Titolo della tesi: Il principio di neutralità nelle operazioni straordinarie d’impresa
La presente analisi nasce con l’obiettivo di apprezzare la ratio sottesa alle attuali modalità con cui il criterio di neutralità fiscale trova applicazione nel contesto della disciplina positiva ai fini dell’imposizione sui redditi riguardante le cosiddette operazioni straordinarie.
Invero, l’univocità del principio di neutralità è venuta meno con il costante ibridismo dell’ordinamento nostrano che subisce influenze esterne a livello sia internazionale sia comunitario. Ne consegue, che il fil rouge del presente elaborato è quello di evidenziare come la neutralità fiscale – tradizionalmente intesa come concetto monolitico – sia in realtà, sulla base del diritto positivo, declinata in maniera triplice a seconda dei principi contabili adottati dai soggetti coinvolti e degli stati in cui essi hanno la propria residenza fiscale.
Si appalesa, dunque, come l’unicità della nozione di neutralità fiscale come tradizionalmente intesa sia ad oggi entrata in crisi e abbia lasciato il passo ad una tripartizione di tale principio che - pur giungendo da un punto di vista meramente pratico a conclusioni analoghe - da un punto di vista impositivo, affonda la proprie radici su eventi giustificativi del tutto diversi, se non antitetici. Segnatamente: (i) da un lato, il legislatore nazionale segue ancora un approccio formalistico imperniato sulla distinzione tra operazioni traslative e non traslative, (ii) da un altro lato, i principi contabili internazionali prediligono un criterio sostanzialistico che poggiando sulla nozione di “aggregazione aziendale” allinea le ricadute contabili di tutte le vicende di circolazione dei compendi aziendali (indipendentemente dalla loro veste giuridica formale) e (iii) da un altro lato ancora, l’ordinamento eurounitario, tralasciando considerazioni di natura formalistica ovvero sostanzialistica, accoglie e fa proprie istanze (di matrice politica) di corretta allocazione della sovranità fiscale tra Stati membri, facendo leva sulla fuoriuscita o meno dei cespiti aziendali coinvolti nell’operazione transfrontaliera dalla rispettiva sfera impositiva, il tutto conciliando la libera circolazione dei beni con le esigenze erariali delle singole giurisdizioni.
Alla luce dei presupposti giustificativi del principio di neutralità in ambito domestico, internazionale e comunitario, emerge chiaramente l’esigenza di trovare un punto di raccordo che rappresenti il minimo comune denominatore sotteso alle logiche (tripartite) che governano la circolazione dei compendi aziendali. Ne consegue che il quesito fondamentale riguarda se la neutralità fiscale corrisponda ad una propensione motivata esclusivamente da obiettivi promozionali e di agevolazione, ovvero se corrisponda ad una tendenza - ormai da tempo diffusa - ad abbandonare forme di tassazione a connotazione personale per posizionare il fulcro dell’imposizione maggiormente sui beni o fattori della produzione.
A tal riguardo, è ragionevole fornire una risposta piuttosto semplice a tale quesito, sebbene con le inevitabili perplessità legate ai periodi di transizione.
A livello internazionale e nazionale, l’imposizione personale progressiva sta sempre più spesso lasciando spazio a forme di tassazione reale che sono direttamente legate alla produzione effettiva. In questo contesto, la distinzione tra la persona del contribuente e il ciclo aziendale, che è guidata dall’applicazione del principio di neutralità fiscale nelle operazioni straordinarie, non rappresenta più un’eccezione con finalità agevolative, quanto piuttosto una coerente adozione di un modello di tassazione reale che sta diventando sempre più predominante.
Così, la tassazione si materializzerà solo quando l’azienda coinvolta nell’operazione realizzerà effettivamente il reddito in forma monetaria. In questo contesto, il fatto che l’imposta sia applicata esclusivamente al soggetto d’imposta che, dopo essere devenuto titolare dell’azienda, effettivamente realizzi il reddito generato da essa non dovrebbe essere considerato un’anomalia, quanto piuttosto un’applicazione coerente di un approccio fiscale parzialmente innovativo rispetto al passato più recente. Tale approccio si concentra sempre meno sulla semplice misurazione teorica della ricchezza a livello individuale e diventa sempre più concreto e, dunque, focalizzato sulla produzione reale (nel caso specifico, sull’azienda o, più precisamente, sull’attività produttiva) nonché sul reddito effettivamente realizzato.
The purpose of this analysis is to appreciate the rationale behind the current manner in which the tax neutrality principle is applied in the context of the income tax rules currently into force concerning the so-called extraordinary transactions.
Indeed, the uniformity of the neutrality principle has been undermined by the constant hybridism of the Italian legal system, which is subject to external influences at both international and EU level. As a result, the common thread of this analysis is to highlight how tax neutrality - traditionally intended as a monolithic concept - is in reality, on the basis of applicable law, declined in a threefold manner depending on the accounting principles adopted by the taxpayers involved and the countries in which they have their tax residence.
It thus becomes apparent that the uniqueness of the notion of tax neutrality as traditionally intended has now entered into crisis and has given way to a tripartition of this principle that - while reaching similar conclusions from a purely practical standpoint - from a taxation point of view, is based upon entirely different, if not antithetical, grounds. Namely: (i) on the one hand, the domestic lawmaker still follows a formalistic approach hinging on the distinction between transactional and non-transactional economic arrangements, (ii) on the other hand, the international accounting standards prefer a substantive approach that, by basing itself on the notion of “business combination”, aligns the accounting effects of all events relating to the circulation of business units (regardless of their formal legal definition), and (iii) on yet another hand, the EU legal system, leaving aside considerations of a formalistic or substantive nature, accepts and makes its own (politically motivated) demands for the correct allocation of tax sovereignty between Member States, leveraging on whether or not the business assets involved in the cross-border transaction fall outside their respective tax competence, all the while reconciling the free circulation of assets with the fiscal interests of individual jurisdictions.
In the light of the justifying assumptions of the principle of neutrality in the domestic, international and EU context, there clearly emerges the need to find a connecting factor that represents the least common denominator underlying the (tripartite) logic governing the circulation of business units. It follows that the fundamental question concerns whether tax neutrality corresponds to a trend motivated exclusively by promotional and facilitation objectives, or whether it corresponds to a tendency - long since widespread - to abandon forms of taxation with personal connotations in order to increasingly place the focus of taxation on the assets or means of production.
In this regard, it is reasonable to provide a rather simple answer to this question, albeit with the inevitable perplexities associated with transition periods.
Internationally and domestically, progressive personal taxation is increasingly giving way to forms of real taxation which are directly linked to actual production. In this context, the distinction between the individual taxpayer and the business unit, which is guided by the application of the tax neutrality principle in extraordinary transactions, is no longer an exception with facilitating purposes, but rather a consistent adoption of a model of real taxation which is becoming increasingly predominant.
Thus, taxation will only materialise when the undertaking involved in the transaction actually realises the income in monetary form. In this context, the fact that the tax is levied only on the taxpayer who, after becoming the owner of the business, actually realises the income generated by it should not be regarded as an exception, but rather as a consistent application of a tax approach which constitutes a partial innovation with respect to the recent past. Such an approach focuses increasingly less on the purely theoretical measurement of wealth at the individual level and becomes ever more concrete and, therefore, focused on actual production (in this case, on the business unit or, more precisely, on the productive activities) as well as on the income actually earned.