FEDERICO D'AMELIO

PhD Graduate

PhD program:: XXXVI


supervisor: Prof. Rossella Miceli

Thesis title: IL REDDITO DI CITTADINANZA NEL QUADRO DELLE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

Le dinamiche indotte dalle recenti trasformazioni economiche, sociali e demografiche in atto nella società hanno aperto nuovi spazi per le prestazioni di assistenza ed hanno riportato il tema della lotta alla povertà al centro del dibattito scientifico collocandolo tra le priorità della politica. Secondo le ultime statistiche ISTAT (2024), nel 2023 sono in condizione di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie (8,4% sul totale delle famiglie residenti) e quasi 5,7 milioni di individui (9,7% sul totale degli individui residenti), in specie nel Mezzogiorno. Il dato più allarmante, tuttavia, è che il lavoro non rappresenta più il mezzo normale con il quale il cittadino si procura le possibilità di sussistenza, atteso che il reddito da lavoro ha visto nel tempo affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. Infatti, tra il 2014 e il 2023 l'incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento del 2,7%, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023: si tratta di una circostanza che riflette tutta la fragilità che contraddistingue il mercato del lavoro di oggi nella relazione tra occupazione e reddito. In quest’ottica, il sistema di tasse e benefici si pone due principali obiettivi. Il primo di redistribuire il reddito in modo da conseguire una maggiore equità; il secondo di proteggere le persone dal rischio di povertà e di esclusione sociale. Per assecondare questi processi le politiche legislative si sono indirizzate verso la legittimazione di modalità di lavoro sempre più flessibili non sempre adeguando di pari passo il sistema di protezione sociale, sul versante tanto della garanzia reddituale, quanto del supporto alle transizioni occupazionali dei lavoratori attraverso la predisposizione di una rete dei servizi per l’impiego funzionale a favorire una rapida (ri)collocazione. L'assistenza economica alle persone con risorse insufficienti è stabilmente al centro del dibattito politico in quanto costituisce una delle prime forme di intervento pubblico in campo sociale. Confrontato a quelli dei Paesi europei più avanzati, il settore assistenziale italiano appare però come pletorico e lacunoso al tempo stesso. Pletorico per la grande varietà di istituti che esso prevede, ciascuno rivolto a rispondere a una diversa fattispecie di bisogno. Lacunoso perché al suo interno non trovano adeguata risposta alcuni bisogni, ed in particolare la mancanza di reddito in quanto tale, indipendentemente cioè da altre condizioni socio-demografiche. La combinazione di tali aspetti ha determinato un’obsolescenza precoce degli strumenti di sostegno al reddito di volta in volta introdotti. Fino al 2017 l’Italia, insieme alla Grecia, era l’unico Paese dell’Unione europea privo di una forma di sostegno universale al reddito. Nel 2018 è stato introdotto il reddito di inclusione che ha fatto posto, nell’aprile 2019, al reddito di cittadinanza che ne ha aumentato significativamente sia la platea di beneficiari sia gli importi medi erogati. Il reddito di cittadinanza rappresenta uno dei cambiamenti più significativi nelle politiche sociali ed economiche degli ultimi anni in Italia. Esso ha avuto come obiettivo il contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, in vigore fino al 31 dicembre 2023 per essere sostituito dall'Assegno di inclusione a decorrere dal 1° gennaio 2024 (a cui si accompagna il Supporto per la Formazione e il Lavoro, operativo dal 2023). Più precisamente, il reddito di cittadinanza riguardava un sostegno economico di natura temporanea, subordinato alla prova di mezzi e con la condizione aggiuntiva di dover firmare un «patto per il lavoro», per contrastare la scarsità di reddito delle fasce più deboli. Non può non rilevarsi come il reddito di cittadinanza si sia collocato in un peculiare “quadro d’epoca” all’interno del quale si è dovuto misurare con due fenomeni, altrettanto inediti, inficiandone il successo. Il primo è, come anticipato, la pandemia di Covid-19 che ha avviato una fase regressiva dell’economia portando con sé aumento della disoccupazione e della povertà. Il secondo, che in parte è un effetto diretto del primo, è la radicale trasformazione che ha investito