Titolo della tesi: Taranto: il complesso degli ipogei e delle cavità rupestri di età tardoantica e medievale
Alla base del variegato scenario culturale che caratterizza il Mediterraneo si individuano alcuni elementi che inquadrano una precisa identità culturale, ossia lo sfruttamento del banco geologico e lo sviluppo degli insediamenti rupestri e ipogei, realtà che sono ampiamente attestate in Puglia.
Sono noti gli studi pertinenti agli insediamenti rupestri di tutto l’arco ionico tarantino, soprattutto per i comuni di Massafra, Grottaglie, Mottola e Palagianello. Queste indagini, però, trattano brevemente della città di Taranto, focalizzando l’attenzione su alcune chiese e sull’ipogeo funerario di Palazzo Delli Ponti; brevissimi, inoltre, sono gli accenni alle cavità di tipo produttivo, utilitario e residenziale.
Il territorio oggetto di questo studio, la Città Vecchia di Taranto e alcuni casi esterni ad essa, è il risultato di un insieme di differenti culture che materialmente hanno generato un paesaggio complesso: un insediamento misto, ipogeo, rupestre e subdiale, ben organizzato e articolato da diversi elementi necessari alle esigenze di vita.
Fondamentale è definire il rapporto tra le cavità artificiali e la conformazione geomorfologica del territorio; per questo motivo, attraverso il metodo del kriking e le successive elaborazioni GIS, è stata ricostruita la conformazione del Golfo di Taranto dall’Età del Bronzo fino al VII secolo d.C. Gli elaborati documentano un originario avanzamento della linea di costa e, di conseguenza, una diversa conformazione del Mar Piccolo (una laguna) e del Mar Grande (un bacino semichiuso); quest’ultimo difendeva naturalmente l’area centrale, la futura Città Vecchia, una piattaforma calcarenitica collegata a Est e a Ovest al banco geologico. Ne consegue che l’attuale isola è il risultato di una serie di azioni antropiche, riconoscibili nell’escavazione del Canale Navigabile e nei tagli funzionali all’ottenimento di inerti per l’edilizia; oltre a ciò, è evidente un ridotto sviluppo in senso trasversale, successivamente ampliato verso Nord con la cosiddetta “colmata bizantina”.
Lo studio delle cavità artificiali
È da premettere l’esiguità delle fonti, pertanto la lettura del dato materiale è spesso l’unico mezzo conoscitivo, per questo motivo, per ogni cavità artificiale, si propone la descrizione del contesto, delle evidenze architettoniche e, quando presente, della cultura materiale.
Lo studio delle aree rupestri e ipogee mostra una serie di difficoltà; tuttavia, un approccio multidisciplinare che considera l’impostazione della cava estrattiva (alla base della definizione degli ambienti), i segni in negativo leggibili lungo le superfici del banco geologico, il rapporto tra le cave e le strutture subdiali, le disposizioni planimetriche e topografiche, il sistema di misura, gli elementi architettonici e decorativi, il sistema di copertura e i tipi murari rintracciabili nelle cavità miste, restituiscono una serie di elementi che consentono di proporre un ventaglio di ipotesi circa le cronologie e lo sviluppo urbanistico.
Delle chiavi di lettura sono le anomalie architettoniche (tagli del banco roccioso e inserti in muratura) le quali suggeriscono fasi di abbandono, implementazione funzionale, defunzionalizzazione o/e rifunzionalizzazione degli ambienti.
Lo sviluppo del paesaggio urbano
La Città Vecchia è caratterizzata da una costante frequentazione antropica; si osserva che gli ambienti rupestri seguono la linea di costa, mentre gli ipogei formano una sorta di griglia nei pressi delle principali arterie viarie, ossia via Duomo nella porzione centrale, via Paisiello a meridione e via Cava/via di Mezzo a settentrione, percorsi matrice saturati nel corso del tempo.
L’approccio multidisciplinare ha consentito di raccogliere una serie di dati fondamentali per proporre una linea di sviluppo del paesaggio urbano.
L’area in esame in epoca greca subisce un importante momento di monumentalizzazione per l’impostazione dell’acropoli. Si individuano cave estrattive estese e di vario tipo (a galleria, a cielo aperto e a fossa); contemporaneamente è tracciata la principale arteria viaria, oggi obliterata da via Duomo, e sono scavati dei cunicoli sotterranei con funzione militare.
In età romana la città slitta verso Oriente, nell’area oggi nota come “Borgo”.
Dal II secolo d.C. fino all’altomedioevo l’acropoli subisce una serie di rifunzionalizzazioni riconoscibili proprio nelle cavità artificiali di più antica formazione, prevalentemente collocate lungo la costa settentrionale; questa porzione di territorio, gravitante attorno a via di Mezzo e via Cava, è articolata da una serie di ipogei e ambienti rupestri di tipo funerario, tra questi è l’ipogeo di Palazzo Delli Ponti (IV-VI secolo d.C.).
