Dottorato in ARCHITETTURA. TEORIE E PROGETTO

email: caterina.padoaschioppa@uniroma1.it

Caterina Padoa Schioppa si laurea alla Facoltà di Architettura di Roma Tre nel 2000 con Francesco Cellini, con una tesi sulla Ville Nouvelle di Melun Sénart. Negli anni successivi ha lavorato a Parigi presso gli studi di architettura Jean-Paul Viguier e Jean-Paul Philippon, e lo studio di paesaggio Atelier Bruel-Delmar. Nel 2003 ha proseguito la sua formazione con un Master in Landscape Urbanism all’Architectural Association di Londra. Tornata in Italia nel 2006, vince la Borsa di Dottorato al Dipartimento di Progettazione e Studio dell’Architettura di Roma Tre. Nel 2010 pubblica con Aracne la Tesi di Dottorato "Transcalarità e adattabilità nel Landscape Urbanism", che scava in profondità due principi – l’adattabilità e la transcalarità, le cui radici sono rintracciabili nei modelli architettonici e urbani più radicali degli anni Sessanta – che riguardano indifferentemente la scala macroscopica e microscopica del progetto, e introducono la variabile temporale come sua componente formale.
Se la ricerca assomiglia al temperamento di una persona, quella di Caterina Padoa Schioppa è inquieta ed errante, al confine tra architettura, città e paesaggio, spesso a contatto con i “paesaggi dello scarto” della città contemporanea, di cui le discipline dello spazio si sono occupate a partire dagli anni Novanta, e più in generale con la "città degli esclusi".
Del tema dei paesaggi dello scarto – affrontati nella tesi di laurea, di master e di dottorato, oltre che in diversi progetti di concorso – trattano le ricerche svolte, negli anni degli Assegni di Ricerca 2014-2016, con il Laboratorio QART sui territori della Coda della Cometa e sull’area Flaminia.
Nell’articolazione complessa e stratificata delle geografie, dei salti dimensionali e dei filoni tematici affrontati nei progetti, nelle ricerche e nelle sperimentazioni didattiche, le linee di coerenza sono di natura metodologica e strumentale. Sul piano stilistico – intenzionalmente coltiva il carattere evolutivo e sfuggente del linguaggio, pur avendo speciali “legami affettivi” con le architetture che mescolano codici moderni e tradizioni del regionalismo. Tra modernità e regionalismo si colloca, del resto, la migliore architettura della Cina post-olimpica, oggetto di suoi studio negli ultimi anni, i cui prodotti più significativi sono: la monografia sul paesaggista Kongjian Yu, fondatore di Turenscape (2019), e la monografia sull’architetto Gong Dong, fondatore di Vector Architects (2020), entrambe pubblicate con Libria.
A proposito di metodo e strumenti, in modo sintetico si può dire che, in ogni contesto (come progettista e come docente), ha ostinatamente usato la manipolazione diagrammatica (bi- e tri-dimensionale, manuale e digitale) allo scopo di indagare le regole interne dell’architettura (alla maniera di Peter Eisenman) ed esplorare le potenzialità della forma astratta, prima del suo divenire architettura. Del valore pedagogico del metodo diagrammatico e del linguaggio astratto ha trattato in numerosi saggi (tra gli altri, uno sugli esperimenti didattici di Bruno Zevi), e nei mesi delle pandemia in relazione alla modificazione dei linguaggi che la “didattica a distanza” ha indirettamente provocato. Ha inoltre, sullo stesso filone di ricerca, co-condotto un seminario del dottorato sul Campus di Pesaro di Carlo Aymonino, conclusosi con una mostra alla Facoltà di Valle Giulia (con O. Carpenzano e L. Porqueddu).
Prima di approdare alla Sapienza, ha insegnato a Roma Tre, al Politecnico di Milano, alla Summer School di Piacenza, al Rome Program dell’Università di Waterloo e al Dottorato di Paesaggio di Firenze.
Ha dato priorità al progetto – al progetto urbano in particolare – in ambito accademico e professionale, non disdegnando la pura indagine teorica, anzi alimentandosi di questa per mettere in relazione la pratica, la teoria e la dimensione politica del fare architettura. Ha rivolto costantemente l’interesse verso temi sociali, talvolta di bruciante attualità che l’architettura deve saper affrontare con sguardo visionario e non per questo ineffettuale, traducibile in esperienze concrete e fatti materiali (anche all’interno della compagine accademica). Tale è stata l’esperienza didattico-sperimentale nell’ambito del Dottorato nel 2008 (compendio progettuale della dissertazione teorica) che ha dato vita a una piccola struttura temporanea multireligiosa, realizzata in autocostruzione con gli studenti. Co-finanziata e promossa dall’Ateneo, e con il patrocinio del Comune di Roma, l’iniziativa aveva lo scopo di sensibilizzare la comunità universitaria (ma anche cittadina) alla molteplicità culturale e religiosa.
A distanza di molti anni, la ricerca all’Esquilino che la vede coinvolta dal 2020 (assieme a un gruppo di professori del DiAP), ha proseguito questo filone tematico, in una realtà dove la multietinicità e la diversità religiosa sono ormai consolidate.
Con lo sguardo rivolto ai valori laici della società, dal 2018 anni porta avanti una ricerca sulle architetture per la morte e per i riti civili – non solo funebri – di cui le nostre città sono carenti, non solo come numero, ma anche e soprattutto come qualità figurativa e simbolica. Questo tema è stato approfondito nell'ambito di seminari di dottorato, di concorsi di architettura, è stato presentato a conferenze internazionali e in diverse pubblicazioni.
Infine, all’interno del corso di Progettazione al secondo anno del CdL in Scienze dell’architettura affronta un altro tema emergente, verosimilmente correlato al precedente, che riguarda l’invecchiamento della popolazione, particolarmente pronunciato in Italia. Dal 2019, agli studenti propone di progettare una residenza collettiva multi-generazionale in quartieri centrali della città di Roma.
È membro del Comitato Editoriale di ArchiDiAP e della rivista Ardeth.