la concezione di “lavoro” rinnovandone, pertanto, il suo mercato tradizionale (si pensi al lavoro “agile”, “digitale” o comunque “tecnologico”). Sullo sfondo, poi, sussiste un ulteriore fattore che altro non è che il risultato degli anzidetti fenomeni, vale a dire la condizione di paura del futuro e di insicurezza (abitativa, lavorativa, di salute ecc.) che ha amplificato comportamenti scorretti delle persone per l’ottenimento del beneficio economico. Da tali ampie premesse scaturisce il lavoro di ricerca che si è posto l’obiettivo di indagare come la realizzazione di una società inclusiva in cui libertà ed eguaglianza siano coniugate ed effettive sia intimamente correlata alle adeguate politiche redistributive sorrette dalla leva fiscale. In particolare, il fil rouge dell’attività è costruito dalla rilevanza dello strumento tributario per la ricomposizione della frattura in atto nella relazione tra occupazione e reddito. La disciplina fiscale è capace di rivolgersi a situazioni che esulano dal fine esclusivo di salvaguardare necessariamente gli interessi erariali (che di regola le appartiene), come ad esempio nel campo sociale: essa si ispira infatti ai criteri costituzionali e, segnatamente, il principio di uguaglianza (art. 3) e quello (del dovere) di contribuzione (art. 53) che costituiscono l’intelaiatura del vigente sistema tributario. La funzione promozionale del fisco costituisce l’esempio di come la dimensione interventistica delle politiche pubbliche sia una ottima e lungimirante evoluzione dei modelli tributari susseguitisi negli anni, pur inserita nella trama assiologica – costituzionalmente garantita - che si snoda tra capacità contributiva e redistribuzione della ricchezza. Il modello della cd. “fiscalità lineare”, cioè della fiscalità che tassa la ricchezza per poter finanziare la spesa sociale, deve così essere ripensato all’interno di un contesto che sappia promuovere l’innovazione e l’economia circolare e che lo sappia fare proprio utilizzando il fisco come leva di sviluppo sostenibile. Sulla base di quanto sopra, il lavoro è stato organizzato secondo lo schema di approccio che segue. Nel primo capitolo, viene anzitutto illustrate le origini storiche dell’idea di un reddito universale, che affonda le sue radici al XIII secolo con le prime teorizzazioni del teologo e filosofo Tommaso d’Aquino quale forma per sollevare dalla povertà chi versa in uno stato di indigenza. Ma l’idea di un reddito di cittadinanza per tutti viene fatta risalire al filosofo illuminista britannico Thomas Paine (1737-1809), il quale propose che a tutte le persone che avessero compiuto 21 anni fosse assegnata una somma di 15 sterline. Per inquadrare la sua visione, celebre è la seguente frase: «Non la carità, ma un diritto, non la generosità, ma la giustizia è ciò che rivendico» (The Agrarian Justice, 1797). Si può dire che il pensiero di Paine ha posto le basi per il primo vero e proprio esempio di reddito minimo garantito, che ha ispirato illustri menti tra il XIX e XXX secolo del calibro, ad esempio, di John Stuart Mill, Bertrand Russell, Dennis e Mabel Milner, Oskar Lange e del premio Nobel vincitore per l’economia nel 1977 James Meade. Sotto un certo punto di vista un reddito così strutturato si atteggia come forma di “dividendo sociale” in grado di integrare normali salari e stipendi guadagnati attraverso l’occupazione. Una concezione che è stata ripresa anche in Italia, nel 2000, Ministro del Tesoro Vincenzo Visco che avanzò una proposta di questo tipo, poi naufragata, per garantire un reddito minimo anche a chi non ne era in possesso (finalità di contrasto alla povertà) e nel tentativo di rinnovare il Welfare (con riallocazioni di spesa all’interno del comparto sociale) soprattutto in termini di equità ed efficienza distributivi. Dopo la trattazione di alcune teorie di carattere etico (il welfarismo; l’egualitarismo; e il libertarismo), è proseguita un’operazione per chiarire ogni ambiguità terminologica della misura concepita in Italia definendo i confini che la separano con il reddito di base, che è invece una prestazione monetaria erogata a tutti indistintamente senza condizioni specifiche (definizione offerta dall’associazione BIEN). Nel contesto italiano il “reddito di cittadinanza” non si configura come un reddito di base incondizionato, in quanto vincolato alla prova dei mezzi e all’attivazione