluppo, fino ad arrivare alla fase in produzione. Con l’analisi in componenti principali (PCA) è stato possibile distinguere in modo chiaro le fasi (pianta giovane, fioritura, fruttificazione, maturazione). Con l’incremento di una terza componente principale (PC) posta sulla terza dimensione, risulta più apprezzabile la distinzione riguardante le fasi relative alla crescita della pianta. Gli scores delle prime due PC, sono spiegati meglio nel grafico dei Loadings, dove la presenza dei picchi intensi e caratteristici ci spiegano in maniera netta la differenza tra gli step. I picchi osservati a 1150 nm, 1450 nm e 1500 nm nei dati spettrali delle piante di pomodoro potrebbero essere associati a specifici gruppi funzionali e molecole presenti nelle piante. Il picco a 1150 potrebbe essere correlato alla presenza di amminoacidi aromatici, come il triptofano o ad altre molecole contenenti gruppi funzionali come nitrili, nitro e alcune ammidi che potrebbero presentare assorbimenti in questa regione. Il picco a 1450 nm presente sulla 2° PC positiva potrebbe essere correlato alla presenza di gruppi funzionali come i legami C-H (vibrazioni di stretching o deformazione) presenti in molte molecole organiche. Ad esempio, i picchi a 1450 nm potrebbero essere associati a gruppi metilici (-CH3) o metilenici (-CH2-) presenti in lipidi o composti organici. Il picco a 1500 nm presente sulla 1° PC positiva e 2° PC negativa potrebbe essere correlato alla presenza di gruppi funzionali come gruppi carbonilici (-C=O) o gruppi ossidrili (-OH). Ad esempio, molecole come l'acqua (H2O) o i carboidrati possono mostrare assorbimenti nella regione di 1500 nm a causa delle vibrazioni dei loro gruppi funzionali.
Inoltre, l'opportunità di avere statisticamente un grande numero di spettri e la misurazione della conducibilità elettrica su ciascun singolo campione ha permesso di ottenere un solido modello di regressione PLS. In questo contesto, la PLS eseguita con 3 Variabili Latenti (LV), ha raggiunto un coefficiente di determinazione nella previsione R2p di 0,91 e un Root Mean Squares Error of Prediction (RMSEP) di 0,51 mS/cm. Più nel dettaglio, i picchi SR intorno a 1350 nm e 1500 nm, sono correlati alla modalità rotazionale dell'acqua e definiti da diversi legami idrogeno delle molecole d'acqua, rispettivamente (Segtnan et al., 2001).
L’augurio è di continuare le attività di monitoraggio in modo da garantire un consolidamento dei modelli ideati. Tale attività di monitoraggio verrà affiancata da uno studio più approfondito del substrato (i.e. terreno e fertilizzante sia liquido che solido), ai fini sia di una resa di maggior qualità delle orticole che della capacità di determinare quali siano gli apporti nutritivi indispensabili per esse.
Ilaria Rossitti
I materiali analizzati sono una particolare resina epossidica biobased ed un agente curante adatto ad essa, in grado di convertire la matrice termoindurente in un polimero termoplastico, sotto specifiche condizioni chimiche e di temperatura. L’agente curante in questione è la Recyclamine®, che appartiene all’azienda spagnola R*CONCEPT. Tale composto è in grado di creare legami di reticolazione che possono essere selettivamente rotti a determinate temperature ed in presenza di acido acetico. Insieme alla Recyclamine® è stata usata una resina epossidica biobased, fornitaci dalla stessa azienda, chiamata Beluga Whale. Sono stati realizzati materiali compositi con rinforzo in fibre di carbonio (plain fabric da 160 g/m2), vetro (twill fabric da 290 g/m2), e basalto (plain fabric da 220 g/m2.
