Grieco Pietro

Dottore di ricerca

ciclo: XXXIII


relatore: Prof. Mario Libertini

Titolo della tesi: I BIG DATA NELL'ECONOMIA DIGITALE: DISCIPLINA ANTITRUST, CONSUMERISTICA E DEI SERVIZI DI PAGAMENTO

L’utilizzo intensivo dei Big Data costituisce un fenomeno che interessa sempre più l’intera economia e società. Agli indubbi vantaggi in termini di riduzione dei costi di transazione per imprese e consumatori, si affiancano nuovi rischi sotto il profilo concorrenziale, della protezione dei dati personali e del pluralismo informativo. Le sfide poste dallo sviluppo dell’economia digitale e dai Big Data richiedono, comunque, uno sfruttamento pieno delle sinergie esistenti tra strumentazione ex-ante ed ex-post, a tutela della privacy, della concorrenza, del consumatore e del pluralismo. In particolare, la disponibilità in capo ai grandi operatori digitali (Big Tech), attivi su scala globale, di enormi volumi e varietà di dati (personali e non personali, strutturati e non strutturati) e della capacità di analizzarli ed elaborarli ha dato luogo a inedite forme di sfruttamento economico del dato e della sua valorizzazione. Tutto ciò ha generato nuove concentrazioni di potere, inteso non solo come “potere di mercato”, ma più in generale come potere economico e perfino politico, interessando i diritti fondamentali, i profili concorrenziali, il pluralismo e la stessa tenuta dei sistemi democratici. Il rapporto tra la politica della concorrenza e l'economia digitale è talmente centrale da essere stato incluso anche tra gli argomenti affrontati nella riunione del G7 di luglio 2019. Si tratta pertanto di un fenomeno che merita attenzione da parte di tutte le istituzioni che contribuiscono a definire la governance dei mercati. Le piattaforme digitali possiedono oggi enormi patrimoni informativi e utilizzano algoritmi e tecniche automatizzate di raccolta, selezione ed analisi dei dati fondati sull’autoapprendimento (c.d. machine learning). Si tratta di una vera e propria rivoluzione dell’informazione, che sta trasformando il mondo, ponendo sfide sempre più complesse per gli operatori del diritto. L’uso della tecnologia digitale e la consapevolezza della sua importanza sono aumentati anche alla luce della recente pandemia che ha costretto tutti ad un ripensamento delle abitudini di vita e di lavoro. I Big Data sono uno strumento tecnologico emergente, che si sviluppa a grande velocità (ogni millisecondo), e sono guidati dai social media o dalla rete internet. Le loro caratteristiche più importanti sono il volume, la velocità e la varietà. Già da tempo, infatti, si pensava di utilizzare i Big Data come strumento di governance nel settore pubblico tra Stati e organizzazioni internazionali al fine di programmare e valutare attività e interventi come, ad esempio, il monitoraggio della diffusione di malattie contagiose. I Big Data sono noti anche per i famosi scandali che, sin dal 2006, hanno visto l’utilizzo degli stessi per scopi meno nobili, fino ad arrivare al più recente scandalo del 2018 di Cambridge Analytica in America, dove si è cercato di manipolare l’orientamento politico e di influire sulle scelte elettorali. I Big Data sono generati quindi dai social media (ad es. Facebook), dagli e-commerce (ad es. Amazon) e dai motori di ricerca (ad es. Google), nella forma di video, audio e immagini. In particolare, i social network sono diventati lo strumento di informazione principale e le piattaforme online sono diventate così i nuovi leader mondiali nel settore della pubblicità, sottraendo il mercato ai media tradizionali. Le BigTech, infatti, fondano il loro business sull’acquisizione, il trattamento e l’elaborazione di informazioni e di dati da profili social degli utenti la cui disponibilità è direttamente proporzionale all’intensità d’uso della rete da parte di cittadini, imprese, consumatori ed istituzioni. Nel maggio del 2017 una celebre copertina dell’Economist affermava che: “la risorsa più preziosa al mondo non è più il petrolio, sono i dati”. In origine il dibattito era legato al solo aspetto della riservatezza dei dati personali, mentre oggi alla tutela della privacy si affiancano anche altri profili: quello antitrust, relativamente al vantaggio competitivo dell’uso esclusivo dei dati ai fini di profilazione commerciale da parte dei c.d. big five (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft), quello della tutela del consumatore, nonché quello legato ai servizi finanziari. Questi profili nascono e si accentuano con il riconoscimento del dato come valore economico, ovvero come valore di cambio in un’ottica negoziale. Negli ultimi anni il tema dei Big Data e il modo in cui questi sono combinati tramite gli algoritmi, è sempre più al centro del dibattito delle istituzioni europee e nazionali