dei beneficiari. Infatti, le caratteristiche del “reddito di cittadinanza” cd. italiano consentono più correttamente di assimilarlo alla formula di “reddito minimo garantito”, quindi come un sussidio sociale la cui erogazione è quindi subordinata a diverse condizioni soggettive, in particolare la situazione di indigenza, e generalmente a forme di condizionalità consistenti nella ricerca attiva di un lavoro, nella disponibilità ad accettarlo oppure a svolgere attività utili alla comunità. Tale operazione qualificatoria e di sistemazione concettuale appare indispensabile per focalizzare l’analisi sui lineamenti del reddito di cittadinanza e, segnatamente, del suo funzionamento nel sistema di Welfare. L’apripista delle misure di contrasto della povertà è stato il reddito minimo di inserimento (art. 13, d.lgs. n. 237/1998), per giungere al Reddito di inclusione (art. 2, d.lgs. n. 147/2017) le cui caratteristiche hanno posto le fondamenta per la futura introduzione del reddito di cittadinanza introdotto con il d.l. n.4/2019. È seguita pertanto un’analisi approfondita del funzionamento di tale strumento, come integrato e modificato fino alla sua abolizione stabilita dalla legge di bilancio 2023 a decorrere dal 1° gennaio 2024. Il posto del reddito di cittadinanza è allo stato ricoperto da nuovi strumenti di inclusione sociale e lavorativa (l’Assegno di inclusione e il Supporto per la Formazione e il Lavoro) che riportano caratteristiche differenti rispetto al reddito di cittadinanza. Tali nuove misure sono state rivisitate con la legge di bilancio 2025 per ampliarne l’ambito di applicazione. Nel secondo capitolo, viene trattato il radicamento costituzionale del reddito di cittadinanza e, comunque, di tutte le misure che garantiscono un’esistenza libera e dignitosa (ius existentiae). La norma cardine della materia è l’art. 38 Cost.: da un punto di vista formale, viene prevista una selettività molto ferrata escludendo dal perimetro della norma coloro che trovano difficoltà a entrare nel mercato del lavoro (gli inoccupati) ovvero che ne sono usciti da lungo tempo ma che posseggono, potenzialmente, capacità lavorativa spendibile per tale mercato (gli abili al lavoro). Ad ogni modo, l’art. 38 Cost. deve essere latamente inteso al punto tale da connetterlo ai principi fondamentali di dignità, eguaglianza e solidarietà sanciti dagli art. 2 e 3 Cost. In particolare, la visione dei costituenti sulla protezione sociale era decisamente inclusiva riguardo a tutti i soggetti deboli e la scelta lessicale selettiva aveva senso sol perché l’orizzonte che allora i costituenti avevano di fronte era quello della piena occupazione (come diritto alla vita) e, dunque, aveva un senso, in questa prospettiva, riservare all’assistenza un ruolo meramente residuale. L’idea di fondo è che il compito dello Stato non è la rimozione “indiscriminata” delle diseguaglianze che costituiscono un ostacolo alla effettiva partecipazione di tutti nella società, sotto il profilo sia materiale sia morale, culturale, sociale, politico. In sostanza, il reddito di cittadinanza (così come le altre misure aventi la stessa finalità) sarebbe un istituto praeter constitutionem (risolvendosi in un livello ulteriore di tutela), probabilmente incompatibile con il principio lavoristico sancito dalla Costituzione ma comunque non contra constitutionem. È stato osservato che la Costituzione garantisce «a tutti i cittadini (con esclusione degli oziosi volontari) il diritto alla protezione sociale in caso di bisogno» (Mortati, 1954). Il parametro costituzionale di riferimento è la capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. quale principio di giustizia distributiva tributaria. Esso esprime la regola fondamentale che presiede alla creazione e alla ripartizione dei tributi tra i consociati, vincolando il legislatore a rapportarli all’attitudine di ciascuno a sostenerne il peso e vincolando ognuno a con correre alle spese pubbliche in ragione dell’attitudine medesima. Il parametro rappresenta altresì la linea guida dei tributi extrafiscali ogniqualvolta i principi distributivi ad essi sottesi perseguono determinati fini sociali ammessi e riconosciuti a livello costituzionale. In questa prospettiva, allora, l’extrafiscalità soddisfa le situazioni socialmente rilevanti soprattutto grazie al cd dovere di solidarietà secondo il quale la ricchezza del singolo è