LUCREZIA PIVA

Dottoressa di ricerca

ciclo: XXXVII


supervisore: Prof. Pietro Boria

Titolo della tesi: LA FISCALITÀ DELLE IMPRESE SOCIALI: PROFILI NORMATIVI, CRITICITÀ E IMPATTO DELLE AGEVOLAZIONI FISCALI SUL TERZO SETTORE

L’analisi evidenzia il progressivo riconoscimento del ruolo fondamentale del Terzo Settore, e in particolare dell’impresa sociale, nel rispondere ai bisogni sociali che il welfare tradizionale non riesce più a soddisfare. Il fenomeno della globalizzazione e l’indebolimento del controllo statale sull’economia hanno ridotto l’efficacia della relazione Stato-Mercato, che nei modelli classici di welfare si basava sull’intervento pubblico entro confini territoriali definiti. In un contesto globalizzato, il mercato è ora chiamato a integrare valori di solidarietà prima garantiti dallo Stato, richiedendo una nuova visione che superi la netta divisione tra sfera economica e sociale. Questa evoluzione implica un ripensamento del concetto stesso di impresa, che diventa un attore chiave nelle politiche di welfare e non più solo un’istituzione mirata al profitto, ma piuttosto alla promozione di interessi collettivi. Tale approccio si allinea con i principi di responsabilità sociale d’impresa e con i concetti di sussidiarietà e solidarietà europea sanciti nei trattati dell’Unione Europea. La crescente mobilità internazionale dei capitali, complicando la tassazione e riducendo le risorse statali, ha inoltre reso inefficaci le politiche redistributive tradizionali, portando alla necessità di nuovi modelli che promuovano sia la libertà di scelta per gli utenti che la competitività nel settore dei servizi. In questo contesto, a fronte della intervenuta metamorfosi dei rapporti rappresentati, si è assistito alla proliferazione di organizzazioni non lucrative, nate con l'obiettivo di fornire servizi più efficaci ed efficienti rispetto a quelli offerti dallo Stato, non più fornitore diretto di servizi, ma regolatore, incaricato di garantire l’efficienza e la qualità dei servizi erogati. La Commissione Europea, riconoscendo i limiti delle teorie dell’economia sociale di mercato, ha adottato un approccio più inclusivo verso nuove motivazioni economiche e forme d’impresa, inizialmente integrando la solidarietà nel libero mercato e poi promuovendo l’impresa sociale. Dopo decenni dedicati a espandere la libertà economica, le crisi economiche hanno evidenziato le disuguaglianze crescenti e l’incapacità del mercato di garantire uno sviluppo equo, portando a un interesse rinnovato per modelli di impresa che uniscano valori sociali e sostenibilità economica. Questa evoluzione ha segnato la transizione dal Welfare State al Welfare Society, che si fonda su una logica di mercato più individualista ma aperta alla compartecipazione, in linea con il principio di sussidiarietà orizzontale. In questo modello, il Terzo Settore e i privati sono legittimati a svolgere attività di interesse generale, sostenuti da misure promozionali governative. Di conseguenza, gli Stati hanno dovuto ripensare il loro ruolo nel welfare, basato fin dal dopoguerra sull’alleanza tra Stato ed economia di mercato per garantire i diritti sociali messi a dura prova dalla globalizzazione. Ciò chiarito, attraverso una breve analisi delle principali tappe europee e nazionali, anche alla luce di una prospettiva comparatistica, si è rilevato come le istituzioni, ai vari livelli, abbiano calibrato le proprie reazioni normative sulla base di esigenze dettate dalla ragion pratica, ossia dai contingenti fattori sociali ed economici che hanno interessato le differenti fasi storiche a partire dagli anni Settanta del Secolo Breve. Tali fattori sono sintetizzabili nella proliferazione di organismi intermedi indirizzati all’assistenza e promozione di taluni settori strategici (formazione, arte, ambiente, cultura, sanità) ad opera di enti privi di finalità lucrative, espressione della società civile (il Terzo settore). Il mentovato approccio ha consentito di addivenire ad una