Per realizzare le lastre in resina epossidica è stato utilizzato uno stampo in acciaio di dimensioni 120x180 mm. Per facilitare l’estrazione della resina è stato applicato del distaccante. In totale sono state realizzate quattro lastre di resina epossidica: una è stata lasciata curare a T di laboratorio, una in forno a 40°C ed una in forno a 60°C, tutte per 24h e con un rapporto resina-indurente pari a 100:35 come indicato dal produttore. L’ultima lastra, invece, è stata lasciata curare sempre a T di laboratorio per 24h, ma la miscela aveva un rapporto resina-indurente pari a 38,5. Inoltre, per garantire un’accurata analisi termica, una parte di lastra lasciata curare a T di laboratorio è stata sottoposta ad una post cura in forno a 100°C per 3 ore. Mentre un’altra parte della medesima lastra è stata postcurata, sempre in forno, a 140°C per 2 ore. Le lastre di resina epossidica lasciata curare a temperatura di laboratorio, a 40°C e a 60°C, una volta completamente indurite, hanno presentato un colore trasparente. Mentre, la parte di lastra fatta post curare a 100°C per 3 ore è risultata leggermente ingiallita, ma non in maniera significativa. Nel caso della parte di lastra lasciata a post curare a 140°C per 2 ore, invece, questa ha cambiato completamente aspetto, ingiallendosi notevolmente e presentando striature più o meno intense.
Caratterizzazione meccanica e termica delle lastre neat
Prove di durezza. Le prove di durezza che sono state effettuate sono di tipo SHORE D, adatte quindi all’analisi di termoindurenti rigidi. Seguendo la norma ASTM 2240 sono state eseguite 15 prove per ogni provino di una durata di 3 secondi l’una. Il macchinario utilizzato è della Zwick/Roell e ad esso è stato applicato un carico di 50 N. Dai risultati di queste prove si evince che le variazioni nel processo di cura della resina non hanno portato ad importanti differenze nei valori di durezza ottenuti.
Prove di flessione a tre punti. Dalla misurazione si è ricavato uno spessore medio dei provini di 2.52 mm ed una larghezza media pari a 11.06 mm, con una lunghezza di 120 mm uguale per tutti i provini. Per eseguire queste prove è stato utilizzato un macchinario della Zwick/Roell modello Z010 e si è scelto uno span di 90 mm, con rapporto span/spessore di 36 concorde alla norma ASTM D7264. Per misurare il modulo elastico è stato utilizzato un estensimetro (30 mm) ed una velocità di test di 2 mm/min. Invece, per misurare il carico a rottura non è stato utilizzato un estensimetro e si è scelta una velocità di test pari a 5 mm/min. Per entrambi i tipi di misurazione si è impiegata una cella di carico di 10 kN ed un punzone con raggio di 10 mm.
Analisi DSC. Per ogni campione si è scelta una rampa di 20°C/min, partendo da una temperatura di -20°C fino ad arrivare a 250°C. I risultati ottenuti mostrano come per T di reticolazione di 30°C e 60°C, con rapporto resina-indurente convenzionale, la Tg sia più elevata. Ciò risulta essere in accordo con le proprietà riscontrate nelle precedenti prove meccaniche effettuate.
Analisi DMA. La forza sinusoidale è stata applicata secondo lo schema di una prova di flessione a tre punti, con una frequenza di 1 Hz. La rampa di temperatura utilizzata è stata di 2°C/min, partendo da 30°C fino ad arrivare a 150°C. Durante la prova la macchina ha effettuato un ciclo di riscaldamento fino alla temperatura impostata ed un ciclo di riscaldamento per ritornare alle condizioni iniziali del provino. Le Tg dei vari campioni hanno un andamento simile a quello riscontrato nell’analisi DSC.
