Thesis title: L dimensione eloquente dello spazio. Traiettorie italiane 1946-1971
ABSTRACT
Soltanto una piccolissima parte dell’architettura appartiene all’arte: Il sepolcro (grabmal) e il monumento (denkmal). Il resto tutto ciò che è al servizio di uno scopo, deve essere escluso dal mondo dell’arte.(Loos A. (1910) Architettura in Parole nel vuoto, Adelphi [2013] Milano, p. 262)
Il lavoro si pone l’obiettivo di analizzare una specifica stagione della storia architettonica italiana, durante la quale diversi progettisti si sono distinti nella produzione di spazi eloquenti. Per spazi eloquenti si intendono architetture con caratteristiche materiali capaci di corrispondere all’abitante determinati input e attivare, con essi, meccanismi comunicativi utilizzando solo le caratteristiche offerte dallo spazio materiale. Alla base della ricerca non vi è una perimetrazione dei casi studio riferita nè al linguaggio figurativo, né alla tipologia.
Cionostante, il corpus delle opere è concetrato su alcune destinazioni d’uso che sembrerebbero raccogliere più favorevolmente l’ interesse per spazi volti a veicolare significati. La ricerca analizza allestimenti, padiglioni e monumenti, riconoscendo in loro manufatti più vincolati a relazioni concettuali e a rimandi astratti, e capaci quindi di trascendere l’aspetto materiale e funzionale dell’opera d’architettura. Questo dipende dalla vocazione limitata di questi manufatti a adempiere funzioni molto specifiche e vincolanti, come sono, invece, quelle richieste dalla residenza, dall’educazione o dall’industria. In questo senso allestimenti, memoriali, monumenti e padiglioni, sembrano gli esempi più adatti per tratteggiare la tendenza allo studio e all’applicazione di dinamiche, che possiamo definire narrative, nello sviluppo progetto architettonico.
Questi interessi riuscirono occasionalmente a convergere e a trovare applicazio e, proprio nel secondo dopoguerra italiano, grazie ad una serie di combinazione storiche, influenze culturali ed artistiche determinanti. Molti episodi di questi episodi per via della loro categorizzazione all’interno dell’architettura minore sono stati per lungo tempo dimenticati o quasi ignorati dalla critica e dai progettisti. Altri, soprattutto gli episodi effimeri, hanno avuto fin da subito poca visibilità e sono sedimentati nella memoria collettiva attraverso immagini parziali e avari disegni. Il lavoro cerca, in questo senso, di fare nuova luce su questi episodi rendendoli comprensibili attrvaerso nuovi documenti di archivi e il ridisegno critico. L’aspirazione è quelli di poterne restituire ad un tempo lo spazio e la portata della ricerca progettuale che vi era dietro.
Il periodo preso in esame, dal 1946 (concorso per il Mausoleo delle Fosse Ardeatine) al 1971 (concorso per il Cimitero San Cataldo di Modena),è stato scelto per due ragioni. La prima riguarda la quantità e la concentrazione, durante questi venticinque anni, di opere che esplicitamente ricercavano una dialettica con il fruitore. La seconda ragione ha a che fare con le differenze rispetto a ciò che lo aveva preceduto e a quello che gli avrebbe fatto seguito. La stagione precedente al Mausoleo romano fu condizionata dall’avvento della prima modernità e, in Italia, il suo recepimento fu fortemente condizionato dalla presenza e dalle posizioni ideologiche del regime fascista. Molti dei protagonisti attivi nel secondo dopoguerra, erano impegnati sulla scena architettonica già negli anni precedenti ma le realizzazioni più interessanti sotto l’aspetto compositivo, si manifestarono, non a caso, proprio a partire dal periodo repubblicano. Il cimitero di San Cataldo, invece, è stato individuato come termine ante quem, e riconosciuto come momento critico della ricerca sui temi dell’eloquenza spaziale. La ragione sta in una sovrapposizione di circostanze. La prima circostanza è il mutamento, ancora una volta, del clima culturale e politico. Dal 1969 in Italia, sulla scia dei movimenti francesi e americani, si cominciarono ad affacciare campagne critiche da sinistra alla cultura egemone della classe borghese, vera fautrice della ricostruzione postbellica. Gli anni che seguirono vedranno un ripiegamento della disciplina architettonica verso un’autoanalisi solipsistica, volta per lo più, ad una tentativo di legittimazione e di autonomia. La seconda ragione ha a che fare con la figura di Aldo Rossi. Personaggio assolutamente di primaria importanza ed influenza già all’epoca, sarà con il Cimitero di San Cataldo che raggiungerà il massimo livello di sintesi all’interno della sua personale ricerca proprio sull’architettura parlante dell’illuminsmo e sui monumenti. L’importanza del progetto è testimoniata non solo dalle sue fattezze, ma dallo stesso Rossi attraverso la rilettura dell’ opera nella fondamentale autobiografia:
“A metà del 1971, in aprile, sulla strada di Istanbul, tra Belgrado e Zagabria ho avuto un grave incidente d’auto. Forse da quell’incidente, come ho detto, nel piccolo ospedale di Slavosnski Brod, è nato il progetto per il cimitero di Modena e nel contempo si è conclusa la giovinezza.”(Rossi A. (2000) Autobiografia scientifica. Il saggiatore. Milano. p.33)
L’architettura italiana prenderà, dal 1971, una strada differente e una sua esplorazione, con i medesimi strumenti messi a punto per il periodo del dopoguerra, appare inefficace se non sbagliata.
Il ripetuto riferimento alla comunicazione, al messaggio e al significato che le architetture selezionate propongono non è da intendersi come direttamente o universalmente derivabile dalla forma dei loro spazi. Come si vedrà, la composizione di queste architetture sfrutterà strumenti e dinamiche compositive complesse e non sempre legate alle figure dalle quali sono composte. Per quanto si isa cercata la massima documentabilità delle intenzioni progettuali al fine di ricostruirne scientificaemente le aspirazioni e valutarne meglio gli esiti, spesso questo strumento di verifica non si è reso possibile.
2 Rossi A. (2000) Autobiografia scientifica. Il saggiatore. Milano. p.33
tuttavia utile sottolineare come, talvolta, sia sufficente riconoscere l’espressività dello spazio, attraverso il solo meccanismo di verifica a posteriori, per potergli attribuire un valore compositivo capace di sostenere la tesi. Tesi che, attraverso i casi selezionati, sostien l’ipotesi che attraverso il controllo della composizione sia possibile veicolare dei messaggi, ancorchè polisemici e astratti.
Per questa serie di ragioni sono state raccolte le opere all’interno di alcuni discorsi spaziali, senza seguire un criterio cronologico o tipologico, ma focalizzandosi sulle caratteristiche di eloquenza che condividono. Gli accostamenti e le riletture che la ricerca propone, soprattutto attraverso il ridisegno critico, vogliono mettere in luce la ricchezza di una gamma di casi molto eterogenea per vocabolario e per registro compositivo.