graduale sedimentazione normativa multilivello che, se da un lato ha consentito un proficuo dialogo verticale ed orizzontale tra istituzioni unionali e Stati membri, riconoscendo il valore di questi organismi ed ispirando la genesi di normative tese a valorizzare e sostenere il valore dei nuovi assetti sociali, dall’altro ha comportato l’insorgere di questioni relative al complicato coordinamento tra i differenti livelli normativi. In questo contesto, suscitano particolare interesse gli enti che, fendendo il tradizionale legame tra impresa e profitto, hanno ridefinito il ruolo dell’impresa come "formazione intermedia," assumendo compiti e responsabilità solitamente riservati al settore pubblico. Questi enti hanno subito profonde trasformazioni, adattandosi ai cambiamenti sociali ed economici in Europa. Inizialmente orientati alla protezione dei lavoratori dal potere del capitale, hanno progressivamente ampliato il loro campo d’azione verso altre aree e categorie, rispondendo alle nuove esigenze della società post-industriale e del pluralismo sociale. A fronte del particolare interesse ingenerato, l’analisi svolta si è concentrata sulla genesi e sullo sviluppo della particolare figura dell’impresa sociale, con riguardo alla quale l’intervento europeo ha avuto il pregio, a partire dal gruppo di ricerca EMES, di fornire le coordinate essenziali al fine di addivenire ad una definizione, quanto più organica, degli elementi che la caratterizzano riconoscendone e legittimandone l’ibridismo ontologico sopra descritto, funzionale a garantire la sintesi tra efficienza economica e finalità sociali. Tuttavia, l’assenza di una normativa specifica e coordinata ne ha impedito, almeno in una prima fase, un adeguato sviluppo, a causa delle incertezze che ne informavano la struttura giuridica e fiscale, rendendo difficile attrarre investimenti, instaurare rapporti di fiducia con gli stakeholder e garantire un adeguato riconoscimento istituzionale. L’analisi si è focalizzata sull'origine e sull’evoluzione dell’impresa sociale, il cui sviluppo è stato favorito dal contributo europeo, in particolare dal gruppo di ricerca EMES, che ha definito le caratteristiche chiave di questa forma ibrida, capace di conciliare efficienza economica e finalità sociali. Tuttavia, la mancanza di una normativa chiara ne ha inizialmente ostacolato la crescita, generando incertezze giuridiche e fiscali che limitavano la capacità di attrarre investimenti e ottenere riconoscimento istituzionale. Per superare queste difficoltà e dare all’impresa sociale una stabile identità giuridica, le istituzioni europee e i governi nazionali hanno avviato un intenso processo legislativo, creando norme specifiche che favoriscono la sua operatività e sostenibilità. Compendiando, se dal lato Europeo si è assistito, sin da subito, ad uno sforzo di armonizzazione ed individuazione degli elementi strutturali, teso a distinguere l’impresa sociale dai tradizionali attori economici agenti sul mercato concorrenziale (quali i. la natura privatistica dell’ente, ii. l’indipendenza dello stesso dallo Stato e da altre amministrazioni pubbliche, iii. lo scopo prevalente o esclusivo di interesse comunitario o generale), in sede interna si è generata una sovrabbondanza di modelli organizzativi che hanno inquadrato l’impresa sociale o come specifica forma giuridica di incorporazione ovvero come qualifica applicabile alle differenti entità, già normate, che soddisfacessero determinati requisiti comuni. n Italia, la regolamentazione dell’impresa sociale ha seguito un percorso pionieristico ma frammentato. La legge 381 del 1990, con cui sono state istituite le cooperative sociali, ha creato un modello innovativo di governance democratica e orientato all’interesse generale, diventato un riferimento anche all’estero. Tuttavia, questo intervento legislativo si è sviluppato in modo disomogeneo, regolando separatamente le diverse realtà del Terzo Settore. Il primo passo verso una regolamentazione unitaria