Titolo della tesi: Il provvedimento amministrativo nazionale contrastante con il diritto "super primario"
Le norme e i principi costituzionali ed europei regolano con pervasiva intensità la funzione amministrativa, concorrendo a integrare e definire quello che è stato denominato “lo statuto costituzionale [in senso lato] dell’amministrazione”.
L’obbligo di conformazione dell’attività amministrativa al diritto “super primario” provoca l’indagine sulla valenza e sull’operare del diritto costituzionale ed europeo come parametro di legittimità dell’atto amministrativo e di liceità del comportamento dell’amministrazione pubblica emanante.
Il problema, che più volte si è presentato nella pratica, ha trovato soluzioni diverse e spesso contraddittorie, sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale. La densità di opinioni e l’assenza di riferimenti legislativi in merito rende specialmente arduo affrontare le diverse implicazioni dell’incostituzionalità e della non conformità al diritto europeo dell’atto amministrativo.
Si tratta, invero, di patologie di dubbia collocazione sistematica nell’ambito dell’invalidità del provvedimento, poiché, non ancora qualificate dal diritto positivo, sono l’esito dell’intersecarsi di istituti ulteriori a quelli del diritto amministrativo e propri del diritto costituzionale e dell’Unione europea.
Si individuano due possibili forme di manifestazione: come vizio direttamente imputabile all’atto, esso stesso in contrasto con la normativa “super primaria”, o come vizio, soltanto mediato, dell’atto che sia emanato sulla base di una norma statale contrastante con la Costituzione o con il diritto europeo.
Il fenomeno dell’invalidità c.d. diretta pone il fondamentale interrogativo circa il valore del diritto costituzionale ed europeo quale diretto parametro di legittimità dell’atto amministrativo.
L’illegittimità c.d. indiretta, d’altro canto, apre alla considerazione delle plurime implicazioni in punto di regime sostanziale e processuale del provvedimento determinate dagli effetti caducatori o vizianti ascrivibili al fenomeno della c.d. invalidità derivata, in cui la medesima si inscrive.
Il parallelismo tra l’illegittimità dell’atto amministrativo per contrasto con la Costituzione e per contrarietà al diritto europeo si spiega per il rango sovra legislativo che le rispettive normative rivestono nella gerarchia delle fonti; esso si dipana però attraversando elementi di diversità, dipendenti dai differenti meccanismi del sindacato di conformità della legge statale alla Costituzione e al diritto dell’Unione, che abbisognano di specifica trattazione.
Precisamente, il carattere accentrato del sindacato di costituzionalità dà ancora adito a divergenze di opinioni circa l’invalidità sopravvenuta (perché rilevabile soltanto ex post) o originaria dell’atto amministrativo applicativo della norma sottoposta al giudizio della Corte costituzionale.
I corollari processuali delle due tesi, in punto di disciplina dei c.d. rapporti esauriti e dei poteri officiosi del giudice, operano in funzione non solo di consequenzialità ma anche di presupposizione nella scelta tra le due opzioni.
Il sindacato sulle norme statali in contrasto con quelle del diritto dell’Unione dotate di effetti diretti si esplica invece in via diffusa, per mezzo dell’istituto della disapplicazione (previo esperimento di un’interpretazione conforme, qualora possibile). Questo è il perno attorno a cui ruotano le note tesi della “integrazione” e della “separazione” tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario. La prima, teorizzata dalla Corte di giustizia, riconosce al diritto dell’Unione il ruolo di parametro di legittimità dell’atto amministrativo, la seconda, formulata e difesa dalla Consulta, lo esclude. Ne derivano evidenti radicali difformità nella qualificazione del regime dell’atto amministrativo, che, alla stregua della tesi nostrana, si ritroverebbe privo di un fondamento normativo nel caso di disapplicazione di una norma statale attributiva del potere stesso di emanazione.
Al contempo, si deve considerare il ruolo di definizione della portata interpretativa e applicativa del diritto dell’Unione in capo alla Corte di giustizia, che, pur non dando luogo all’espunzione della norma statale dall’ordinamento interno, favorisce il riconoscimento della non conformità della stessa da parte del giudice nazionale, cui, nondimeno, è rimessa l’eventuale disapplicazione con conseguente caducazione dell’atto amministrativo applicativo. Per altro verso, l’elaborazione della Corte è fonte non scritta del diritto dell’Unione, complementare ai Trattati e al diritto derivato, e pertanto vincolante per tutti gli Stati membri; le sue pronunce operano normalmente ex tunc, incorrendo quindi nel problema del limite dei c.d. rapporti esauriti analogamente al giudizio di costituzionalità.
La problematica della concreta demarcazione della sfera dei rapporti esauriti dovrebbe essere risolta alla stregua della legislazione ordinaria che regola i diversi settori dell’ordinamento. Tuttavia difettando prescrizioni specifiche in punto di regime degli atti amministrativi violativi del diritto super primario, si sta assistendo al proliferare di soluzioni giurisprudenziali, provenienti da organi nazionali e sovranazionali, spesso confliggenti tra loro.
Quindi, la direttrice di una prospettiva comune agevolerà la ricerca intorno ai problemi processuali legati all’innesto del sindacato di costituzionalità e di conformità al diritto europeo sul processo amministrativo di tipo impugnatorio: un modello di giurisdizione rigorosamente soggettiva e preordinato alla garanzia della certezza del diritto e della stabilità delle posizioni giuridiche, che rischierebbe di essere snaturato in un controllo di legittimità oggettivo e sine die dettato dalla natura sovraordinata della legalità violata, ma che non preclude la formulazione di correttivi al fine di contemperamento delle diverse esigenze. La giurisprudenza nazionale mostra infatti una tendenza ad estendere poteri officiosi del giudice, mentre dalle Corti europee arriva l’impulso per una riapertura dei termini di impugnazione o del processo già definito con valore di giudicato, a condizioni specificamente e concretamente determinate.
Parimenti, la posizione sovraordinata del diritto costituzionale ed europeo urta su altre strutture giuridiche consolidate del diritto amministrativo, quelle del procedimento di riesame in via di autotutela, la cui normale discrezionalità potrebbe cedere a una connotazione in termini di doverosità qualora il ripristino della legalità esaurisse l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto e lo rendesse non passibile di bilanciamento. Sembrano invece doversi ricercare soluzioni che, nel favorire l’accoglimento dell’istanza, non svalutino la scelta di opportunità rimessa all’organo emanante.
Ultima problematica che questo studio si propone di affrontare è quella dell’operatività del diritto costituzionale ed europeo come parametro di liceità del comportamento dell’amministrazione emanante il provvedimento invalido.
Agevolmente si riconosce la responsabilità dell’amministrazione nei casi in cui il diritto positivo impone a ogni pubblica autorità l’obbligo di non applicare le leggi statali contrastanti con il diritto dell’Unione e quelle dichiarate costituzionalmente illegittime.
È nell’ipotesi residuale dell’illegittimità non ancora dichiarata dalla Consulta, anche per violazione di una norma convenzionale, che si potrebbe allora manifestare l’ “incongruenza etico-giuridica” tra l’irresponsabilità di chi applica, nel periodo della sua formale vigenza, una legge incostituzionale e l’irreparabilità del danno subito dal destinatario dell’atto.
L’istanza di tutela della posizione giuridica soggettiva lesa muove quindi la ricerca di un principio di indennizzabilità per atto lecito dannoso o di una peculiare configurazione dell’illecito, che tenga conto della gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali a essa rimesse, dei precedenti giurisprudenziali, delle condizioni concrete e dell’apporto dato dal privato nel procedimento.