MITRA HEMATPOOR

Dottoressa di ricerca

ciclo: XXXV


supervisore: prof.ssa Francesca Gallo

Titolo della tesi: L’ARTE CONTEMPORANEA IRANIANA IN ITALIA Dal 1954 Al 1988

“Nonostante il livellamento provocato nel mondo intero dalla rivoluzione industriale e dal conseguente consumismo, ancora per molto tempo l’Occidente sarà l’Occidente e l’Oriente, l’Oriente. Così pensiamo che sarebbe interessante oggi indagare sui modi coi quali gli artisti asiatici si appropriano della cultura occidentale, specie quelli che provengono da paesi di grande tradizione e di forte identità nazionale come l’Iran.” Secondo Alberto Moravia, quindi, la modernità viene trattata in genere come una singolare traiettoria di progresso modellata sull'esperienza dell'Occidente, facendo però attenzione a non perdere la propria identità culturale. Un assunto sintetizzato nell'opinione di Jean Baudrillard secondo cui "la modernité s’impose comme une, homogène, irradiant mondialement à partir de l’Occident”. Pur pretendendo di avere una validità universale, tali premesse trascurano la miriade di fattori culturali che hanno caratterizzato di volta in volta e riformato i loro principi nel corso della loro diffusione nel mondo, propagata da complesse combinazioni di idealismo intellettuale, necessità economica, interessi politici e coloniali e sviluppo tecnologico, sebbene non appartenga all'Occidente modernista. Partendo dal presupposto che la modernità apparentemente corretta si è sempre verificata in Occidente, altre realtà moderne acquisiscono spesso una natura subalterna, le loro uniche sfumature geografiche e culturali non vengono esaminate. Senza questa attenta valutazione contestuale, le altre modernità appaiono spesso come pallide e tardive interpretazioni della vera modernità, anche se in realtà rivelano processi più complessi di ibridazione culturale. Nei Paesi che hanno sperimentato cambiamenti culturali sotto l'influenza dell'egemonia occidentale, a causa dell'imperialismo o di forze socio-economiche locali, l'adozione di arti di stampo europeo è spesso servita come segnale di una modernizzazione più completa. Partendo da questo presupposto, la definizione generica di modernità riscontrata nei contesti internazionali, è stata anche la fonte della modernizzazione dell'Iran, che ha coinvolto sia le strutture politiche sia quella culturale del Paese. Nel 1898, l’apertura al dialogo artistico tra Italia e Iran avviene con un viaggio di studio del pittore Kamal-ol-Molk a Firenze e Roma (anche a Parigi) che diede inizio al processo di modernizzazione del linguaggio pittorico iraniano. Trascorsi 5 anni, l’artista tornò in Iran su richiesta del re e, purtroppo, le sue riflessioni rimasero incomplete. Di conseguenza, gli appassionati della sua arte hanno avuto l'idea di istituire una Scuola di Belle Arti Occidentali e di insegnare la storia dell'arte occidentale con un metodo accademico. Nel 1940, dopo l'istituzione ufficiale dell'Accademia di Belle Arti di Teheran, gli studi furono condotti per lo più secondo lo stile di Kamal-ol-Molk. Tre anni dopo lo sviluppo della facoltà d'arte, numerosi artisti, scultori e architetti di spicco, che avevano compiuto studi sparsi nell'arte occidentale, furono invitati a collaborare sotto la supervisione di André Godard (1881-1965), archeologo, architetto e storico dell'arte francese specializzato nell'arte del Medio Oriente . Al ritorno dello Scià e della Regina dal loro esilio di un anno a Roma nel 1954, i legami culturali tra l'Italia e l'Iran sono stati intensificati attraverso l'assegnazione delle borse di studio agli studenti. Nel quadro di questa mobilità artistica, al termine della loro formazione nelle accademie italiane, gli artisti erano invitati a tornare in Iran e a mettere in pratica ciò che avevano appreso in patria. Questo scambio culturale ebbe un ruolo importante nell'introdurre il modernismo e nel far conoscere ai giovani artisti iraniani lo splendido scenario dell'arte italiana nel secondo decennio della Seconda Guerra Mondiale. La ricerca verte sulla “stagione italiana" degli artisti iraniani il cui compito fu quello di trasmettere con il proprio linguaggio preso dai loro grandi maestri, l'atmosfera storica e culturale dell'Italia e la luce propositiva che si sparse durante gli anni del secondo dopoguerra. Molti di questi artisti hanno tentato di diffondere l'arte italiana in Iran e evidentemente hanno trattenuto una certa percentuale delle loro radici di letterati visivi. Nel panorama artistico degli anni Cinquanta dell’Iran prevalgono gli orientamenti stilistici e linguistici provenienti dall'Italia, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra. In questi anni la situazione politica iraniana vide l'ascesa al potere del nuovo Scià Mohammad Reza Pahlavi e un periodo di cronica instabilità parlamentare (1947-1951) con la contemporanea ascesa e