Realizzazione lastre in composito
Per la realizzazione delle lastre in composito è stato realizzato un sistema di tipo sacco a vuoto da noi realizzato in laboratorio. Come base d’appoggio è stata utilizzata una lastra di vetro sulla quale posizionare i vari materiali necessari all’ottenimento del composito e sulla quale è stato applicato del mastice, per delimitare la zona che andrà sottovuoto e quindi dove i tessuti verranno impregnati. Inoltre, in questa prima fase, sono stati raccordati al mastice due tubi in silicone: uno per far entrare la resina nel sistema e l’altro, collegato ad una trappola e quindi alla pompa di aspirazione, per permettere l’ottenimento del vuoto. A questo punto, il vetro della zona di impregnazione è stato pulito con acetone e a seguire è stato applicato un distaccante specifico per la produzione di compositi in resina epossidica. Successivamente sono stati posizionati 10 strati di tessuto per ogni lastra di composito, in modo da ottenere laminati di tipo 0/90. Sopra di essi sono stati collocati in ordine un film millefori adatto all’infusione di resina epossidica ed un film assorbente. Questi film svolgono il compito di separare il rinforzo dalla chiusura del sacco a vuoto e di assorbire la resina e l’aria in eccesso presenti nel sistema. Dopo aver posizionato i film sopra gli strati di rinforzo è possibile, infine, chiudere il sistema con un apposito film per la realizzazione di sistemi di tipo sacco a vuoto. Per ogni tipologia di tessuto si sono ottenute tre lastre, ognuna con un diverso processo di reticolazione. La prima famiglia di compositi è stata fatta curare semplicemente a T di laboratorio per 24h. La seconda famiglia di lastre, invece, dopo una cura di 24h a T di laboratorio, ha subito un processo di post cura in forno a 100°C per 3h. Infine, per l’ultima famiglia è stato fatto un processo di post cura in forno a 140°C per 2h, sempre dopo una cura di 24h alla T di laboratorio. Da tutte le lastre in composito si sono ottenuti dei provini adatti alle prove di flessione di misura 10x1 cm2 e dei provini adatti alla analisi maccanica dinamica e di durezza di misura 6x1 cm2. Avendo calcolato la densità dei tessuti mediante apposita bilancia, rispettivamente basalto: ρ=2,469 g/cm3, vetro: ρ=2,413 g/cm3 e carbonio: ρ=1,824 g/cm3, la densità della resina epossidica pari a ρ=1,162 g/cm3 e la densità dei compositi, rispettivamente basalto: ρ=1,801 g/cm3, vetro: ρ=1,755 g/cm3 e carbonio: ρ=1,401 g/cm3, si è potuta determinare la percentuale in volume di fibre presenti in ogni tipologia di composito, rispettivamente basalto: 48,9 %, vetro: 47,4% e carbonio: 36,1% secondo la seguente relazione.
ρc= ρf ∙ (x) + ρm ∙ (1-x)
Prove di durezza. Stessa procedura delle lastre in resina. I processi di post cura hanno comportato un aumento nel valore della durezza del materiale, sebbene non significativo.
Prove di flessione. Sono stati usati dei punzoni cilindrici di raggio 5 mm ed è stata impostata una deformazione di 2 mm/min, uno span di 70 mm ed un estensimetro a 40. Dimensioni 1x10 cm2. Per i compositi ottenuti tramite cura alla temperatura di laboratorio e tramite post cura a 100°C per 3 ore sono stati analizzati quattro provini, mentre per i compositi ottenuti attraverso una post cura di 140°C di 2 ore sono stati analizzati tre provini. Dall’analisi dei valori ottenuti, si evince una maggiore compatibilità del tessuto in fibre di vetro con la resina termoindurente Beluga Whale utilizzata, in quanto i valori di modulo elastico e carico massimo non solo sono più che soddisfacenti, ma risultano anche stabili nei vari trattamenti di cura e post cura effettuati. Per quanto riguarda i compositi con rinforzo in fibre di carbonio, invece, tenendo conto della minore percentuale volumetrica di fibre presenti, si ottengono valori decisamente più significativi del modulo di Young e del carico massimo, ma meno costanti a seconda del processo di cura e post cura effettuati. Infatti, i compositi in carbonio sottoposti ad un processo di post cura in forno a 140°C per 2 ore hanno riscontrato un crollo di circa 150 MPa del carico massimo, dimostrando di essere più vulnerabili ai possibili cambiamenti della resina e, quindi, dell’interfaccia fibra-matrice.