è arrivato solo con il D.lgs. 155 del 2006, che ha definito l’impresa sociale come uno status giuridico applicabile a diverse forme esistenti (cooperative, associazioni, fondazioni, società per azioni). Gli enti con questa qualifica si impegnano a perseguire finalità di utilità sociale e a reinvestire gli utili, sottostando a obblighi di trasparenza e rendicontazione. Il decreto ha introdotto anche incentivi fiscali simili a quelli per le ONLUS, garantendo però maggiore flessibilità. Tuttavia, le ambiguità normative – soprattutto in materia di governance e regimi fiscali – hanno limitato l’efficacia della legge, che ha finito per complicare ulteriormente il quadro normativo già complesso del Terzo Settore, ostacolando lo sviluppo dell’impresa sociale. Sicché, preso atto delle criticità osservate è intervenuto nuovamente il legislatore con la L. 106 del 2016 riordinando l’intera disciplina del Terzo Settore per il tramite di due differenti decreti delegati, tra cui il n. 112/2017 avente ad oggetto il riordino della disciplina dell’Impresa sociale, la quale viene ricompresa nel perimetro degli enti del Terzo settore, “in quanto anch'essa presenta l'elemento caratterizzante tale categoria giuridica, individuato nell'aspetto teleologico, cioè il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, realizzate attraverso lo svolgimento di attività di interesse generale, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi”. La particolare meritevolezza dei fini perseguiti da tali enti, ha indotto il legislatore della riforma a meglio definire le organizzazioni in esame che, pur svolgendo attività commerciale, si connotano per alcune caratteristiche peculiari di cui tenere conto per delinearne il trattamento fiscale. In particolare, ponendo l’attenzione sugli elementi differenziali di questo tipo di impresa (i.e. finalità mutualistica e sociale), il decreto legislativo n. 112/2017 ha introdotto un nuovo regime fiscale che rappresenta un passo cruciale per le imprese sociali in Italia, fornendo un quadro normativo chiaro ed un significativo sistema di detassazione. La normativa per le imprese sociali impone che gli utili siano destinati al patrimonio dell’ente o reinvestiti in attività coerenti con la missione, vietando la distribuzione ai soci, salvo eccezioni come l’aumento di capitale sociale. Questo vincolo garantisce la vocazione non lucrativa delle imprese sociali e il loro impegno verso le comunità. Il regime fiscale include agevolazioni per compensare eventuali perdite, favorendo la stabilità economica delle imprese nel lungo periodo. Il decreto inoltre promuove una governance partecipativa e trasparente, coinvolgendo attivamente stakeholder come lavoratori, beneficiari, volontari e comunità nei processi decisionali, per una gestione democratica e responsabile verso la collettività. Questa struttura incoraggia il controllo diffuso delle risorse, pur ponendo sfide gestionali, soprattutto per le piccole imprese sociali, che possono risentire di una ridotta flessibilità operativa. Infine, l’attenzione alla sostenibilità e responsabilità sociale implica che le imprese sociali comunichino efficacemente il proprio valore alla comunità, costruendo così una reputazione solida e un ampio supporto pubblico. Tuttavia, la governance inclusiva può rendere le decisioni più lente e complesse, richiedendo leadership sensibile e attenzione al bilanciamento tra efficienza e aspettative degli stakeholder. A questo punto è opportuno osservare come l’intero assetto gestionale ed amministrativo imposto alle imprese sociali debba leggersi quale garanzia del corretto esercizio dell’attività statutaria la quale, in virtù del particolare pregio riconosciutogli, gode di un particolare favor fiscale. Ed invero, accanto alla complessa e laboriosa struttura di governance, agli obblighi di registrazione e rendicontazione ed al divieto di distribuzione degli utili, il legislatore ha predisposto un particolare regime di detassazione che, come si è