Titolo della tesi: La lingua delle lettere di Pietro Aretino
Questa ricerca si è proposta di inquadrare la lingua epistolare di Pietro Aretino sia nella sua dimensione privata sia nella sua dimensione pubblica, fondativa del genere del “libro di lettere” del Cinquecento, provando a colmare quel vuoto bibliografico intorno agli studi linguistici in questo campo. Difatti, mentre la lingua dell’autore in quanto scrittore di opere teatrali e dialogiche è stata ampiamente analizzata, sono solamente quattro i contributi tesi a dare conto di alcuni tratti linguistici dell’epistolario: Procaccioli 1996, Patota 2008, Dardano 2017 e D’Onghia 2020. Questa mancanza di studi sul versante linguistico è controbilanciata da una buona situazione sul versante filologico: del corpus epistolare di Aretino si dispone di un’edizione critica affidabile (Procaccioli 1997-2002), di stampe edite sotto il controllo dell’autore dal 1538 al 1557 e di un censimento recente delle testimonianze autografe (Marini 2009).
Per intraprendere questa disamina, è stato circoscritto un 'corpus' che comprende ottantotto epistole autografe composte fra il 1523 e il 1555 e duecentodieci missive stampate. Da un lato, gli originali consentono di descrivere gli aspetti più spontanei della lingua di Aretino; dall’altro, le lettere stampate, quantitativamente maggiori e concernenti diversi temi, permettono di effettuare delle considerazioni sul piano sintattico e su quello lessicale. Peraltro, una collazione fra le missive autografe e quelle edite offre l’opportunità di osservare il trattamento a cui Aretino ha sottoposto la sua scrittura in previsione della pubblicazione delle "Lettere".
Il lavoro si articola in tre capitoli. Il primo tratta la disamina dei livelli linguistici spontanei della scrittura dell’autore (interpunzione, grafia, fonetica e morfologia) da un punto di vista diacronico, valutando il peso che l’aretino (come lingua di origine), il fiorentino (come lingua del prestigio) e il veneziano (come impulso esterno durante il soggiorno nella Serenissima) hanno esercitato nel corso del tempo. Emerge che la lingua autoriale è fortemente influenzata dalla componente aretina e fiorentina – soprattutto dell’uso –, mentre la spinta dei dialetti altoitaliani risulta essere meno preponderante.
Nel secondo capitolo si analizzano la sintassi e il lessico tenendo conto di variabili diafasiche e diastratiche determinate dall’eterogeneità degli argomenti sviluppati nell’epistolario e dalla molteplicità dei destinatari delle lettere. In particolare, per la sintassi – più tradizionale – è stato valutato il legame con la prosa antica diventata il modello di scrittura grazie alle "Prose" bembiane (1525); il lessico – più innovativo – è stato esaminato nella sua varietà e ricchezza sia per il linguaggio settoriale sia per la componente espressiva di Aretino mirata alla ricostruzione di una conversazione 'in absentia' con il destinatario e legata alla produzione dialogica.
Nel terzo capitolo, che ha un’impostazione linguistico-filologica, si collazionano alcune delle testimonianze autografe delle lettere in nostro possesso e le corrispettive versioni delle missive stampate nei diversi volumi dell’epistolario, analizzando le revisioni attuate in sede tipografica dai curatori scelti dall’autore.
Attraverso questa ricerca sono stati raggiunti diversi obiettivi: la descrizione della lingua di Aretino, con l’analisi degli aspetti più naturali; la definizione di un profilo della scrittura epistolare aretiniana, e perciò di un genere letterario tutto volgare di cui le "Lettere" hanno rappresentato l’atto fondativo e il modello per la scrittura di corrispondenza almeno fino alla metà degli anni Quaranta del XVI secolo; l’osservazione del mutamento della “lettera” da oggetto privato a prodotto di pubblica fruizione mediante la disamina del processo di revisione in sede di stampa finalizzato alla costituzione di un “libro” coerente e unitario sia nella lingua sia nella struttura.
L’insieme dei dati raccolti e il sistema che essi costituiscono hanno permesso, peraltro, di collocare meglio l’autore e le sue scelte linguistiche rispetto al contesto storico-culturale cinquecentesco e alla questione della lingua. Nonostante Aretino non partecipi in maniera attiva ai dibattiti coevi, è aggiornato sulle produzioni teoriche e grammaticali in merito, riconoscendo la superiorità del fiorentino (quello dell’uso, però) e rifiutando la complessità del periodare boccacciano, oltre che l’imitazione pedissequa della lingua dei modelli trecenteschi.