Analisi al SEM. Si è osservato come i compositi siano complessivamente ben fatti poiché presentano una buona interfaccia fibra-matrice e la mancanza di difettosità, come ad esempio porosità.
Riciclo chimico
Grazie all’utilizzo dell’indurente Recyclamine®, come vedremo, è possibile recuperare la matrice ed ottenere fibre pulite. Il processo è costituito dai seguenti step: 1) Attacco acido: un pezzo di materiale composito viene immerso in una soluzione acquosa di acido acetico, in modo tale che l’acido attacchi la matrice; 2) Filtrazione: la soluzione acida viene filtrata in modo tale da recuperare ed isolare le fibre di rinforzo, che vengono sciacquate ed asciugate; 3) Neutralizzazione: soluzione acida, a questo punto priva di tessuti, viene neutralizzata con una soluzione acquosa di idrossido di sodio. É in questo passaggio che il polimero disciolto in soluzione si agglomera formando il termoplastico; 4) Recupero del polimero termoplastico: a questo punto il polimero viene filtrato via dalla soluzione, sciacquato e nuovamente neutralizzato con minori quantità di soluzione basica. Il materiale così ottenuto è la matrice epossidica recuperata in forma di polimero termoplastico.
Attacco acido. Soluzione acida 40% in volume. Acqua distillata: 180 ml; acido acetico: 120 ml. La soluzione vieneviene inserita insieme al composito in un becher da 500 ml, posizionato su una piastra riscaldante a 80 °C per 2 ore. É di fondamentale importanza che la soluzione raggiunga e rimanga a 80°C per garantire la reazione della matrice in resina epossidica con l’acido acetico. Pertanto, è stato utilizzato un sistema di termocoppie per monitorare costantemente la temperatura della soluzione. Quantità di materiale composito sottoposto a riciclo: basalto: 10, 54 g; vetro: 10,97 g; carbonio: 10,84 g.
Filtrazione. I tessuti sono stati sciacquati con acqua distillata ed asciugati. Quantità di fibre recuperate: basalto: 7,01 g; vetro: 7,05 g; carbonio: 5,85 g.
Neutralizzazione. Una volta filtrata la soluzione acida, questa viene fatta rimanere ad una temperatura costante sempre di 80°C. Contemporaneamente viene realizzata la soluzione basica NaOH 20M (100,8 g di NaOH in 105 ml di acqua distillata). La solubilizzazione dell’idrossido di sodio in acqua risulta essere una reazione esotermica; pertanto, la temperatura della soluzione basica si alza fino ad arrivare ad una temperatura prossima a 100°C. Man mano che l’NaOH viene solubilizzato la temperatura della soluzione basica si abbassa e quando anch’essa arriva ad una temperatura di 80°C viene prelevata con una pipetta e fatta reagire goccia dopo goccia con la soluzione acida. Introducendo la base nell’acido, dunque, viene a formarsi progressivamente un precipitato che corrisponde al polimero termoplastico che è stato recuperato. Una volta introdotta tutta la soluzione basica, il sistema viene lasciato reagire e raffreddare fino ad una temperatura di 40°C.
Recupero del polimero termoplastico. Il termoplastico recuperato viene sciacquato con 150 ml di DH2O e con un’ulteriore quantità minima di soluzione basica che permette di completare la neutralizzazione, vedi Figura 9b. Infine, viene asciugato in forno a 35 °C per 72 ore. Una volta asciutto, viene pesato. Quantità di polimero recuperato: basalto: 1,61 g; vetro: 3,23 g; carbonio: 4,86 g. A questo punto, è stato possibile confrontare il peso iniziale dei compositi con il peso somma dei componenti recuperati per poter calcolare, in seguto, le rese del processo nei rispettivi casi. Dalle rese ottenute alla fine del processo di riciclo il materiale che permette di ottenere una maggiore efficienza risulta essere il composito realizzato con fibre di carbonio. A livello di laboratorio, però, bisogna tenere in considerazione le criticità che si sono presentate durante il processo di recupero. Il polimero recuperato in tale caso, infatti, ha riscontrato una piccola, seppur rilevante, quantità di fibre rimaste nel polimero ed una maggiore tendenza ad assorbire umidità rispetto ai casi visti con i compositi realizzati con fibre di basalto e di vetro. Tenendo conto di questi aspetti, dunque, sia per i compositi con fibre di vetro che di carbonio tale processo risulta molto promettente; in quanto permette di ottenere non solo fibre tendenzialmente riutilizzabili, ma anche di non perdere la matrice epossidica utilizzata come matrice che in forma di polimero termoplastico può essere riutilizzata.