caduta di diversi primi ministri. Insieme allo Scià, sua moglie Farah Pahlavi fu particolarmente attiva nel campo dell'arte e della cultura, contribuendo in modo determinante a rivitalizzare la scena culturale iraniana contemporanea e creando la più importante collezione di arte occidentale in Asia che custodisce i capolavori dei più importanti artisti internazionali del XX secolo, da Picasso a Monet, Van Gogh, Munch, Mirò, Dalì, Kandinsky e Warhol. Farah ha inoltre fondato diversi centri e istituzioni culturali, tra cui l'Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e dei giovani adulti (IIDCYA) e il Museo d'arte contemporanea di Teheran. Il clima di forte ostilità, unito al precedente impulso culturale nato sotto la monarchia Pahlavi, rende l’Italia, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, la meta privilegiata di giovani artisti iraniani che scelgono questo Paese per la loro formazione tecnica e culturale, attratti dalla tradizione classica e rinascimentale delle “Belle Arti” e dalla possibilità di studiare e lavorare a diretto contatto con gli artisti italiani contemporanei. Ispirati e arricchiti dall’immersione nel paesaggio, nella luce, nelle sculture, pitture e architetture del Paese di Giotto e Michelangelo, delle vestigia classiche e dei maestri medievali, i giovani artisti iraniani trovano in Italia anche un’occasione di incontro, apprendimento, scambio e confronto con personalità dell’arte contemporanea come Toti Scialoja, Marino Marini, Emilio Villa, Lucio Fontana, Alberto Burri, Pino Pascali, Jannis Kounellis, Arturo Martini, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, tra i protagonisti del fermento artistico italiano del Dopoguerra e degli anni Sessanta e Settanta. Così, il fenomeno di quella che potremmo chiamare “immigrazione artistica” dall’Iran verso l’Italia - ancora oggi in corso - da vita, in quegli anni, ad alcune vicende creative tra le principali dell’arte contemporanea iraniana e al tempo stesso fornisce un peculiare punto di vista anche sull’arte contemporanea italiana. Secondo un progetto analitico delle indagini del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale con il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), sono stati attivati gli "Stati Generali dagli anni Cinquanta per la promozione dell'istruzione universitaria italiana all'estero” . Da queste ricerche è emerso che le accademie di belle arti italiane nel decennio degli anni Cinquanta e Sessanta erano molto frequentate da studenti iraniani. Le accademie più frequentate erano, nell'ordine, l'Accademia di Brera a Milano, l'Accademia di Belle Arti di Roma, l'Accademia di Firenze e l'Accademia di Torino. Il formalismo europeo in questi anni è diventato il metodo dominante nella ricezione e nell'interpretazione delle arti moderniste e, concentrandosi solo sulle qualità estetico-formali dell'espressione modernista, nasconde la relazione interdipendente tra l'arte e i suoi contesti sociali. In reazione al dominio del formalismo negli anni del dopoguerra, cominciarono a fiorire approcci contestuali che richiedevano un metodo più sintetico alla produzione artistica modernista. Quest’ arte ha spesso funzionato come significante del successo della modernizzazione e della secolarizzazione dell'Iran. In quanto stretta alleata delle potenze occidentali durante la Guerra Fredda, quando l'arte modernista europea e nordamericana veniva spesso utilizzata come mezzo culturale per dimostrare la superiorità dell'Occidente sulle ideologie socialiste, la politica culturale iraniana si è servita della produzione artistica modernista per dimostrare che l'Iran si stava avviando a diventare un Paese occidentalizzato . Ad un decennio di distanza, il governo Imperiale dello Scià Mohammad Reza Pahlavi venne trasformato, dalla rivoluzione islamica del 1978, in Repubblica Islamica sotto la guida dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini, uno dei leader della rivoluzione e fondatore della Repubblica Islamica e, con il crollo della dinastia Pahlavi, l'Iran divenne ufficialmente una repubblica islamica il 1º aprile 1979. La rapida modernizzazione verso l'economia capitalistica dello Scià Mohammad Reza Pahlavi fu dunque sostituita da politiche economiche e culturali populiste e islamiche. Molte industrie furono nazionalizzate, le leggi e le scuole islamizzate e le influenze occidentali vietate. Durante questa crisi politica e sociale, l’Iraq tentò di approfittare del disordine della rivoluzione, della debolezza delle forze armate iraniane e dell'antagonismo con i governi occidentali al fine di ampliare l'accesso al Golfo Persico, attraverso l'acquisizione di territori che aveva in precedenza perso durante il governo dello Scià. Queste tensioni scatenarono un conflitto lungo otto anni tra i due Paesi. Per via della nuova strategia islamica del Paese, non furono