visto, trova la sua ragion d’essere nei principi costituzionali. Nel corso della trattazione si è avuto modo di conoscere il nuovo regime fiscale previsto per le imprese sociali che acclude un complesso sistema di detassazione compendiato in esenzioni dal reddito imponibile degli utili e degli avanzi di gestione reinvestiti in riserve indivisibili o destinati a incrementare il patrimonio dell’impresa sociale ovvero in incentivi agli investimenti esterni, attraverso detrazioni fiscali per le persone fisiche e deduzioni per le imprese che decidono di investire in capitale sociale, simili a quelle riservate alle startup innovative e tese a sottolineare l’importanza della dimensione sociale in un contesto economico in continua evoluzione. Questi incentivi non solo favoriscono lo sviluppo delle imprese sociali, ma creano anche un ambiente più favorevole per la realizzazione di iniziative che perseguono il bene comune. Per quanto riguarda il regime IVA, si è osservato come le imprese sociali sono generalmente soggette all'aliquota ordinaria, con alcune esenzioni riservate agli enti non commerciali. Inoltre, a corredo dell’impianto fiscale contenuto nel d.lgs. 112/2017, il Codice del Terzo Settore integra alcune disposizioni specifiche per le imprese sociali. In particolare, gli articoli 82 e 83 del Codice offrono benefici fiscali indiretti e vantaggi sia per donatori sia per investitori, evidenziando l’importanza della collaborazione tra pubblico e privato nel sostenere attività di interesse sociale. Chiarito il sistema di detassazione, meglio descritto nel corso della trattazione, si ritiene che allo stesso debba conferirsi pregio strutturale pur non dovendosi mai tradurre in un corrispettivo versato al privato in cambio di una propria prestazione, la quale sarebbe - a ben vedere - di difficile quantificazione. Ed invero,in un’ottica federativa, l’impresa sociale, quale organismo intermedio supplisce il gap statale offrendo attività di interesse generale a beneficio della collettività. Per questo motivo, la ratio del regime agevolativo deve ricercarsi del combinato disposto degli artt. 53 e 118 della Costituzione, congiuntamente ai principi generali di cui agli artt. 2 e 3 della Carta medesima. A tale proposito, l’elasticità della disposizione di cui all’art. 53 Cost. lascia spazio ad interpretazioni estensive in grado di declinare la capacità contributiva anche attraverso l’erogazione di servizi alla collettività di appartenenza. Su questa base l’impresa sociale “contribuirebbe” alla spesa pubblica attraverso l’erogazione di servizi che lo Stato, da solo, non è in grado di fornire. Ulteriormente ed in un’ottica federativa, l’art. 118, co. 4 costituzionalizzando il principio di sussidiarietà orizzontale è teso a favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del mentovato principio, alla luce dell’atavico proposito repubblicano di cui all'art. 3, co. 2, Cost. il quale dispone che "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". La pacifica assonanza tra le due disposizioni forgia le condizioni affinché la dimensione individuale, della autonoma iniziativa del singolo, si fonda con il più generale interesse collettivo, ove ciascuno possa realizzare pienamente sé stesso. Compito della Repubblica, secondo l'art.118, cpv., sarà quello di favorire le autonome iniziative dei cittadini quando esse si rivolgano all'interesse generale, trait d’union tra l'art. 3, co. 2° e l'art. 118. In altre parole, unitario il fine dell’interesse generale, binarie le modalità di attuazione: nel primo caso tramite i poteri pubblici, nel secondo tramite i cittadini sostenuti dallo Stato, in un’ottica di sussidiarietà e collaborazione. Tuttavia, non può non tenersi conto di come l’impresa sociale, in quanto ente commerciale, debba rispettare i vincoli imposti dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato. In questa ottica, il il legislatore della riforma ha sottoposto l’efficacia di alcune disposizioni di carattere fiscale all’autorizzazione della Commissione UE ai sensi dell’articolo 108, par. 