Perché i biopic non ci stancano mai?


Seminario di Simone Caputo (Sapienza Università di Roma)

11/06/2025 (Aula Pirrotta, ore 10, Sapienza Università di Roma)

Chi provasse a redigere una lista dei film di finzione usciti negli ultimi 10 anni che raccontano le vite dei musicisti si troverebbe di fronte a un lungo elenco, con titoli sul direttore d’orchestra Leonard Bernstein, il soprano Maria Callas, il compositore di musical Jonathan Larson, i cantanti David Bowie, Aretha Franklin, Elton John, Whitney Houston, Bob Marley, Robbie Williams, la band rock Mötley Crüe, il gruppo rap N.W.A. Le vite dei musicisti sono sempre state raccontate dal cinema, ma l’aumento di interesse nel nuovo millennio non ha precedenti. Ad aver sostenuto il trend è stato anche il grandissimo successo in termini di riconoscimenti e incassi di Bohemian Rhapsody (2018), biopic su Freddy Mercury, frontman dei Queen. Più in generale, sono però due le ragioni, nella produzione di film e nella gestione dei diritti musicali, che sembrano aver favorito questo andamento: la ricerca di nuove proprietà intellettuali da adattare sullo schermo per far fronte agli scarsi incassi dei film di invenzione; l’acquisto dei cataloghi musicali di cantanti e band per lo sfruttamento intensivo delle licenze di concessione. Il caso di studio A Complete Unknown (2024) – biopic su Bob Dylan diretto da James Mangold – consente di indagare le ragioni per cui una pratica sporadica è diventata una catena di montaggio efficace e redditizia a tal punto che le vite dei musicisti sono considerate da molti operatori del settore dell’intrattenimento il prossimo filone di proprietà intellettuali da adattare e sfruttare.


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