posta al servizio dell’interesse collettivo anziché solo individuale. Coerentemente a questa impostazione, il reddito di cittadinanza beneficia di un trattamento fiscale di esenzione fiscale da IRPEF per salvaguardare il cd. “minimo vitale”, ossia quella soglia minima di reddito necessaria per garantire a un individuo il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Dunque, il relativo regime tributario è da ricondurre nel contesto delle agevolazioni collocandosi in un contesto normativo con funzione prevalentemente sottrattiva: si toglie dalla fiscalità ordinaria qualcosa che, in mancanza di quella disposizione, entrerebbe nel circuito impositivo previsto per tutti i contribuenti così da sostenere l’esistenza di alcune categorie di cittadini. In particolare, con il termine “esenzione fiscale” si mira a creare posizioni di vantaggio, in funzione del perseguimento di date specifiche finalità che di regola insistono al di fuori della sfera fiscale. Si tratta di una tecnica legislativa con cui il legislatore fiscale utilizza spesso disposizioni di favor come leva per incentivare (ovvero agevolare) contemporaneamente situazioni extrafiscali. Una particolare attenzione, da ultimo, è stata rivolta alla nozione di reddito fiscalmente rilevante atteso che, sin dal Testo Unico del 1877, l’ordinamento tributario è caratterizzato dall’assenza di una generale statuizione del concetto di reddito in ambito fiscale. Nel terzo capitolo, il ragionamento passa da un piano generale e sistematico ad uno più pratico e concreto, secondo una concezione innovativa della fiscalità per i fini in argomento. In prima battuta viene delineata la traiettoria extrafiscale che connota la materia tributaria, che è stata riconosciuta già nei lavori preparatori della Costituzione italiana del 1948. Il sistema tributario italiano svolge, allo stesso tempo, una funzione fiscale ed una extrafiscale, posto che serve alla realizzazione di finalità economiche e sociali di vario ordine, siano esse ridistributive, congiunturali, di sviluppo. Detto altrimenti, la fiscalità e l’extrafiscalità non sono fenomeni contrapposti ma costituiscono in verità le due facce della stessa medaglia. Una giustizia distributiva tributaria deve intendersi nell’intento di tutelare, in una certa misura, l’interesse dei contribuenti ad una imposizione uniforme e questa tutela risulterebbe totalmente inesistente se le norme comunque ispirate ai fini extrafiscali rimanessero estranee a quel principio. Assai rilevanti sono stati i contributi offerti dalla Scuola di Pavia, dove germinava l’idea che lo Stato dovesse avvalersi dello strumento finanziario per raggiungere i suoi fini generali e modificare i rapporti di ricchezza tra le varie classi sociali in ottica redistributiva. Fondamentali per lo sviluppo della funzione extrafiscale in ambito tributario sono gli studi della prima metà del Novecento di B. GRIZIOTTI (Professore universitario tra i maggiori maestri ed esperti in scienza delle finanze e diritto finanziario) e di M. PUGLIESE, uno dei suoi più validi allievi. Secondo il pensiero di quest’ultimo, in particolare, lo Stato contemporaneo “deve svolgere un ruolo attivo per il raggiungimento del fine di benessere e prosperità nazionale”. In seconda battuta, venendo allo sforzo concettuale compiuto, sono state studiate alcune idee di finanziamento che possono sorreggere (nel futuro prossimo) un nuovo reddito di cittadinanza attraverso gli strumenti fiscali a disposizione. Le proposte possono rappresentare un possibile ausilio per le politiche interne, quantomeno per ipotizzare una forma di sostegno strutturale di tipo economico per chi vive al di sotto della soglia di povertà ovvero per coloro che vertono in una situazione di “lavoro povero”. