Titolo della tesi: L'Autorità internazionale dei fondali marini e la tutela delle aree marine oltre la giurisdizione nazionale
La governance degli oceani e dei relativi fondali si colloca tra gli sviluppi più contemporanei e significativi del diritto internazionale del mare. Il presente elaborato offre uno studio su uno degli attori internazionali chiamati alla cooperazione ed al coordinamento per la tutela degli ecosistemi oltre la giurisdizione nazionale. La ricerca si concentra, infatti, su una delle tre istituzioni create dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), ovverosia l’Autorità internazionale dei fondali marini (l’Autorità). La scelta del soggetto è dettata dall’evidenza che l’Autorità – unica organizzazione con un mandato esplicitamente esteso alla tutela dell’Area – è stata a lungo considerata alla periferia del diritto internazionale e, pertanto, oggetto di sporadica e spesso incompleta analisi in riferimento al suo contributo alla tutela ambientale delle aree oltre la giurisdizione nazionale. Dal 2021, tuttavia, essa è entrata in una nuova fase della sua esistenza, che la colloca sul proscenio della governance degli oceani. Invero, con una lettera datata 25 giugno 2021 indirizzata al Consiglio – l’organo esecutivo dell’Autorità – il Presidente della Repubblica di Nauru ha dichiarato che la compagnia Nauru Ocean Resources Inc. sponsorizzata dal paese intende procedere all’estrazione dei noduli di manganese dell’Area. Ai sensi dell’Accordo di attuazione della Parte XI dell’UNCLOS, il Consiglio dovrà concludere entro due anni l’adozione di norme, regolamenti e procedure per facilitare l’approvazione di un piano di lavoro per lo sfruttamento minerario. Essa dovrà, in particolare, mettere a punto un robusto ed olistico regolamento, che consenta di contemperare la crescente richiesta di minerali con il più elevato livello di tutela dell’ambiente possibile, prima che le operazioni estrattive abbiano inizio su scala commerciale.
Nonostante l’ampiezza del mandato ambientale goduto dall’Autorità ai sensi dell’articolo 145 dell’UNCLOS, lo studio mostrerà che in oltre 25 anni di attività essa ha elaborato norme e regolamenti solo in relazione alle attività minerarie e non, più in generale, a tutela dell’Area dagli impatti delle attività antropogeniche lato sensu.
Si evidenzia, dunque, nei fondali come nella colonna d’acqua oltre la giurisdizione nazionale, un fenomeno di frammentazione della governance ambientale, evidentemente contraria a quell’approccio integrato, sempre più ritenuto fondamentale per la tutela dell’alto mare e dell’Area.
Diverse sono le conseguenze di tale status quo. Si tratta, in particolare, della mancanza di principi generali condivisi per la tutela delle aree oltre la giurisdizione nazionale, ma anche dell’assenza di un quadro globale per l’istituzione di aree marine protette e per le valutazioni di impatto ambientale. Vi si aggiungono, poi, le incertezze connesse allo status giuridico delle risorse marine genetiche e l’incostante integrazione di considerazioni connesse alla tutela dell’ambiente marino e alla conservazione della biodiversità nel processo decisionale delle organizzazioni internazionali, settoriali e regionali, esistenti.
Rispetto ad un siffatto quadro, che il negoziando terzo accordo di attuazione dell’UNCLOS si prefigge di modificare, questa ricerca ha indagato il ruolo dell’Autorità rispetto ad elementi selezionati del package deal, su cui si fonda tale nuovo trattato.
Il presente elaborato ha, dunque, concluso che l’Autorità costituisce un attore indispensabile e dotato di competenze già in parte estese a ciascuno degli ambiti presi in considerazione dal terzo accordo di attuazione, ed ha evidenziato il suo possibile ruolo nel rafforzamento della governance delle aree oltre la giurisdizione nazionale.
Benché l’accordo sulla conservazione ed uso sostenibile della biodiversità troverà applicazione tanto all’Area quanto all’alto mare, per i due spazi marini l’UNCLOS prevede norme e principi diversi che non appare semplice conciliare. Ciò, in particolare, costituisce un ostacolo a rendere l’Autorità la struttura istituzionale a supporto dell’implementazione del nuovo trattato, come auspicato da una certa dottrina e da un considerevole numero di Stati.
La riluttanza verso una tale opzione risiede in un timore già espresso durante la Terza conferenza di codificazione del diritto del mare. Si tratta, cioè, del verificarsi di quel fenomeno, ribattezzato in dottrina come creeping common heritage, consistente nell’erosione della libertà dei mari a favore del principio del patrimonio comune dell’umanità, con il conseguente «spill over effect on other areas of the law of the sea».
A 40 anni dall’apertura alla firma dell’UNCLOS, non si è, però, sviluppata alcuna prassi in tal senso: non vi sono, pertanto, elementi che inducano a ritenere che servirsi, per l’attuazione del nuovo accordo, di una moderna organizzazione a carattere quasi universale, certamente non più alla periferia del diritto internazionale e che pone al centro della sua attività un forte accento sulla tutela dell’ambiente marino, possa avere alcun effetto di destabilizzazione rispetto ai delicati equilibri di sovranità e giurisdizione sanciti dall’UNCLOS.
Quel che è certo è che dall’analisi del mandato dell’Autorità e degli sviluppi più recenti (e prossimi) in tema di tutela delle aree oltre la giurisdizione nazionale è emersa l’inadeguatezza di un approccio rigidamente zonale alla protezione dell’ambiente marino. Ciò non implica, come pure da alcuni sostenuto, un ripensamento dell’intera UNCLOS, che resta un monumentale traguardo del moderno diritto internazionale e che ha efficacemente retto all’urto del tempo, ma l’identificazione di schemi cooperativi
sostanziali – e non più solo formali – tra i vari attori coinvolti nella governance degli oceani.
Dal suo canto, l’Autorità si sta approcciando a tale sfida portando a completamento un robusto sistema di tutela dell’ambiente marino prima che le attività di sfruttamento minerario da essa regolate avranno luogo. In questo senso, i risultati che l’Autorità riuscirà a raggiungere nel prossimo biennio saranno di indubbio rilievo e contribuiranno a rafforzare la governance ambientale delle aree oltre la giurisdizione nazionale.
Tuttavia, fino a che non si costituirà, per il tramite del nuovo accordo, un rapporto cooperativo istituzionalizzato tra le organizzazioni internazionali attive su base settoriale, regionale e globale, il gap nella tutela dell’Area e dell’alto mare permarrà ed i preoccupanti trend sullo stato di salute dell’ambiente marino oltre la giurisdizione nazionale non saranno destinati a migliorare.