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), da richiedere a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, inserendo un’apposita previsione che costituisce un esempio positivo di ricerca ex ante di un quadro interno di coerenza con le regole europee. A ciò si aggiunga che, la disposizione in commento rappresenta un unicum nel panorama normativo italiano, in quanto non risulta, ad esempio, che il regime fiscale degli enti non commerciali delineato dal TUIR sia stato mai notificato alle autorità europee. Si consideri poi che, per effetto dell’applicazione combinata dei primi due commi dell’articolo 104, del CTS (laddove il secondo comma fissa l’entrata in vigore del Titolo X, dedicato al regime fiscale degli ETS, a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea, fatte salvo talune disposizioni di cui al Titolo X, indicate al primo comma, che si applicano immediatamente in via transitoria), è rinviata – altresì - l’efficacia delle disposizioni tributarie di carattere strutturale che sono legate alle disposizioni elencate all’articolo 101, comma 10: si tratta, in particolare, delle norme che individuano i criteri da adottare ai fini della qualificazione come commerciale o non commerciale delle attività svolte nell’ambito del terzo settore (artt. 79, 84 e 85 del D.lgs. n 117/2017), delle norme che disciplinano la tenuta delle scritture contabili connesse ai regimi fiscali agevolativi (art. 87), nonché delle disposizioni di coordinamento normativo (art. 89). Tali disposizioni, al pari di quelle subordinate “in senso stretto” all’autorizzazione della Commissione europea, diverranno efficaci a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui interverrà tale autorizzazione (art. 104, comma 2 del d.lgs. 117/2017). Al rilascio dell’autorizzazione europea è subordinata anche l’efficacia della disciplina fiscale prevista in favore delle imprese sociali delineata dall’articolo 18 del d.lgs. 112/2017 (cfr. l’ultimo comma dell’art. 18). Tuttavia, l’autorizzazione in esame ingenera alcuni dubbi, proprio alla luce di una corretta disamina della normativa in materia di aiuti di Stato. In particolare, si è visto come l’art. 107 del TFUE definisca incompatibili con il mercato interno gli aiuti di Stato, salvo i cd. aiuti in esenzione, i quali sono considerati ammissibili anche senza preventiva autorizzazione della Commissione. In primo luogo, si deve osservare come le norme europee in materia di aiuti si applicano solo ove il beneficiario dell’aiuto sia un’impresa, così come considerata dall’art. 1 dell’allegato 1 al Regolamento (UE) 651/2014, ovvero a “qualsiasi entità che eserciti attività economica indipendentemente dalla sua forma giuridica”, restando ininfluente la qualificazione data all’ente dal diritto nazionale, così come se l’Ente sia stato o meno costituito al fine di conseguire utili. In secondo luogo è altrettanto opportuno notare come, fatto salvo il caso dei regimi di aiuti da notificare preventivamente alla Commissione europea per verificarne la compatibilità, la normativa prevede tre ulteriori strade per consentire all’autorità pubblica di fornire vantaggi economici ai soggetti dell’Economia sociale: gli aiuti de minimis; gli aiuti rientranti in specifici regimi che la Commissione considera compatibili con le regole europee e gli aiuti volti a compensare gli obblighi di servizio pubblico imposti per la prestazione di servizi di interesse generale (SIEG). Particolare rilievo, per quel che riguarda l’autorizzazione in esame, richiesta dall’Italia ai sensi dell’art. 104 del CTS, va allora riconosciuto alle ultime due categorie relative agli aiuti in regime di esenzione ed ai SIEG. Con riguardo ai SIEG si è visto come nel Piano di azione per l’economia sociale COM (2021)778 e nella Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 27 novembre 2023 sullo sviluppo delle condizioni quadro dell’economia sociale, le istituzioni