LAVINIA MASINI

Dottoressa di ricerca

ciclo: XXXII



Titolo della tesi: IL DANNO AMBIENTALE: STRUMENTI DI TUTELA TRA PROCEDIMENTO E PROCESSO

La tesi si propone di analizzare gli strumenti di tutela ripristinatori e risarcitori del danno ambientale, soffermandosi, in particolare, sulle limitazioni esistenti nel nostro sistema in punto di accesso alla giustizia e legittimazione ad agire di Enti Locali, associazioni ambientaliste e cittadini. Si è tentato di individuare – mediante analisi della disciplina legislativa, ricerca dei diversi strumenti, procedimentali e processuali, e studio della casistica e della giurisprudenza – cause e ragioni ostative ad una piena ed effettiva ‘riparazione’ del danno ambientale. Tra questi impedimenti, specifica attenzione è stata dedicata all’attuale accentramento statale della legittimazione ad esercitare la tutela dell’ambiente, con inevitabile pregiudizio del principio di sussidiarietà. Il tema della tutela dell’ambiente ha assunto negli ultimi decenni un ruolo sempre più rilevante nella politica globale, ponendosi al centro delle agende nazionali e mondiali. Tale evoluzione è dovuta allo sviluppo di due temi convergenti: le problematiche derivanti dai cambiamenti climatici causate da una massiccia produzione industriale e la presa di coscienza dell’indispensabilità di un ambiente salubre per la sopravvivenza della specie umana. La crescente sensibilità pubblica alla questione ha incrementato la produzione normativa incentrata sulla protezione ambientale. In particolare, le preoccupazioni derivanti dal depauperamento delle risorse naturali hanno indotto il Legislatore nazionale, con la spinta propulsiva del diritto internazionale e comunitario, a concentrarsi sulle questioni riguardanti i danni ambientali. In estrema sintesi due sono le direzioni verso cui muove la politica legislativa di fronte alla tematica del danno ambientale: la prevenzione del bene e la riparazione dello stesso. La ricerca è diretta ad analizzare il secondo ambito legislativo, quello volto alla costruzione di strumenti efficienti di riparazione dell’ambiente. Prima di circoscrivere l’ambito di indagine al tema centrale dell’individuazione e dell’analisi dei procedimenti di riparazione del danno ambientale e alle problematiche inerenti, ho ritenuto opportuno muovere dall’analisi della nozione di ambiente e della qualificazione giuridica dello stesso. Il presente lavoro prende avvio proprio dal tentativo di definire e circoscrivere l’ “ambiente” e individuare il danno ad esso arrecato. Come illustrerò manca nell’ordinamento, anche sovranazionale, una nozione univoca di ‘ambiente’, questo perché come intuito da M. S. Giannini, “l’ambiente, per quanto di continuo evocato, non è definito, né definibile” . Gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza sono ripercorsi sin dalle prime pagine del lavoro. Emerge dall’analisi degli scritti e delle pronunce giurisprudenziali un quadro frammentario, dove è la stessa natura multiforme del bene che ne ostacola la classificazione in una definizione puntuale. È per tale motivo che il problema definitorio è rimasto irrisolto inducendo gli interpreti a spostare l’attenzione sulla questione della tutela. Tuttavia, anche nella ricerca degli strumenti più efficaci per la salvaguardia del bene, l’analisi si scontra con la natura onnicomprensiva e multiforme dell’ambiente, che rende difficoltosa l’individuazione della situazione giuridica soggettiva a cui apprestare tutela e di conseguenza anche dei soggetti legittimati a esercitarla. Inoltre, ulteriore difficoltà si incontra nel delimitare i confini del danno ambientale, posto che a non trovare una precisa delimitazione è l’ambiente stesso. L’evoluzione normativa, lungi dal chiarire e semplificare le problematiche, ha rappresentato lo specchio di tali difficoltà, venendo meno al compito di definire il bene ambiente e apprestando una tutela che, come emerge da un’analisi casistica, non sembra essere soddisfacente. Le complessità riscontrate nell’analisi dei sistemi ripristinatori e risarcitori del danno ambientale sono legate a filo doppio con i temi della nozione del bene e del valore giuridico da riconoscere ad esso. Tali questioni, difatti, riemergeranno durante l’intera trattazione. Come anzidetto