Titolo della tesi: Kingship, Poetry, and Devotion in a Medieval Kāvya from Kashmir: Maṅkha and his Śrīkaṇṭhacarita
La presente tesi di dottorato prende in esame il poema di corte (mahākāvya) Śrīkaṇṭhacarita, composto dal poeta Maṅkha nel dodicesimo secolo, durante il regno di Jayasiṃha (1128-1155) in Kashmir. L’opera, in venticinque canti (sarga), è stata tradotta solo parzialmente in lingua tedesca da Walter Slaje, e merita uno studio più approfondito sia dal punto di vista esegetico, sia dal punto di vista filologico.
La prima parte consiste in un itinerario tematico introduttivo sui concetti di regalità, poesia e devozione emersi sia dallo studio dei sarga che possono essere considerati più autobiografici e storici (il secondo, terzo e venticinquesimo) sia dall’analisi di quattro canti specifici. Tali canti sono stati selezionati sulla base del loro contenuto: nel quarto sarga, la “descrizione del monte Kailāsa”, la montagna viene presentata come un sovrano-poeta; nel quinto sarga, la “descrizione del Signore”, Śiva è il re per eccellenza e oggetto di venerazione da parte di Maṅkha; nel sesto sarga, la “descrizione di Primavera”, Vasanta diventa il re delle stagioni; infine, nel diciassettesimo sarga, la “descrizione dell’assemblea di Śiva e degli dei”, Śiva assume dignità regale e la sua autorità viene riconosciuta dalle altre divinità attraverso un inno filosofico.
La seconda parte contiene la prima traduzione in una lingua europea (in Inglese) dei quattro canti precedentemente analizzati, ciascuno accompagnato da note esplicative.
La terza parte, infine, è dedicata allo studio filologico del testo. Una descrizione dettagliata delle edizioni a stampa e dei manoscritti dello Śrīkaṇṭhacarita è seguita dall’edizione critica del testo mūla dei quattro canti, mentre una sezione finale esplora i passi incerti dell’unico commentario esistente, quello di Jonarāja del quindicesimo secolo.
Più in generale, la presente ricerca mira a rinnovare l’interesse per lo studio dei poemi di corte in Sanscrito e dello Śrīkaṇṭhacarita in particolare, non come opere letterarie standardizzate e monolitiche, ma vive e contestuali.