europee hanno chiarito che, oltre alle possibilità offerte dalla legislazione europea in materia di aiuti di Stato, gli Stati membri possono finanziare i soggetti dell’economia sociale coinvolgendoli nella gestione dei servizi di interesse economico generale (SIEG). Tuttavia, sebbene i SIEG rappresentino certamente un utile strumento per le Imprese, gli stessi soggiacciono alle medesime problematiche applicative riguardanti le agevolazioni fiscali, infatti, qualora si renda necessario un finanziamento statale, a compensazione degli obblighi di servizio pubblico, occorrerà ad ogni modo verificare se questo sia o meno compatibile con la disciplina degli aiuti di Stato sulla base delle quattro condizioni cumulative previste dalla sentenza Altmark. Sicché di maggiore interesse appaiono gli aiuti rientranti in determinate categorie individuate dalla Commissione, la quale ha predisposto alcuni schemi standardizzati al livello europeo al fine di agevolare (esonerare) le autorità pubbliche dalla preventiva notifica. Inoltre, dal 2021, si è proceduto alla modifica del Regolamento GBER (General Block Exemption Regulation), Reg. n. 651/2014, al fine di accludere i soggetti dell’economia sociale nel novero dei beneficiari, incentivando non solo la collaborazione tra imprese ‘responsabili’ ed enti del terzo settore, ma anche interessando direttamente le imprese sociali prevedendo un regime di aiuti per le imprese (anche sociali) che si occupino di tematiche quali la transizione verde e l’innovazione. In tal senso, lo strumento in questione appare più rispondente alle esigenze delle Imprese sociali, le quali possono più facilmente inquadrare la propria finalità entro le categorie individuate dalla Commissione al fine di beneficiare del sistema di detassazione statale senza violare la disciplina europea. Per queste ragioni la richiesta di autorizzazione è apparsa piuttosto discutibile, anche considerando come ilregime fiscale previsto per gli Enti del Terzo settore in generale e per l’impresa sociale nello specifico non debba essere letto in chiave derogatoria, ma piuttosto strutturale, rispetto alle regole ordinarie. La finalità non lucrativa ed il divieto di distribuzione degli utili lasciano tali enti al di fuori del panorama concorrenziale, e prescindere dalla loro declinazione commerciale. Tuttavia, allo stato dell’arte e nelle more dell’autorizzazione europea, i benefici concessi alle imprese sociali rimangono soggetti alla valutazione di conformità con la normativa sugli aiuti di Stato dell’Unione Europea. Pertanto, sulla base di un ragionamento de jure condendo è possibile ritenere che le agevolazioni concesse alle imprese sociali possono essere considerate in linea con le regole sugli aiuti di Stato, ma solo in determinate circostanze vale a dire qualora i. destinati a sostenere attività che perseguono finalità sociali, educative o ambientali senza scopo di lucro, ovvero qualora ii. concessi in regime de minimis, o in alternativa iii. nel rispetto del Regolamento Generale di Esenzione per Categoria, che permette agli Stati membri di fornire aiuti a determinate categorie di imprese (comprese quelle sociali) senza previa autorizzazione, purché rispettino condizioni specifiche. Ulteriormente anche qualora vengano concessi benefici, le imprese sociali devono dimostrare di non essere orientate al profitto e di reinvestire gli utili nelle finalità sociali, piuttosto che nella remunerazione degli investitori. Questo carattere non lucrativo aiuta a giustificare i benefici concessi, poiché riduce l’impatto negativo sulla concorrenza. Resta ferma la necessità di iscrizione nei registri dedicati ed il rispetto degli obblighi di trasparenza e rendicontazione previsti dal Codice del Terzo Settore. Questo consente un monitoraggio adeguato e un controllo sull’uso dei fondi pubblici. Tirando le somme, la trasformazione normativa deve stimolare una riflessione più profonda sul modello di business che le imprese sociali sono chiamate a