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che sfida le politiche economiche tradizionali. Recenti studi scientifici dell’University of British Columbia (2024) propongono l’introduzione di un reddito di base universale finanziato da una tassa sulle emissioni di carbonio (carbon tax). L’obiettivo è triplice e contestuale: ridurre drasticamente le emissioni di CO2 (politica ambientale), aumentare il PIL globale (politica economica) e incrementare il benessere dei cittadini (politica sociale). Nonostante i costi esorbitanti che possono derivare dalla sua implementazione, è stato sostenuto che tuttavia i benefici siano maggiori e capaci di stimolare le attività economiche in genere. Gli esperti suggeriscono che un reddito di base potrebbe ridurre la disuguaglianza e contrastare le tendenze distributive negative legate al cambiamento climatico e alla transizione green. Inoltre, è stato studiato un modello econometrico (WILIAM) per descrivere la fattibilità di un tale progetto. In alternativa, è stata immaginata una robot tax per finanziare un reddito di base e così contrastare un fenomeno in atto e che sarà violento tra qualche anno. Con l'espansione dell'automazione vi è il rischio della sostituzione di molti impieghi tradizionali con macchinari e attraverso l’intelligenza artificiale, portando potenzialmente a più elevati livelli di disoccupazione in settori specifici. La Banca Mondiale stima che circa il 57% degli attuali lavori nell'intera OCSE potrebbe essere automatizzato nei prossimi decenni. La formula si pone due obiettivi principali: fornire ai lavoratori che perderanno un impiego un supporto finanziario per sopportare le spese di sostentamento di base; stimolare le imprese a mantenere la centralità della figura umana nello svolgimento delle attività economiche. Tra i primi sostenitori di una tassa di questo genere si annovera Bill Gates, insieme ad altri studiosi (es. Robert Schiller) che hanno approfondito il tema della tassazione spiegando perché i robot che sostituiscono i lavoratori dovrebbero essere sottoposti a tassazione. Sul piano politico, Jeremy Corbyn (uomo politico britannico nonché leader del Partito Laburista dal 2015 al 2020) ha proposto di introdurre una robot tax per far fronte ai cambiamenti derivanti dall’automazione. Una delle principali sfide del futuro degli Stati è quindi trovare un appropriato equilibrio tra la progettazione di misure fiscali che vanno a colpire l'intelligenza artificiale/robot, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione. Nel quarto capitolo, sono stati illustrati i risultati nazionali conseguiti in particolare dal reddito di cittadinanza, con un focus specifico alle politiche attive per il lavoro. Il primo luogo, ampio spazio viene riservato al tema della povertà e al fenomeno allarmate degli “working poor”. Negli ultimi trent’anni il numero degli individui in povertà assoluta è quasi triplicato; mentre negli ultimi dieci anni l’incidenza di povertà individuale tra gli occupati ha avuto un incremento progressivo che sembra non arrestarsi. I dati ISTAT (2024) mostrano come l’incidenza di povertà individuale tra gli occupati abbia avuto un incremento di 2,7%, passando dal 4,9%nel 2014 fino al 7,6% nel 2023. Sussistono marcate differenze a seconda del tipo di occupazione: ad esempio, se si ha una posizione da dirigente, quadro o impiegato l’incidenza si attesta al 3,1%, mentre balza al 14,6% se si svolge un lavoro da operaio o assimilato. In secondo luogo, è stato analizzato il reddito di cittadinanza durante il suo periodo di vigenza (aprile 2019-dicembre 2023). La partecipazione risulta superiore alla media specificamente per alcune categorie, come ad esempio per i residenti nelle regioni del Sud e delle Isole; i nuclei composti da una sola persona o esclusivamente da adulti; le famiglie di soli italiani; i nuclei residenti in affitto. In dettaglio, le elaborazioni all’uopo prodotte dai più importanti enti tecnici e, segnatamente, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), hanno chiarito in numeri l’estensione dello strumento. In terzo luogo, si intenderà dedicare uno spazio importante alle politiche attive per il lavoro con l’ambizione di tracciare gli elementi che in particolare hanno ostacolato lo sviluppo e il successo della misura. Nel confronto con le principali economie europee (Germania-Spagna-Francia), l’Italia è quella che ha destinato una quota di spesa pubblica per le politiche attive (0,25% nel 2020, ultimo anno in cui sono disponibili i dati per tutti i Paesi) inferiore rispetto al PIL. Per meglio comprenderne la portata sono stati esposti i dati statistici che concernono il percorso relativo alla sottoscrizione del “Patto per il lavoro” e la distribuzione dei beneficiari in base all’area geografica, età e genere. L’analisi ha compreso anche le probabilità di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro nell’ambito del Programma GOL: l’attività di riqualificazione (reskilling) rappresenta il percorso maggiormente