PASQUALE NARCISO

Dottore di ricerca

ciclo: XXXV


supervisore: Giuseppe Anzera
relatore: Giuseppe Anzera

Titolo della tesi: I bias del giornalismo politico alla prova delle piattaforme social

L'obiettivo della presente tesi di dottorato è di indagare, tramite alcune interviste ad un campione selezionato di giornalisti politici, come la diffusione e l'implementazione nelle pratiche lavorative delle piattaforme di social media abbia impattato il lavoro dei suddetti giornalisti politici. L'importanza di stabile il rapporto fra giornalisti politici e piattaforme social non si riscontra tanto nella semplice creazione di un profilo sui social media, quanto invece nel capire se queste piattaforme rappresentino oggi una valida alternativa alle fonti tradizionali. L'atto stesso della pubblicazione e della segnalazione di una notizia non esaurisce il racconto che si fa del fatto di cronaca e questo è stato un aspetto che le interviste e la letteratura selezionata per la tesi hanno ben mostrato. Il giornalismo politico italiano rappresenta, nel panorama europeo e non, una sorta di unicum a causa della sua partigianeria e della sua aderenza alle fonti politiche ufficiali e le interviste ai giornalisti hanno evidenziato ciò. I giornalisti intervistati (scelti fra i quotidiani generalisti più venduti in Italia) non rappresentano certo l'intera categoria di giornalisti politici, ma hanno mostrato uno spaccato interessante del loro lavoro e delle componenti che formano la loro routine lavorativa. La letteratura selezionata per la tesi è servita alla costruzione di un questionario qualitativo (con domande semi-strutturate) che ha evidenziato come i giornalisti intervistati sentano, come connaturato alla loro professione, il ruolo di gatekeeping nel selezionare fonti e notizie per il loro giornale. Le domande hanno altresì evidenziato come l'informazione digitale sia ormai un qualcosa di molto presente nella professione giornalistica, non solo perché i giornali cartacei devono difendere la loro quota di mercato e di lettori, ma anche perché ha accelerato di molto i processi di costruzione delle notizie e di verifica delle fonti. Da un lato esiste un ruolo “occulto” di gatekeeper, censori e distributori fusi all’interno delle piattaforme social e non; dall’altro la centralità “manifesta” degli user, i quali distribuiscono, commentano e generano svariati prodotti: ciò è spiegato nel primo capitolo della tesi. La varietà delle interviste ha in più evidenziato come, nonostante la diversità politica dei giornali scelti (dalla sinistra alla destra passando per il populismo), i giornalisti condividano pratiche lavorative e strutture mentali che si sono dovute trasformare a causa dell'informazione digitale. Uno di questi è stata la disintermediazione, che ha portato sia i giornalisti sia i politici a parlare al proprio pubblico senza filtri. La “mano invisibile” dietro la moderazione di social quali Facebook o Twitter o di un portale d’accesso alla rete come Google non va sottovalutata né sottaciuta: fra gli user che frequentano e vivono quelle piattaforme quotidianamente ed i loro gestori si viene a creare una narrazione che talvolta rende opache le rispettive mansioni o aspettative ed incide sui loro discorsi. La tesi ha mostrato, nel corso di tutto il suo svolgimento, come la professione del giornalista politico (anche nel caso specifico italiano) subisca le tensioni fra un ruolo di puro annotatore della cronaca e quello di commentatore e interpretatore dei fatti del giorno prima. Uno dei temi che è più risaltato dalle interviste è stato, infatti, la forte presenza del genere del commento sui quotidiani italiani: da un lato ciò è visto come un aspetto deteriore del giornalismo politico (perché spesso fa passare determinati messaggi anche da parte degli stessi politici), ma dall'altro è considerato come quel qualcosa in più che distingue la cronaca cartacea da quella online e social (ormai ubiqua e presente sempre sugli smartphone e computer di tutti). La presenza di eventuali bias del giornalismo politico nel racconto dei suoi soggetti/oggetti di pertinenza non può prescindere dal constatare che i media sono attori in grado di offrire le proprie descrizioni tanto da influenzare il corso degli eventi o la percezione altrui degli stessi. Le platform societies, dominate da varie maschere indossate dai partecipanti alla conversazione, sussumono - anche di peso - precise regole scritte e non: le piattaforme hanno oscillato (e oscillano ancora) fra l’utopia della rete senza confini né padroni e gli interventi anche legislativi che hanno tentato di frenare gli eccessi degli utenti o delle stesse companies. Il caso analizzato, nel secondo capitolo, sarà l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Questo fatto di cronaca ha mostrato come i cosiddetti “difensori del tradizionale stile di vita (americano/occidentale)” - i gruppi dell’alt-right, del white power e dell’anti-femminismo, solitamente relegati nello spazio di retroscena - abbiano sfruttato le falle/gli strumenti forniti dalle piattaforme online per attaccare un luogo del potere materiale e simbolico (il Campidoglio), con politici che a loro avviso occupavano abusivamente lo spazio di palcoscenico. I giornalisti avrebbero dovuto teoricamente ricoprire un ruolo di gatekeeping fra quanto viaggia sui e tra i social media e la realtà politica, sociale ed economica. La proliferazione di field guides su come riconoscere le fake news o controbattere pratiche quali il doxing o l’hate speech sembrano delineare un forte disagio su come gli algoritmi ne abbiano permesso la diffusione. La seconda parte del lavoro sarà dedicata, a partire dal terzo capitolo, ad unire in unico insieme coerente i vari casi di analisi riguardanti l’aspetto tecnico/algoritmico della disinformazione giornalistica. La piattaforma di social media analizzata con più attenzione nella tesi è stata Twitter: se molta letteratura aveva considerato la piattaforma acquisita da Elon Musk come propriamente giornalistica per alcune sue caratteristiche (brevità e velocità dei tweet, presenza di molte fonti ufficiali, ecc.), le domande dei giornalisti hanno rafforzato questa visione, ma hanno anche indicato il fastidio e la difficoltà dei giornalisti nel giostrare fra disinformazione, fonti incomplete e propaganda da parte dei leader politici. Il quarto capitolo, infine, ha analizzato l'aspetto discorsivo che soggiace all'analisi qualitativa e alle interviste somministrate. Le conclusioni della tesi hanno mostrato la malleabilità della routine lavorativa dei giornalisti intervistati. Alcuni di loro hanno iniziato a lavorare nel giornalismo politico ben prima della rivoluzione digitale, ma allo stesso tempo hanno mostrato uno spirito di adattamento alle innovazioni tecnologiche che sovente viene frustrato dalle ristrettezze economiche del giornalismo come prodotto di mercato e dalle pressioni, più o meno dirette, dei decisori politici.

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