MARTA BIANCO

Dottoressa di ricerca

ciclo: XXXVI


supervisore: Stefano Locatelli

Titolo della tesi: I ruoli comici nel teatro italiano tra Otto e Novecento - Con un campionario di strategie comiche e quaranta schede di analisi drammaturgica

I ruoli comici nel teatro italiano tra Otto e Novecento Con un campionario di strategie comiche e quaranta schede di analisi drammaturgica Questa tesi di Dottorato include studi e ricerche sui ruoli comici nel teatro italiano tra Otto e Novecento ponendo attenzione, nello specifico, al ruolo del brillante. Attraverso una ricerca basata su tre metodologie che si sviluppano in modo incrociato - conoscenze storiografiche, repertorio e eredità – ho potuto elaborare un quadro panoramico dei maggiori esponenti del teatro dell’epoca, delle diverse modalità operative e dei fattori di continuità e discontinuità del lavoro attorico. Per l'avvio della ricerca mi sono accostata alla voce enciclopedica dedicata al brillante redatta da Bruno Brunelli e Gino Viotti all'interno dell'Enciclopedia dello Spettacolo, con l'intento di ampliare alcuni concetti e approfondire certe tematiche del ruolo che, nel teatro di tradizione italiano, veniva ricoperto da colui che sapeva muovere il pubblico alla risata. Dopo un'iniziale distinzione tra primo e secondo brillante è stato indispensabile soffermarmi sulla figura del mamo, quella tipologia di ruolo che impersonava tipi e macchiette e di cui è possibile riscontrare le caratteristiche in alcuni dei principali rappresentanti del teatro dialettale dell’epoca; successivamente ho focalizzato l’attenzione sui ruoli del caratterista e del promiscuo tentando di estrapolarne alcune peculiarità, nonché i differenti registri drammaturgici che verranno ritrovati negli “slittamenti” del brillante durante il periodo di mutazione in attor comico. In un secondo momento per approntare una “Storia del brillante” mi sono dedicata ad uno studio più dettagliato accostandomi alle singole personalità che hanno incarnato questo ruolo. Ho tentato così di ricostruire una “Storia dei brillanti” concentrandomi sui profili dei massimi esponenti a partire da Luigi Bellotti Bon, figura fondativa del ruolo. Per l’individuazione della mobilità dei caratteri sono stati utili Claudio Leigheb e Antonio Gandusio mentre per gli slittamenti del ruolo ho analizzato le personalità di Armando Falconi e Amerigo Guasti. Inoltre ho potuto riscontrare filiazioni possibili in Virgilio Talli e Alberto Giovannini, fino ad arrivare ai raisonneurs pirandelliani e nello specifico a Luigi Almirante e Sergio Tofano, esempio quest’ultimo di materializzazione della gamma comica del brillante. Se il primo approccio di tipo diacronico è stato utile a fornire le coordinate storiche necessarie, la ricerca di repertorio, articolata e nodosa, mi ha consentito di analizzare lo stretto rapporto tra repertorio di testi e repertorio di risorse compositive dell'attore. Come spiega Mirella Schino in un fondamentale saggio dedicato al «ritardo» - o meglio «anomalia» - del teatro italiano, deleterio per le fondamenta del teatro di tradizione fu il momento in cui «spettatori colti cominciarono a sostenere […] la necessità di qualificare il teatro attraverso la scelta d'un repertorio di buoni drammi» ed è quindi opportuno ipotizzare che in tale contesto mutò l'approccio che l'attore aveva nei confronti del proprio mestiere. Nel terzo capitolo ho dunque focalizzato l’attenzione sul repertorio e per lo sviluppo dell'analisi è stata necessaria la compilazione di “schede” relative a ogni pièce al fine di individuare il rapporto tra il brillante e le parti da lui interpretate. Attraverso i testi delle pochades siamo riusciti a identificare un «campionario» di tecniche e competenze tipiche del brillante – assoluto protagonista della commedia – così da delineare una sorta di calco-tipo del ruolo. Se dallo studio delle pochades è possibile risalire a strategie comiche e registri drammaturgici ricorrenti capaci di far emergere una “stasi” della tradizione attorica, nella nuova drammaturgia italiana il ruolo tende a perdere alcuni dei suoi connotati comici per privilegiare toni più malinconici e riflessivi. Ciò è riscontrabile nelle opere di Roberto Bracco e Dario Niccodemi oltre che nelle parole di una lettera che Bracco indirizza a Gandusio: «Nel “Perfetto amore” sei quell'ultimo brillante che sai essere, ma nella “Piccola fonte” e – a quanto mi hanno detto – in “Maternità” sei il brillante più qualcosa di profondamente umano» . La mobilità del carattere tipica del brillante mi ha permesso di soffermarmi sulle mutazioni interne del ruolo oltre che di intravedere possibili “slittamenti” verso