Il polimero termoplastico ed i tessuti di rinforzo sono stati recuperati separatamente. Per determinare l’effettiva efficienza del sistema di riciclo sono state analizzate al SEM le fibre ottenute in seguito al processo di recupero. Da quanto è possibile vedere, le fibre di vetro risultano essere le più pulite a parità di processo, dimostrando ancora una volta una migliore compatibilità con questo tipo di resina e sistema di riciclo. Sia le fibre in basalto che in carbonio presentano dei residui di matrice sulla loro superficie. Seppur nel complesso risultino pulite, la presenza di queste impurità non le rende riutilizzabili a livello industriale. Vanno, infatti, considerate le criticità del procedimento di riciclo chimico svoltosi in laboratorio; come, ad esempio, la mancata movimentazione della soluzione durante l’attacco acido per rendere la matrice in resina epossidica più facilmente raggiungibile. Bisogna, inoltre, tenere in considerazione il fatto che la soluzione acida, durante la fase dell’attacco acido, viene riscaldata da una piastra posta sotto al becher. In questo modo è molto probabile che, nonostante la temperatura sia stata controllata con un sistema di termocoppie, all’interno della soluzione si sia creato un gradiente di temperatura e che quindi non tutte le parti abbiano reagito allo stesso modo. Per quanto rigurda i tessuti di rinforzo, dunque, tale sistema di riciclo risulta molto promettente, in quanto permette il completo recupero delle fibre del materiale composito utilizzando un solo additivo chimico: l’acido acetico. Quest’ultimo, in aggiunta, a livello industriale potrebbe essere recuperato e riutilizzato non sono per svolgere ulteriori attacchi chimici come visto in questo lavoro, ma anche per numerose altre applicazioni.

Olga Krymskaya
Nel mio primo anno di dottorato ho inizialmente effettuato l'analisi della letteratura scientifica relativa al water splitting (scissione dell'acqua) e alla fotocatalisi artificiale, con l'obiettivo di individuare i materiali più efficaci nell'utilizzo della radiazione solare per tali applicazioni. Tra i vari materiali promettenti il mio interesse è stato attirato particolarmente da quelli basati sul niobato di sodio (NaNbO3). Gli studi recenti dedicati alle proprietà di questi materiali rivelano che essi possano essere di grande interesse sia accademico che pratico.
Dopo aver individuato la famiglia dei materiali di interesse, ho proceduto alla preparazione dei loro target, cioè NaNbO3, KNbO3 e due diverse composizioni di K(1-x)NaxNbO3 (KNN), K0.46Na0.54NbO3 e K0.54Na0.46NbO3, che secondo la letteratura presentano le proprietà piezoelettriche di maggiore interesse. Questa fase ha richiesto un'attenta preparazione dei precursori (carbonati ed ossidi) e la gestione delle condizioni di reazione per ottenere i target con corretta stechiometria e di elevata densità, un passo cruciale per garantire risultati sperimentali affidabili.
La parte successiva dell’attivita di ricerca ha riguardato la crescita dei film, utilizzando i target precedentemente realizzati. In questa fase, mi sono concentrata sulla crescita e sulla caratterizzazione strutturale dei film sottili basati su NaNbO3, KNbO3 e K0.46Na0.54NbO3 cominciando dal niobato di sodio. La tecnica utilizzata è stata la Pulsed Laser Deposition (PLD) con un laser KrF operante a una lunghezza d'onda 248 nm.