l’evoluzione legislativa in materia ambientale ha conosciuto uno sviluppo esponenziale negli ultimi anni e ciò principalmente grazie all’opera degli organi sovranazionali. Il quadro legislativo attuale in Italia è il frutto di politiche internazionali e comunitarie volte a sollecitare gli interventi a tutela dell’ambiente nei singoli Stati perseguendo l’omogeneità e l’effettività degli strumenti. È per tale motivo che per dare risposta ai quesiti posti, non può prescindersi dall’analisi del diritto sovranazionale. Lo studio dedica particolare attenzione alla ricerca degli strumenti di tutela all’interno del diritto comunitario, in particolare analizzando la Direttiva 2004/35/CE da cui discende anche la normativa interna. Vengono individuate poi le disposizioni a livello internazionale che impongono la tutela dell’ambiente e gli obblighi di riparazione dello stesso, volgendo particolare attenzione agli strumenti riconosciuti in capo ai privati, individualmente o in associazione. A tal proposito la ricerca è incentrata sull’analisi della Convenzione di Aarhus, la quale per la prima volta elabora strumenti di democrazia partecipativa, costruendo una nuova forma di governance ambientale. I “tre pilastri” enunciati dalla Convenzione ne sono espressione, riconoscendo l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Si sono, poi, analizzate le ripercussioni che l’adozione della Convenzione e il recepimento dei suoi pilastri ha avuto nel diritto e nelle Corti Europee e nazionali. Il lavoro si sofferma maggiormente sul terzo pilastro, analizzandone la portata e l’attuazione in Europea e nell’ordinamento italiano. Difatti, come si è accennato, la ricerca si pone come obiettivo l’individuazione delle inefficienze del sistema riparatorio del danno ambientale, ponendo al centro dell’analisi lo scarso accesso ai rimedi giurisdizionari e amministrativi riconosciuto in capo ai privati, alle associazioni ambientaliste e agli Enti locali. Per raggiungere tale scopo, analizzati gli strumenti elaborati dal diritto sovranazionale, si è passata in rassegna la disciplina interna. Dopo aver dedicato alcuni cenni allo stato di diritto presente prima dell’emanazione del D.lgs 349 del 1986, l’attenzione si sofferma sull’analisi della prima disciplina organica resa in materia ambientale. Sono due gli aspetti fondamentali della legge del 1986: l’entificazione del concetto di ambiente con l’istituzione del Ministero dell’Ambiente - soggetto unico amministrativo a cui imputare le politiche ambientali – lo sviluppo di una disciplina organica della materia ambientale. In particolare, l’art. 18 offre la disciplina in materia di danno ambientale, prevedendo strumenti risarcitori e individuando i soggetti legittimati. Tre sono i campi di indagine: il ruolo riconosciuto al Ministro dell’ambiente e agli Enti locali; la posizioni delle associazioni ambientaliste; la tutela offerta alle posizioni giuridiche individuali in seguito al danno ambientale. Lungi dall’offrire soluzioni, la normativa si presta a molteplici interpretazioni. In proposito vengono esaminati gli interventi interpretativi della giurisprudenza e della dottrina, accomunati dall’intento di ampliare il novero dei soggetti legittimati ad agire per la tutela dell’ambiente e dalla difficoltà di individuare, tra i diversi portatori, un soggetto titolare di una posizione differenziata e qualificata. Sfondo del dibattito permane l’individuazione del bene giuridico sottostante, riemergendo la questione della collocazione dell’ambiente tra gli interessi diffusi inidonei ad essere riferiti ad un titolare. Dopo aver analizzato il vecchio impianto normativo, la disamina si concentra sul nuovo assetto, inaugurato con l’emanazione del D.lgs 152 del 2006 che reca il Testo Unico dell’Ambiente e recepisce la Direttiva 2004/35/CE . La disciplina, infatti, riproduce il sistema riparatorio scelto dal legislatore europeo. L’analisi muove dalla ratio dell’intervento legislativo: evitare la proliferazione di azioni giudiziarie e rispondere all’esigenza di concentrazione delle iniziative in un unico centro decisionale. In particolare, si legge nella Redazione di accompagnamento che “solo le iniziative dei cittadini sono state conservate, mentre tutte le figure pubbliche e associative diverse dallo Stato