più effettuati investimenti per l'istruzione, in particolare nel settore culturale, in un momento in cui il regime tentava di ricostruire il suo potere partendo dalla propria storia, per cui la formazione avvenne solo all'interno del Paese. Nella realizzazione delle opere si integrarono le regole islamiche e si evitarono alcune tipologie di opere come le sculture o la presenza delle figure femminili nelle arti visive. Il governo islamico attivò il Ministero della Cultura e della Orientazione Islamica, con la responsabilità di restringere l'accesso a qualsiasi media che violasse l'etica islamica o promuovesse valori estranei alla rivoluzione.. Parte dello scopo di questa ricerca è approfondire il “periodo italiano” di quattro artisti iraniani: Bahman Mohassess, Parviz Tanavoli, Mohsen Vaziri Moghaddam, tutti giunti in Italia alla metà degli anni Cinquanta insieme a Behjat Sadr, l’unica artista donna di cui ho approfondito, riuscita a giungere in Italia nonostante le difficoltà; più un quinto: Bizhan Bassiri, che in quel periodo è nato e che in Italia giunge - senza più lasciarla - a metà degli anni Settanta, sulle orme dei suoi predecessori, condividendo con loro i riferimenti artistici e il confronto con i protagonisti dell’arte contemporanea italiana del ventennio 1955-1975, fino a realizzare un sorta di osmosi creativa che - rispetto ai suoi tre connazionali - lo configura come artista contemporaneo “iraniano-italiano”, a ideale compimento di un percorso di influenza e di scambio cominciato con l’arrivo a Roma di Mohassess nel 1954, anno di nascita di Bassiri. In questo modo si studia la prima, la seconda e la terza generazione dell'arte moderna iraniana. L’intenso dialogo degli artisti dei due Paesi continua anche negli anni Settanta e Ottanta, secondo un interessante quanto tormentato rapporto con le coeve vicende politiche dell’Iran. Un riferimento alle vicende politiche dell’Iran appare necessario per comprendere anche alcune scelte di vita degli artisti oggetto di questa ricerca: scelte che finiscono inevitabilmente per riflettersi anche sulla continuità del rapporto con l’Italia, e di conseguenza sulla loro arte anche nella fase più matura. Altresì, appare imprescindibile, ai fini di questa ricerca, considerare - sia pure per tratti generali e sintetici - anche il contesto storico dell’Italia tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, due decenni che vedono un grande fermento artistico, politico e culturale legato all’uscita dalla guerra e alla ricostruzione; il “boom economico” che porta con sé istanze consumistiche e comunicative, legate anche al rapporto strategico con gli Stati Uniti; gli anni della contestazione e della “controcultura”, fino alla crisi degli anni Settanta. La ricerca nasce per mostrare come il trasferimento in Italia di questi quattro artisti iraniani non costituisca soltanto un mero percorso di formazione tecnica o di apprendistato, bensì dia luogo ad un autentico processo creativo dai caratteri originali e specifici che, da un lato, sancisce a pieno titolo l’inizio di un’arte contemporanea iraniana, ma che, dall’altro, è incomprensibile se si prescinde dall’operare di quegli artisti nel contesto italiano di quegli anni. La scelta di queste cinque personalità artistiche iraniane è quindi niente affatto casuale, come emerge anche dal profilo, biografico e artistico, che ne andremo a tratteggiare e che qui ci limitiamo ad accennare. La maggior parte delle fonti dello studio sono state raccolte dagli archivi personali degli artisti. Nel caso specifico dell'artista Bahman Mohassess, invece, non esiste un archivio sistematico e la documentazione rilevante è stata recuperata presso amici che risiedono in Italia, anche perché alcuni dei suoi documenti sono scomparsi, come le sue opere pubbliche, dopo la transizione verso il nuovo regime islamico ed anche per via del suo carattere, che non sentiva il bisogno di conservare documenti, le sue opere avrebbero testimoniato il suo percorso. Tra gli artisti segnalati, Parviz Tanavoli è l'unico ad aver conservato i numerosi giornali italiani degli anni Cinquanta e Sessanta, che sono stati fonti importanti per riconoscere le sue mostre collettive e personali. La sua natura da collezionista non riguardava solo la sua arte, ma anche la conservazione dei documenti degli altri artisti della sua generazione e, in generale, dell'atmosfera artistica iraniana dopo la moderazione. Altra sorgente è l'archivio di Bizhan Bassiri, che è attualmente in fase di classificazione, ma è stato origine dello studio della sua arte. Negli archivi e nella biblioteca del Museo Internazionale d'Arte di Roma, invece, sono stati ritrovati alcuni inviti a mostre e fotografie relative a opere esposte ad artisti alla Biennale di Venezia o a mostre collettive. Alcune fotografie delle opere e dei testi dei critici, in particolare