La prima fase di ricerca è stata dedicata all’ottimizzazione delle condizioni di crescita dei film con particolare riguardo alla scelta del substrato, della pressione di ossigeno e della temperatura utilizzate durante la deposizione. Questo processo ha coinvolto la deposizione di numerosi film su substrati perovskitici e non: LaAlO3 (001) orientato (LAO) , SrTiO3 (001) orientato (STO), NdGaO3 (110) orientato (NGO), MgO (001) orientato). La caratterizzazione strutturale è stata eseguita mediante diffrazione di raggi X. Dagli scan i film sono risultati con singola orientazione dell’asse c e con l’asse c perpendicolare alla superficie fisica del substrato. Le misure delle rocking curves (RC) hanno dimostrato differenze significative nella qualità cristallografica dei film cresciuti sui vari substrati. In particolare, i film depositati su substrati NGO hanno mostrato una larghezza a metà altezza (FWHM) delle RC di un decimo di grado, inferiore rispetto a quelle ottenute per i film depositati su LAO, con FWHM di circa 0.3 gradi. Questo indica un minore spread di mosaico e quindi una maggiore qualità cristallografica dei film depositati su NGO. Quindi ho determinato il gallato di neodimio come il substrato migliore per la crescita di film sottili di niobato di sodio.
Una volta individuato il substrato ottimale, ho proceduto con lo studio dell’influenza della temperatura e pressione sulle proprietà dei film. L’analisi strutturale mediante XRD ha rivelato che, i film depositati nell’intervallo di temperatura tra 570 °C e 730 °C, la struttura cristallografica rimane invariata indicando una struttura “c oriented” con parametro reticolare c = 3.91Å. In questo intervallo di temperature anche la qualità cristallografica rimane costantemente elevata e riproducibile, come indicato da un “mosaic spread” di circa 0.1°.
All’aumentare della pressione di ossigeno utilizzata durante la deposizione, si evidenzia una variazione del parametro reticolare dei film depositati ed una maggiore qualità cristallografica. In particolare il parametro reticolare varia in maniera graduale tra 3.91Å e 4.01Å per una pressione rispettivamente di 1 mbar e 5x10-3 mbar. Lo spread di mosaico, misurato mediante la FWHM della “rocking curve”, indica che i film depositati a più elevata pressione di ossigeno sono di qualità cristallografica migliore. Pertanto, è stato determinato che la pressione di ossigeno ottimale per la crescita dei film di niobato di sodio (NaNbO3) è di 1 mbar.
Dopo aver stabilito le condizioni ottimali di crescità mediante misure XRD è stato possibile anche stimare accuratamente la velocità di deposizione e quindi gli spessori dei film di NaNbO3 realizzati. Dalle oscillazioni di taglia finita intorno alla riflessione (001) è stato determinato un rate di deposizione di 0.15 Å/laser shot. Inoltre l’osservazione delle oscillazioni di taglia finita è una indicazione evidente della elevata qualità cristallografica dei film ottenuti.
Il niobato di sodio si caratterizza per la presenza di più fasi strutturali, ciascuna con proprietà fisiche distinte. A causa della similitudine dei parametri reticolari lungo l'asse c, tra le fasi ortorombica e cubica, dalle scansioni XRD simmetriche (geometria Bragg Brentano) sono difficilmente distinguibili le due fasi. Quindi dopo le misure XRD sono state effettuate misure XRD di riflessioni asimmetriche. Inizialmente sono stati effettuati scan intorno al picco (150) del substrato, dove sono comparsi due picchi distinti: uno intenso, relativo al substrato, e uno più diffuso e meno intenso, attribuibile al film. Successivamente, analizzando lo spazio reciproco intorno al picco (334) del substrato e ruotando il campione di 90 °, abbiamo notato un cambiamento nella posizione del picco del substrato, mentre quello del film è rimasto inalterato. Questo comportamento suggerisce che la struttura del film sia cubica, al contrario di quella del substrato che è ortorombica. Tale caratteristica favorisce le proprietà fotocatalitiche e piezoelettriche. Tuttavia, per confermare definitivamente la fase strutturale del film, sono necessarie ulteriori indagini.