altri ruoli comici. Ed ecco che il brillante diventa figura fondamentale poiché attraverso la sua emancipazione riesce a guadagnarsi spazio nel nuovo teatro novecentesco. Di rilevante interesse risulta il cosiddetto Teatro del grottesco nel quale il brillante perde e mantiene alcune delle sue caratteristiche e nel quale gli autori si inseriranno per dar risalto alla propria voce. Difatti, la critica alla scena del salotto incomincia e si sviluppa proprio nel campo del grottesco ed è qui che si crea un ambiente adatto alla comprensione dell’opera pirandelliana. Allora in che modo il brillante si spoglia della sua scorza buffonesca per diventare più nobile ed elegante? Possiamo notare come all’interno del brillante fossero già in embrione alcune qualità che, sviluppate, avrebbero caratterizzato la specificità del raisonneur. La “verbosità” del brillante da pochade diviene intellettualità con il raisonneur, il brillante, da buffo monologhista che tergiversava per poter “comprendere meglio” la sua condizione nel pieno di un equivoco, si trasforma con il grottesco, e più marcatamente con Pirandello, in un ragionatore ampolloso, attorcigliato, in grado di distaccarsi cinicamente dal resto degli attori per guardarli da lontano, giudicarli o compatirli, competenza quest’ultima derivante dai tra sé della canonica commedia. Quel brillante vittima dell’equivoco che nello sviluppo della pochade ha sempre rappresentato il motore dell’intreccio, con il raisonneur si modifica in una figura epica, un deus ex machina tutto dialogo e poca azione, assottigliando notevolmente quella libertà di utilizzo di strategie comiche quali gag e sketch delle origini del ruolo. Il contrasto di carattere che confluiva nel cambio d’identità tipica del ruolo, evolverà nel raisonneur in una cert’aria mistica ed esoterica di un personaggio venuto da mondi fantastici con velleità demiurgiche. In che modo l’attore brillante abbandona uno stile recitativo vicino alla macchietta per aderire più precisamente ad un personaggio? Attraverso la presente tesi abbiamo potuto soffermarci sulle rotture e sugli squilibri che hanno caratterizzato questo periodo di transizione e di “anomalia” del teatro italiano, ponendo l’attenzione sull’attore e sulla sua capacità di contribuire alla metamorfosi di un mestiere, anticipando in senso materiale e non teorico le riforme novecentesche: l’attore fu in grado di affinare le caratteristiche del proprio ruolo per renderle più consone ad un personaggio. Il passaggio da teatro della parte a teatro del personaggio affonda le radici nel 1921 con la prima rappresentazione dei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello per dar seguito, già a partire dal 1922, ad un assetto teatrale all’insegna dell’ordine e della razionalizzazione tipici del regime fascista che andrà progressivamente ad abolire i ruoli. C’è da sottolineare però che nonostante il sistema tradizionale sia decaduto da un punto di vista produttivo, le caratteristiche intrinseche dei ruoli continuano a permanere per molto tempo e per avanzare questa ipotesi risultano indispensabili gli “eredi” del ruolo, ovvero quegli attori che potrebbero essere definiti brillanti anche quando l'organico delle compagnie non è più generalmente basato sui ruoli. Tali figure, tra cui Umberto Melnati, Enrico Viarisio ed Ernesto Calindri, permetteranno di non disperdere le tracce significative del ruolo antico. Il filo di continuità che lega i grandi attori dell’Ottocento a quelli del teatro di regia è sorretto dalla relazione che si instaura tra attore e spettatore. Che la regia abbia provocato una profonda fenditura all’interno del teatro tradizionale è cosa appurata; tuttavia, soffermandoci sulla gamma comica del brillante, possiamo scorgere quell’aspetto di continuità sopravvissuto alla cancellazione di un intero sistema teatrale. Parte della ricerca si è sviluppata attorno alla figura di Antonio Gandusio, che si pone a metà strada tra il brillante di stampo ottocentesco e il nuovo modello d'attor comico, e all'ingente materiale presente nell'archivio dello stesso presso la Fondazione Casa Lyda Borelli di Bologna. Per ampliare l'indagine, oltre alla scrupolosa analisi dei quotidiani e delle raccolte di fatti cronachistici, ho consultato le locandine dei più importanti teatri romani custodite nella Biblioteca Museo Teatrale del Burcardo - SIAE di Roma. Inoltre, prezioso è stato il contributo dell'Archivio del Piccolo Teatro di Milano, il quale mi ha consentito di accedere al fondo Ernesto Calindri a seguito di un piacevole confronto che ho intrattenuto con i familiari dell'attore.

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