degli artisti Behjat Sadr e Mohsen Vaziri Moghaddam, sono stati recuperati da due cataloghi dedicati a loro con il titolo Pionieri dell'arte moderna in Iran, pubblicati dal Museo d'Arte Contemporanea di Teheran. Una parte importante della tesi riguarda la partecipazione dell'Iran con un proprio padiglione alla Biennale di Venezia e, di conseguenza, la strutturazione della propria Biennale attraverso la convocazione di un comitato di giuria comprendente critici e studiosi internazionali, fu concepita dagli artisti itineranti per l'Europa che intuirono l'importanza di essere presenti sul palcoscenico artistico internazionale; lo spunto fu preso in considerazione dal governo imperiale. Lo studio si propone di contribuire a questa storia "scarsamente documentata", partendo da quanto disponibile in Italia, ovvero la presenza degli artisti iraniani durante il regno di Mohammad Reza Pahlavi alla Biennale di Venezia, e le conseguenti riflessioni della critica italiana sulla loro arte. La Biennale di Venezia ha definito il modernismo "globale" del secondo dopoguerra, aprendo i suoi padiglioni a nazioni che non avevano mai partecipato prima - tra cui l'Iran - e ad alcuni nuovi Paesi nati recentemente da movimenti indipendentisti. Nel corso della ricerca ho ricostruito la presenza dell'Iran alla Biennale di Venezia dal 1956 al 1966, il primo e l'ultimo anno, per un totale di cinque partecipazioni del Paese. Ho ripercorso la traiettoria degli artisti rappresentati, identificato, per quanto è stato possibile, le opere effettivamente esposte e analizzato la ricezione critica dal punto di vista dei critici italiani. Gli studi svolti presso l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) della Biennale di Venezia ha fornito importanti risorse e nuova documentazione, altri contributi sono stati tratti dai cataloghi di esposizione alle Biennali. Attraverso l'esame di questi materiali ho potuto anche determinare alcune scelte degli apparati culturali statali iraniani e fornire ulteriori dettagli sull'importanza della Biennale di Teheran, iniziata nel 1958 come mostra nazionale per l'evento veneziano. I documenti relativi alla Biennale di Teheran, citata come programma organizzato a seguito delle partecipazioni alla Biennale di Venezia, sono stati tratti dai cataloghi dell'esposizione, conservati nell' archivio di Tanavoli. Osservare l'arte e gli artisti iraniani alla Biennale fornisce una chiara visione della formazione dell'identità nazionale del Paese prima dell'istituzione della Repubblica islamica. Come sosterrò nelle pagine seguenti, la presenza alla Biennale, all'epoca la più importante sede internazionale per l'arte contemporanea, è fondamentale per comprendere lo sviluppo e l'eredità del modernismo iraniano, che si è definito in un contesto di relazione dialettica con l'arte europea. La partecipazione ufficiale ha segnato un momento importante per l'Iran. Venezia, città nota da secoli come porta culturale tra Occidente e Oriente, sarebbe un punto di passaggio per l'ulteriore sviluppo e promozione del modernismo iraniano. Gli artisti iraniani che si recavano all'estero per approfondire i loro studi conobbero i moderni stili artistici occidentali e riportarono in Iran idee nuove. Con l'apertura delle scuole d'arte in Iran, gli artisti moderni si sono gradualmente affacciati sulla scena, forgiando nuovi percorsi verso la creazione di forme d'arte distintamente iraniane. I risultati di questo studio mettono in evidenza come l’arte iraniana contemporanea si sia ispirata per la maggior parte all’arte italiana del trentennio che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Per via di questa onda di “immigrazione artistica” le porte dell’Italia sono tuttora aperte agli artisti persiani che sono stati ambasciatori del modernismo in Iran e con la complicità di critici e studiosi dell’arte contemporanea che hanno tenuto in grande considerazione le attività degli artisti sopracitati. Dopo circa mezzo secolo dal dispiegamento ufficiale del modernismo e dalle sue evidenti ricadute in ambito culturale e delle belle arti, l'Iran di oggi affronta ancora un conflitto sociopolitico; Attualmente in Iran sembra essersi ripresentata la situazione che ha caratterizzato gli anni antecedenti la rivoluzione islamica, anni vissuti drammaticamente anche dagli artisti, limitati sia a livello nazionale che internazionale, tale situazione è testimoniata dal rifiuto a partecipare alla 59esima edizione dell'Esposizione Internazionale d'Arte in corso a Venezia da parte del governo Islamico. Nel corso degli anni l'Iran è stato teatro di un grande caos, il conflitto con l'Iraq, durato otto anni, e la Rivoluzione Islamica hanno determinato mutamenti nella direzione del governo che hanno avuto ripercussioni direttamente sullo stato della cultura e dell’arte.

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