In conclusione, l’analisi della struttura cristallografica dei film evidenzia che il parametro reticolare , c= 3.91Å, rimane sostanzialmente invariato al variare della temperatura nei film di spessore maggiore e corrisponde esattamente a quello del niobato di sodio in bulk. Tuttavia, modificando la pressione durante il processo di deposizione, si registrano variazioni significative del parametro reticolare, con un aumento di quest'ultimo in film con minor contenuto di ossigeno. Questo suggerisce che la pressione di deposizione influisce direttamente sulla struttura cristallina dei film. Inoltre, abbiamo notato che l'aumento del parametro reticolare lungo l'asse c è associato alle condizioni di strain indotte dalla differenza tra il parametro reticolare del substrato e quello del NaNbO3, fenomeno che diventa più marcato in film di spessore ridotto.
La caratterizzazione morfologica mediante microscopia elettronica a scansione (SEM) è stata eseguita presso il Centro di Nanotecnologie della Sapienza. Abbiamo analizzato tre campioni di film di niobato di sodio con spessori variabili tra 7 a 130 nm. Le immagini SEM mostrano che tutti e tre i campioni presentano superfici lisce, indicando una bassa rugosità (pari circa a 10Å). Si osserva inoltre che la dimensione dei grani aumenta all'aumentare dello spessore del film, evidenziando una correlazione diretta tra lo spessore del film e la sua morfologia.
Le misurazioni piezoelettriche effettuate sotto la supervisione di prof. Marco Fortunato hanno fornito dati promettenti per future applicazioni. Abbiamo testato tre campioni con spessori differenti, inclusa una pellicola ultra-sottile di soli 7 nm. Dalle analisi emerge che tutti e tre i campioni mostrano un coefficiente piezoelettrico d31 di circa 61 pm/V e un d33 di 25 pm/V. Questi risultati indicano un potenziale significativo per l'impiego di questi materiali nella creazione di nanogeneratori.

Francesca Pizzimenti
I primi sei mesi di attività, a partire da gennaio 2023, sono stati dedicati alla finalizzazione del dimensionamento del prototipo sperimentale in bassa tensione dell’impianto multiterminale HVDC SACOI 3. Tale collegamento, esercito dal Transmission System Operator (TSO) italiano Terna S.p.A, attualmente è in fase di rinnovamento dalla versione SACOI 2 risalente al 1987 alla versione SACOI 3, con lo scopo di incrementarne la potenza nominale e la flessibilità operativa.
Il prototipo sarà fondamentale per valutare l'eventuale adozione da parte di Terna di convertitori a tensione impressa di tipo modulare multilivello half bridge (VSC-MMC-HB). Tutti i parametri elettrici del prototipo sono ottenuti a partire da quelli originali, con fattori di scala ridotti per tensioni, correnti, impedenze e potenza. Il modello consiste in otto blocchi diversi, rappresentativi delle tre stazioni di conversione in Italia e in Corsica e del collegamento dc (suddiviso in blocchi relativi alle tratte di linea aerea e in cavo sottomarino). In particolare, sono stati definiti tutti i dettagli tecnici in merito al layout generale dei blocchi rappresentativi delle linee aeree e in cavo di polo e delle stazioni di conversione, comprensivi di trasformatore di conversione, convertitore modulare multilivello, reattanza di linea dc, impedenze di corto circuito, protezioni ed organi di manovra lato ac e dc, circuito di precarica e di scarica per i condensatori dei sottomoduli, blocco misure delle grandezze elettriche e interfaccia verso DSP di controllo.