nonché delle Autorità di settore. Queste ultime, infatti, hanno notato come siano nati modelli di business fondati sulla raccolta ed elaborazione di dati di vario genere. Ciò premesso, le questioni giuridiche che ne derivano, riguardano in particolare i temi della privacy, della concorrenza e della regolazione dei mercati. Per queste ragioni nel presente elaborato si adotta un approccio olistico del dato, superando divisioni legate a singole discipline. Nel primo capitolo, si parte da uno studio dell’evoluzione storico - giuridica del diritto alla protezione dei dati personali che ha riflettuto le diverse società che nel tempo si sono succedute, fino ad arrivare all’odierna società dell’informazione digitale. Da un lato, le moderne tecniche di trattamento dei dati rivestono un ruolo chiave per lo sviluppo della società dell’informazione, dall’altro, pongono complesse sfide per la tutela della privacy e la più ampia protezione dei dati personali. Proprio in questo quadro si inserisce il fenomeno dei Big Data, delle decisioni automatizzate e del trattamento in massa dei dati personali. Come vedremo infatti, per molto tempo e in particolare in Europa, gli studiosi della materia hanno dato più attenzione al dato personale quale espressione della dignità umana piuttosto che come bene e oggetto di un negozio giuridico. Si ripercorreranno i passaggi salienti dello sviluppo evolutivo per comprendere le ragioni che hanno condotto il legislatore europeo, i giudici nazionali, le corti europee e le Autorità di settore a parlare di valore economico dei dati. In quest’ambito, il Regolamento UE 2016/679 (General Data Protection Regulation – GDPR) ha rafforzato i diritti degli interessati nei singoli rapporti individuali con l’impresa titolare attribuendo così maggiore controllo sui loro dati personali. In altre parole, si vedrà come i Big Data siano diventati un asset strategico di rilevanza non solo economica ma anche personale, considerata la loro incidenza potenziale sulle libertà individuali di rango costituzionale. Il GDPR costituisce una delle misure fondamentali della strategia del mercato unico digitale (Digital Single Market) in quanto riconosce, seppur non in via assoluta, un elevato livello di tutela dei dati personali. Quest’ultima strategia, il 15 dicembre 2020, ha ottenuto una svolta in quanto è stato pubblicato il doppio pacchetto legislativo di riforme (Digital Services Act e Digital Markets Act). Questo interviene in un momento delicatissimo mentre negli USA si sta insediando la nuova amministrazione. Il Digital Markets Act darà alla Commissione europea nuovi poteri per combattere l’eventuale abuso di posizione dominante da parte delle Big Tech, spesso americane, mentre, il Digital Services Act è diretto a regolare i contenuti e i servizi. Pertanto, mentre le proposte contenute nel Digital Services Act vengono analizzate nel primo capitolo (con riferimento alla sicurezza degli utenti online e alla protezione dei loro diritti fondamentali), le proposte del Digital Markets Act vengono analizzate nel secondo capitolo con riferimento alle questioni di diritto antitrust. È nel secondo capitolo che, invece, si analizzeranno i Big Data dal punto di vista del diritto antitrust e si cercherà di capire se e in quali casi possano costituire un vantaggio economico e una risorsa essenziale per le imprese che li posseggono e li gestiscono. A tal fine, si utilizzerà un approccio comparatistico, dato che le piattaforme digitali operano a livello globale e i diversi quadri regolatori sono il frutto di scelte politiche. Ad esempio, mentre in Europa, da ultimo con il Digital Markets Act, viene proposta una regolazione e strumenti correttivi ex ante per assicurare un più corretto funzionamento dei mercati, l’America sembra più critica verso simili strumenti regolatori. Inoltre, nel corso del secondo capitolo, si analizza se e quando l’attività di generazione, raccolta ed acquisto di dati digitali possa essere considerata lesiva del funzionamento del mercato. Si cercherà di vedere quando e in che misura le condotte delle piattaforme digitali integrino un comportamento anti-competitivo, sia che si tratti di condotte unilaterali, idonee ad integrare un abuso di posizione dominante, sia che si tratti di condotte multilaterali, con l’eventuale applicazione della disciplina sulle intese o le concentrazioni. Si valuterà anche come in Germania, nel recente caso Facebook, la Corte di giustizia federale (c.d. Bundesgerichtshof) abbia valorizzato la prassi applicativa della stessa Commissione europea in materia di concentrazioni (i.e. Facebook/WhatsApp e Microsoft/LinkedIn), concludendo sia nel senso di ritenere che Facebook non sia sostituibile con piattaforme alternative (i.e. Twitter, YouTube, Snapchat o LinkedIn), ma