vengono rese destinatarie soltanto di un compito di immediata segnalazione dell’esistenza del danno ambientale al Ministero e, di contro, sono state di specifica pretesa verso il Ministero stesso avente ad oggetto l’intervento immediato in sede di prevenzione o di risarcimento del danno, non senza trascurare l’ipotesi di una reazione giurisdizionale contro l’illegittimo silenzio-inerzia degli Uffici del Ministero”. Lo studio si sofferma sul confronto tra le due discipline e sul ruolo residuale riconosciuto agli Enti locali e alle associazioni, private della legittimazione ad agire per la tutela dell’ambiente. Il D.lgs. si pone in controtendenza rispetto alle soluzioni adottate dalla giurisprudenza sino al 2006. Difatti, mentre in seno alle Corti si assisteva ad un ampliamento dei soggetti legittimati ad agire per il risarcimento del danno con l’obiettivo di rendere più effettiva la tutela dell’ambiente, il Legislatore nazionale, di diverso avviso, escludeva le Regioni e gli Enti locali dal novero dei soggetti legittimati ad agire per il risarcimento dei danni, mediante un’opera di accentramento dei poteri in capo al Ministro dell’ambiente. Ulteriore novità di rilevante interesse oggetto di una attenta analisi riguarda l’introduzione di nuovi strumenti amministrativi di tutela procedimentale in capo al Ministro dell’ambiente: gli ordini e le ordinanze di ripristino. In proposito, viene sottolineato come i due strumenti, costruiti per dare una risposta celere ed efficacie a ipotesi di danni ambientali, pongono non pochi problemi applicativi e rimangono ad oggi per lo più inattuati. La nuova disciplina, che già aveva destato perplessità nel suo impianto originario non sembra soddisfare l’effettività della tutela del bene ambiente neanche in seguito ai correttivi introdotti dal d.l. 25 settembre 2009, n. 135 convertito con modificazioni con l. 166 del 2009 e dall’art. 25 della Legge Europea 97 del 2013 per neutralizzare le contestazione della Commissione Europea del 2008 e del 2012. Dopo aver esaminato la disciplina verranno analizzate le frizioni del nuovo assetto normativo con il diritto sovranazionale e con il diritto interno. Quanto al diritto sovranazionale la normativa pare stridere con l’art. 9 secondo comma della Convenzione di Aarhus che, nonostante demandi al legislatore nazionale la determinazione delle condizioni cui subordinare l’ammissibilità dell’azione in giudizio, stabilisce che le norme nazionali “devono sempre avere come scopo quello di garantire un ampio accesso alla giustizia da parte del pubblico interessato in linea con gli obiettivi della Convenzione”. Inoltre, tali restrizioni si pongono in contrasto con l’ordinamento costituzionale, in particolare con il nuovo assetto di autonomia locale e decentramento amministrativo attuato con la riforma del titolo V. La nuova disciplina sembra, infatti, stridere con il principio di sussidiarietà. A tal proposito la ricerca si sofferma sull’analisi delle pronunce della Corte costituzionale intervenuta sul tema. Dopo aver sottolineato le criticità della normativa, l’attenzione sarà volta all’analisi dei casi giurisprudenziali e dei procedimenti amministrativi attuativi degli strumenti in esame. Ne emerge un quadro sconfortante, che trova conferma nei dati riportati nel primo Report sull’ambiente pubblicato nel novembre 2019 dall’ISPRA. Si cercherà dunque di indagare le cause delle inefficienze riscontrate. Infine, l’ultimo capitolo della tesi è dedicato all’analisi comparatistica, confrontando l’ordinamento italiano con l’assetto normativo francese. L’obiettivo è di verificare come sia stata recepita la Direttiva Europea, e quali strumenti siano stati scelti per attuare la tutela riparatoria del danno ambientale, quali siano i punti di incontro con la normativa interna e quali le differenze, e in merito a quest’ultime se la tutela possa considerarsi maggiormente effettiva al di fuori dei confini nazionali. All’esito della ricerca che interessa la disciplina multilivello del danno ambientale, gli strumenti offerti e la costruzione di sistemi di intervento all’interno e fuori dei confini nazionali, verranno proposte alcune soluzioni per rendere il sistema più efficiente.

Produzione scientifica

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