considerato dai 124.541 beneficiari soggetti al PPL. L’analisi della valutazione dell’impatto delle prestazioni del reddito di cittadinanza secondo la relazione di maggio 2024 redatta dal Comitato Scientifico all’uopo designato è risultata fondamentale per individuare i pregi e le criticità unitamente alle relative raccomandazioni per configurare uno strumento maggiormente efficiente. Interessanti sono anche i primi dati disponibili sulle nuove misure contro la povertà (Assegno di inclusione; Supporto per la formazione e il lavoro). Da ultimo, sono state messe a sistema le principali soluzioni individuate in Europea e che indicano un orizzonte che l’abolizione del reddito di cittadinanza parrebbe non aver seguito. Una qualche forma di reddito minimo garantito è prevista anche in quasi tutti i paesi dell’Unione europea, in attuazione dell’articolo 34, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nel quale espressamente si riconosce il diritto a «un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti»; e, più specificatamente, in ottemperanza alle numerose raccomandazioni e risoluzioni che indicano il reddito minimo garantito come «uno dei modi più efficaci per contrastare la povertà, garantire una qualità di vita adeguata e promuovere l’integrazione sociale». L’Europa chiede anche solidarietà nei confronti dei cittadini in condizioni di bisogno tali da impedire una vita dignitosa mediante l’introduzione di sistemi di reddito minimo garantito (a tutela dei minimi vitali) per superare la povertà e sostenere l’integrazione sociale. Sul punto, molto rilevante è la recente Raccomandazione del Consiglio d’Europa (2023/C 41/01) del 30 gennaio 2023. Nel quinto e conclusivo capitolo, è stata condivisa l’attività di ricerca svolta presso le biblioteche di due delle più prestigiose Università nel panorama globale: l’“HARVARD LAW SCHOOL” (Cambridge, Massachussets) e l’“UNIVERSIDAD DE BUENOS AIRES” (Buenos Aires, Argentina). La scelta di svolgere tale attività nel continente americano si è basata su due motivi. Gli Stati Uniti rappresentano il principale Paese dell’America del Nord nonché una delle più avanzate economie dove si concentrano le più importanti Università del mondo, come quella di HARVARD che ogni anno mantiene le prime posizioni nelle classifiche internazionali più accreditate all’uopo stilate. Già dal secolo scorso, negli Stati Uniti economisti e le menti più raffinate si sono dedicati a studiare possibili implementazioni, strutturali, di un reddito universale o sue figure affini. Nella sua opera La Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936) John Maynard Keynes ha identificato problemi essenziali delle società economiche nell'incapacità di garantire piena occupazione e una distribuzione arbitraria e ingiusta di ricchezza e reddito. In tempi più recenti, si pensi a Milton Friedman, premio Nobel per l’Economia nel 1974, celebre anche per l’aforisma «Nessun pasto è gratis» (divenuto l’emblema di una filosofia economica di stampo liberista), che nel 1962 propose la cd. imposta negativa (Negative Income Tax - NIT), vale a dire un sussidio automatico in denaro che cala all’aumentare del reddito e riconosciuto a tutti coloro che hanno ricavi sotto una certa soglia per alleviare la povertà. La NIT, secondo Friedman, viene ritenuta come il tipo ideale di basic income. L'idea non lasciò indifferenti gli studiosi più attenti dell'epoca: nel 1967, gli economisti Tobin, Pechman e Mieszkowski elaborarono una proposta alternativa dimostrando che l’introduzione del reddito minimo avrebbe contribuito in maniera sostanziale ad aumentare il reddito dei più poveri. Nel 1968 veniva pubblicata sul New York Times una lettera aperta autorevoli accademici americani (John Kenneth Galbraith, Harold Watts, James Tobin, Paul Samuelson, and Robert Lampman e altri mille economisti) che affermava così: «The Country will not have met its responsibility until everyone in the nation is assured an income no less than the officially recognized definition of poverty». L’esperienza statunitense, tra le altre cose, ha nel tempo lanciato numerosi progetti pilota di reddito garantito (molte sperimentazioni si sono svolte negli anni ‘70; altre sono in atto): i risultati sono stati pressoché soddisfacenti in quanto le sperimentazioni avrebbero migliorato la qualità della vita – sotto diversi aspetti – della platea dei beneficiari