anche nella prospettiva di considerare i due versanti del mercato (utenti ed inserzionisti pubblicitari) come appartenenti a due segmenti differenti, non considerabili all’interno di un unico mercato rilevante. Da ultimo, con riferimento alle intese, si analizzeranno sia i casi di intese verticali sia la più nota collusione algoritmica (c.d. algoritmi di prezzo). Nel terzo capitolo, invece, sarà affrontata la questione con riferimento alle pratiche commerciali scorrette (di seguito anche “PCS”) e, in particolare, l’applicabilità della disciplina PCS nel caso di contratti senza esborso monetario. In particolare, si vedrà come la tutela del consumatore consente all’autorità italiana di intervenire in modo più celere e tempestivo nei casi di sfruttamento contrattuale, senza dover provare una condotta discriminatoria di tipo escludente ex art. 102 TFUE. Infatti, mentre il diritto antitrust si occupa dell’offerta, la tutela dei consumatori si occupa della domanda. Inoltre, nei mercati digitali, i contratti attraverso i quali i consumatori accedono a beni o servizi spesso non prevedono un esborso monetario (si parla di mercati zero-price), ma i consumatori rendono disponibili all’impresa i propri dati. Le condotte finalizzate all’acquisizione del consenso alla condivisione dei dati personali, nel caso i dati siano utilizzati per fini commerciali da parte di professionisti che si rivolgono a consumatori, possono integrare una PCS: ad esempio, se una piattaforma non comunica ai consumatori che i loro dati personali saranno trattati per finalità economiche, essa omette informazioni rilevanti di cui il consumatore ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale. Il panorama dei rimedi privatistici contro le pratiche commerciali scorrette è destinato ad ampliarsi ulteriormente con il recepimento della direttiva (UE) 2019/2161 (c.d. direttiva “omnibus”) approvata definitivamente dal Parlamento Europeo il 17 aprile 2019. Tale direttiva è entrata in vigore il 7 gennaio 2020 e modifica una serie di normative europee in materia di protezione dei consumatori, quali la direttiva 93/13 CEE del Consiglio (clausole abusive) e le direttive 98/6 CE (indicazioni sui prezzi), 2005/29/CE (pratiche commerciali scorrette) e 2011/83/UE (diritti dei consumatori). Ebbene, questa direttiva, oltre a contenere una specifica previsione che richiede agli Stati membri di assicurare ai consumatori, lesi da pratiche commerciali scorrette (ad es. marketing aggressivo), particolari rimedi contrattuali, introduce maggiori obblighi di trasparenza per gli operatori online anche rispetto alle recensioni, alla fissazione personalizzata del prezzo ed alla classificazione dei prodotti. Da ultimo, il quarto capitolo riguarda la correlazione tra i Big Data e i servizi di pagamento e, in particolare, il c.d. mobile payment, ossia il medoto di pagamento in formato digitale operante mediante i flussi telematici e modalità innovative dei dati. Il mercato dei pagamenti è infatti il mercato dove è più semplice inserire e diffondere tali tecnologie. Attraverso i servizi di pagamento, infatti, si organizzano piattaforme che raccolgono una grande quantità di dati della clientela e, pertanto, risulta evidente la funzione pro-concorrenziale, unita ad una forte innovazione e ad una maggiore efficienza dei pagamenti per gli utenti finali, sia sotto il profilo dell’accesso a beni e servizi di consumo sia sotto il profilo dell’accesso a informazioni e notizie rilevanti. Gli operatori tradizionali (banche, IP e IMEL) si troveranno sempre più a competere con i BigTech come Google, Apple e Facebook, nonché con le PMI innovative dotate di avanzati strumenti tecnologici. Infatti, la direttiva UE 2015/2366 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno e recepita in Italia con il d.lgs. n. 218/2017 (c.d. PSD2) permette agli utenti finali (o consumatori) di effettuare i pagamenti online per l’acquisto di beni e/o servizi direttamente dal proprio conto corrente online senza compiere alcun passaggio sull’istituto di credito. La nuova direttiva sui pagamenti rappresenta, quindi, un importante tassello nel quadro dei più ampi fenomeni di FinTech e di open banking, lasciando trasparire una certa attenzione del legislatore europeo verso le nuove tecnologie e, in particolare, verso il TPP (Third Party Provider), ossia l’operatore esterno al settore bancario che si colloca in una posizione intermedia tra il pagatore e il suo conto di pagamento on-line. Roma, 18 dicembre 2020 Dott. Pietro Grieco

Produzione scientifica

11573/1348359 - 2017 - La violazione degli obblighi informativi nell'intermediazione finanziaria tra disciplina civilistica e regolamentare
Grieco, Pietro - 01c Nota a sentenza
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