Le prestazioni del modello sperimentale in bassa tensione sono state testate attraverso i software di analisi dei transitori elettromagnetici ATP-EMTP e PLECS. In questa fase, sono state condotte simulazioni a regime stazionario in condizioni operative di funzionamento normale di tutto l’impianto. I risultati della simulazione confermano la scelta di tutti i parametri dei componenti del prototipo.
Successivamente, si è deciso di valutare l’adozione di un interruttore ibrido di tipo HVDC (CB HVDC) all’interno del prototipo sperimentale. Tali dispositivi sono infatti essenziali al fine di consentire l’esercizio ottimale di grandi reti magliate multiterminali HVDC. A livello commerciale, diversi progetti sono attualmente proposti da alcuni produttori (principalmente in Europa, Cina e Giappone), ognuno con i propri potenziali vantaggi e svantaggi.
Per meglio comprendere le principali caratteristiche di tali interruttori, si è avviato lo sviluppo di un prototipo sperimentale in bassa tensione di un CB HVDC. Il prototipo impiegherà un MOSFET al carburo di silicio (SiC) come interruttore principale, per via delle dimostrate prestazioni elettriche e termiche superiori rispetto alle controparti in silicio.
Al fine di valutare le prestazioni del dispositivo e l’impatto sulle reti dc, si sono effettuate delle simulazioni tramite il software ATP-EMTP. Nel dettaglio, sono stati condotti quattro diversi test: analisi del transitorio di carica del circuito di precarica; guasto al terminale di invio della linea dc, in caso di funzionamento corretto e di mancato intervento dell’interruttore; guasto al terminale di arrivo della linea dc, correttamente estinto dall’interruttore. Le simulazioni hanno evidenziato che la presenza di questi componenti provoca non solo elevate sovratensioni di manovra (>1.5 p.u. della tensione nominale) sulla linea dc, ma soprattutto l’inversione della polarità della tensione. Tale fenomeno riveste particolare importanza in quanto è noto in letteratura che uno dei principali vantaggi dell’adozione della tecnologia VSC-MMC-HB sia proprio l’assenza dell’inversione di polarità della tensione sul dc link e attualmente non sono previste da normativa per i cavi destinati a tali tipi di impianti dei test per la tenuta dei dielettrici all’inversione di polarità.
La seconda parte dell’anno, a partire da luglio 2023, è stata trascorsa presso il centro di ricerca “Power Electronics and Machines” dell’Università di Nottingham nel Regno Unito. In questa sede si è effettuata un’attività di ricerca specializzata sulle applicazioni di potenza dei dispositivi semiconduttori al carburo di silicio.
In particolare, è stato effettuato un dettagliato confronto fra le prestazioni elettriche e termiche di diverse tipologie di dispositivi di potenza attualmente in commercio (IGBT al silicio, SiC MOSFET e diodi) e un modello teorico di IGBT SiC ad alta tensione di blocco per applicazioni STATCOM. La valutazione è stata condotta tramite simulazioni su software PLECS.
In una prima fase si è simulato il comportamento della tecnologia STATCOM adottata da Terna ed attualmente in esercizio sul territorio italiano, basata su IGBT e diodi al silicio. Successivamente, si è validata la possibile sostituzione di tali dispositivi con MOSFET SiC disponibili in commercio. Infine, si è effettuato il design di un convertitore modulare multilivello con numero di livelli ridotto che impiega il prototipo di IGBT SiC ad alta tensione di blocco. Per ciascuna tipologia di convertitore si sono valutate tutte le caratteristiche elettriche (tensioni e correnti lato rete e lato convertitore) e le prestazioni armoniche, le perdite totali, il rendimento e le temperature medie di esercizio dei dispositivi.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’adozione di IGBT SiC ad alta tensione consentirebbero l’esercizio di convertitori di dimensione ed ingombri ridotti rispetto a quelli attuali, anche in configurazione transformerless. Tuttavia, al fine di garantire le stesse prestazioni armoniche, è necessario prevedere dispositivi di filtraggio lato convertitore. Si è perciò effettuato il dimensionamento di filtri di tipo C-Type, selezionati per la loro generazione contenuta di perdite.

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