Una cesura culturale e urbanistica si individua in epoca mediobizantina. Nel IX secolo si assiste alla rioccupazione dell’area acropolare munita di cinta difensiva. La fortificazione è poi ripristinata da Niceforo Foca nella seconda metà del X secolo d.C. Le cavità pertinenti a questa fase cronologica sono il risultato di una precisa e unitaria progettazione urbanistica: le cave, poi ambienti, sono del tipo a fossa, articolate da fronti verticali definiti da assise orizzontali e segnate dalle punte del piccone e dei cunei. Nel X secolo riprende l’attività estrattiva lungo via Cava per l’impostazione di alcune aree di tipo produttivo, in uso fino al bassomedioevo. Comincia, inoltre, lo sfruttamento del fronte meridionale interessato da ambienti di natura utilitaria. A ridosso dei perimetrali della fortificazione, a protezione dell’insediamento, sorgono tre chiese databili tra X e XI secolo: a Nord è la chiesa semi ipogea di Largo Gennarini, a Sud la chiesa rupestre di Palazzo Santamanto e a Oriente, zona poco difendibile a livello naturale per un avvallamento, è l’area santuariale ipogea dedicata ai SS. Quaranta Martiri, non sembra quindi casuale l’intitolazione a dei santi militari. Coeve, nella periferia occidentale, sono la Chiesa di Santa Chiara alle Petrose, la prima fase della chiesa “Vecchia” della Gravina del Belvedere e il secondo strato di affreschi della Cripta del Redentore (precedente al IX secolo). Le superfici delle chiese, inoltre, non restituiscono segni di escavazione, in quanto le pareti sono levigate per una questione estetica o per la stesura degli affreschi.
Tra X e XI secolo non prosegue lo sfruttamento delle cavità del lato settentrionale, verosimilmente per l’eccesivo uso del banco geologico e per il cedimento della roccia; la “colmata bizantina”, dunque, sembra formarsi nel corso del tempo, funzionale a respingere le spinte oblique del banco roccioso lesionato.
Nel bassomedioevo è fondamentale una lettura che pone in relazione le cavità artificiali con le strutture subdiali. Continua lo sfruttamento delle cavità già esistenti, come si evince dalle anomalie architettoniche e dalle integrazioni in muratura. Le chiese della Città Vecchia sono defunzionalizzate, mentre, nel XIII secolo, la chiesa “Vecchia” della Gravina del Belvedere subisce delle modifiche a livello planimetrico e, a pochi metri di distanza, è scavata la chiesa “Nuova” della gravina. Nel XII secolo si data la chiesa rupestre intitolata a S. Giovanni, non più esistente.
Dal XVI secolo in poi si documenta una seconda cesura individuabile nella generale risistemazione dell’ex area acropolare, fenomeno che coincide con la costruzione di nuove chiese e di palazzi signorili che, di riflesso, coinvolge le cavità artificiali. Ipogei e ambienti rupestri, originariamente comunicanti, sono parcellizzati a seconda della divisione dei palazzi sovrastanti. Le cavità vengono adibite a cantine, scuderie, neviere, mangiatoie, abitazioni per il personale di servizio; in particolare questa situazione si riscontra nella porzione meridionale della città con diretto affaccio verso il Mar Grande, dove la nobiltà decide di insediarsi per la vicinanza alla cattedrale e al porto; la porzione settentrionale, invece, è soprattutto articolata da un’edilizia popolare.
La rifunzionalizzazione delle cavità si riconosce nelle geometrie e nei tagli del banco geologico. Le cave sono sempre del tipo a fossa e articolate da assise orizzontali, ma le pareti sono a piombo e gli angoli a 90°. Gli ipogei postmedievali in genere si sviluppano su più livelli collegati da scalinate.
Tuttavia, l’eccessivo sfruttamento del banco roccioso dell’ex area acropolare implica lo sfruttamento di altri giacimenti; infatti, nel postmedioevo, compaiono blocchi in calcare provenienti dalla zona più a Ovest di Taranto, la “piana di Martina Franca”, dove si intercettano altre cave e una calcara. Analogamente si riscontra un litotipo non locale, impropriamente definito “tufo” dagli studiosi locali.
Da quanto detto è possibile constatare che lo sfruttamento del banco geologico comincia nel tardoantico lungo la costa settentrionale, prosegue verso la porzione centrale tra X e XI secolo e si conclude a meridione nel postmedioevo.
Le tradizioni culturali
Si osserva che, in seguito alle incursioni saracene e ad una perdita di identità della città, dal IX al XIII secolo si impone la tradizione culturale bizantina, riconoscibile nell’organizzazione topografica delle cavità artificiali divise per funzione (ambienti produttivi/abitativi nella zona centrale attorno a via Duomo, ambienti utilitari a Sud e ambienti cultuali attorno ai perimetrali della fortificazione). La tradizione orientale è visibile nell’unità di misura in piedi bizantini, per le chiese nelle tipologie planimetriche (pianta a croce greca inscritta), nei sistemi di copertura (finte cupole), negli elementi architettonici (templon), negli affreschi e nelle iscrizioni in greco, fattori verosimilmente legati alla presenza di funzionari bizantini e maestranze orientali. Tutti questi elementi convivono con la tradizione architettonica locale (ambienti monocellulari, aree per concatenazione e soffitto piano) e in parte sono assimilati da essa come si evince da alcuni tipi murari.
Nel bassomedioevo, con l’affievolirsi del potere politico bizantino, compaiono elementi propri della tradizione occidentale che, solo negli ambienti ipogei e rupestri, coesistono con quelli bizantini e locali.
Quanto descritto afferma che le conoscenze tecniche non scompaiono con le nuove dominazioni politiche e che, di conseguenza, l’incontro tra diverse culture genera delle situazioni ibride in una classificazione tipologica.
Non è stato possibile definire il sistema di gestione delle acque per l’esiguità dei dati raccolti in merito.
Lo studio delle cavità artificiali tarantine amplia le conoscenze relative alle fasi postclassiche; quello che ne emerge è un diversificato quadro generale, dove il “diverso” rappresenta lo sfondo della cultura della Città dei Due Mari nel Medioevo.
Si auspica un lavoro di tutela e valorizzazione di questi ambienti, molti dei quali abbandonati e chiusi al pubblico, situazioni che generano la perdita della memoria di queste realtà che, invece, caratterizzano fortemente il territorio.