rappresentare tenuto conto della necessità di bilanciare le loro missioni sociali con le esigenze economiche, trovando un equilibrio tra impatto sociale e sostenibilità finanziaria. Ciò implica la necessità di sviluppare competenze gestionali avanzate e strategie imprenditoriali che possano garantire la loro longevità nel tempo delle imprese sociali, chiamate ad innovarsi non solo nei loro servizi e prodotti, ma anche nelle loro modalità operative e di finanziamento. In questo contesto, è fondamentale che le normative fiscali e civilistiche continuino a evolversi per rispondere a tali esigenze attraverso un dialogo costante tra legislatori e rappresentanti del Terzo Settore. Inoltre, l’introduzione di misure specifiche per facilitare l’accesso ai fondi pubblici e privati e la semplificazione delle procedure burocratiche, favorirebbero ulteriormente l'espansione delle imprese sociali, così come l’interazione tra il mondo delle imprese sociali e le istituzioni finanziarie al fine di migliorare l’accesso al capitale. La creazione di strumenti finanziari specifici, come i social impact bond o fondi di investimento a impatto sociale, potrebbero invero amplificare ulteriormente le potenzialità di crescita, promuovendo un modello di finanziamento premiale non solo in termini di ritorno economico, ma anche di impatto sociale positivo che la presenza di tali organizzazioni comporta in un’ottica di piena ed effettiva realizzazione del corredo valoriale fornito dagli artt. 2, 3, 53 e 118 della Costituzione. Affinché un tale quadro trovi completa realizzazione altrettanto auspicabile è un quadro normativo armonizzato al livello europeo, da attuarsi anche nella forma di uno statuto europeo per le imprese sociali, il quale rappresenterebbe un segnale forte da parte dell'Unione Europea riguardo all'importanza del settore sociale e della sua integrazione nell'economia globale. Attraverso un approccio coordinato, si potrebbe, infatti, stimolare non solo lo sviluppo di nuove imprese sociali, ma anche favorire la collaborazione tra gli Stati membri per condividere buone pratiche e esperienze, promuovendo una cultura imprenditoriale che valorizzi la sostenibilità e l'inclusione sociale. In questo contesto, la raccomandazione del Consiglio Europeo del 2023 si rivela un passo cruciale verso la creazione di un quadro giuridico comune che possa standardizzare i benefici fiscali e normativi a favore di queste realtà. Per ora hic terminus haeret.

Produzione scientifica

11573/1696224 - 2023 - Il contraddittorio endoprocedimentale. un'analisi alla luce delle pronunce della corte di giustizia europea
Piva, Lucrezia - 01a Articolo in rivista
rivista: RIVISTA DI DOTTRINA FISCALE (Napoli: Editoriale Scientifica) pp. 207-230 - issn: 2974-6280 - wos: (0) - scopus: (0)

11573/1655963 - 2022 - Il caso Fiat. Principio di libera concorrenza ed efficacia della disciplina degli aiuti di Stato nel contrasto all’harmful tax competition (Nota a Tribunale dell’Unione Europea, sent. 24 settembre 2019, Sez. VII ampliata, cause riunite T-755/15 e T-759/15)
Piva, Lucrezia - 01a Articolo in rivista
rivista: RIVISTA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE (Edita da:Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato) pp. 127-148 - issn: 1824-1476 - wos: (0) - scopus: (0)

11573/1671680 - 2022 - Il caso Fiat. Principio di libera concorrenza ed efficacia della disciplina degli aiuti di Stato nel contrasto all’harmful tax competition
Piva, Lucrezia - 01a Articolo in rivista
rivista: RIVISTA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE (Edita da:Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato) pp. 127-150 - issn: 1824-1476 - wos: (0) - scopus: (0)

11573/1671734 - 2022 - Evasione fiscale. Un confronto tra gli Stati Uniti ed alcuni paesi europei
Piva, Lucrezia - 02a Capitolo o Articolo
libro: L’evasione fiscale. Ricerca su natura giuridica e dimensione quantitativa - (978-88-9377-254-9)

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