che versava in stato di povertà. Rilevante è il caso dell’Alaska al quale la letteratura sul reddito di base è solita dedicare uno spazio rilevante in quanto è l’unico Paese al mondo dove si riconosce un reddito di base: si tratta dell’Alaskan Permanent Fund (istituito nel 1976) che utilizza i profitti derivanti dall’utilizzo delle riserve petrolifere. Nel Welfare statunitense di oggi, inoltre, una trattazione speciale è stata dedicata all’Earned Income Tax Credit (EITC), vale a dire un beneficio condizionato al percepimento di un reddito da lavoro e può assumere la forma di un credito fiscale se si pagano le tasse in misura superiore all’ammontare del sussidio o in denaro se l’ammontare di tasse dovute è inferiore al sussidio. Si tratta di un importante strumento perché è la dimostrazione di come uno strumento tributario che consente di aiutare i lavoratori a reddito medio-basso (working poors), senza determinare una diminuzione dei loro incentivi al lavoro. Passando ai programmi sociali sudamericani, Alcune stime recenti fornite dalla Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) mostrano come la situazione nell’America Latina sia tutt’altro che incoraggiante. Su un totale di 667.889 milioni di persone, la povertà estrema è pari al 10,6%, un tasso di occupazione della popolazione attiva del 6,2%. L’Argentina in particolare, invece, è uno dei Paesi più rappresentativi dell’America meridionale (la terza economica di questa sfera del globo) ma, sicuramente, quello più vicino all’Italia per tradizione e cultura. Rispetto agli Stati Uniti la situazione macroeconomica è molto distante perché l’Argentina è contraddistinta da forti disuguaglianze economiche e sociali. In particolare, la povertà dilaga arrivando nel 2024 a superare addirittura il 50% della popolazione con quasi 47 milioni di abitanti costretti a vivere sotto la soglia di indigenza. Le cifre sono simili a quelle registrate dopo la ben conosciuta crisi argentina del 2001, a causa soprattutto di un’inflazione che sembra inarrestabile. Si è ricordato che nel 2003, all'inizio della presidenza di Néstor Kirchner, la povertà affliggeva il 55% della popolazione, con il 25% in condizioni di estrema povertà. Insomma, l’attuale situazione economica argentina è disastrosa al punto che l’attuale presidente in carica (Javer Milei), durante il suo insediamento del 2023, ha dovuto annunciare riforme shock nel segno dell’austerity per risanare l’economia del Paese. Purtuttavia, il Governo ha attuato misure di protezione sociale che comprendono il raddoppio in termini nominali dei principali programmi sociali (es. assegno familiare universale) al fine di evitare una vera e propria esplosione sociale. Al contempo, nonostante le assolute necessità, è interessante notare come, attraverso i sussidi in corso, la Nazione persegua comunque lo scopo di favorire l’inserimento nel mercato del lavoro dei percettori e sia impegnata, altresì, a consolidare e migliorare la qualità dell’occupazione (si pensi, ad esempio, al programa Fomentar Empleo). I numeri sono dalla parte delle politiche di Milei: l’economia argentina, che era entrata in recessione negli ultimi mesi del 2023, è tornata positiva nel terzo trimestre del 2024, con una crescita del 3,9% rispetto ai tre mesi precedenti. Secondo le previsioni degli economisti interrogati dalla banca centrale di Buenos Aires l’economia dovrebbe crescere del 4,5% nel 2025. L’inflazione è in caduta: quando Milei è stato eletto, era al 211%, ora è attorno al 3% mensile, il che significa che, se manterrà la tendenza, potrebbe finire l’anno attorno al 25-26%, livello che ha sempre di gran lunga superato dalla primavera del 2018. Nel 2024 anche il pesos è stato la valuta che, in termini reali, più si è apprezzata al mondo: rispetto a un paniere di valute di Paesi partner commerciali si è rafforzata di oltre il 40%. Le logiche tra i due Paesi studiati sono completamente differenti: mentre per gli Stati Uniti (Donald Trump) la tendenza è al protezionismo e ai dazi e al ritorno delle politiche industriali con un ruolo crescente degli Stati nell’economia, l’Argentina (Javier Milei) va insomma nella direzione opposta. Lo studio comparatistico condotto ha quindi consentito, senza presunzione alcuna, di analizzare gli approcci oltreoceano sulle misure sociali, in specie quelli di contrasto alla povertà, per individuare e valutare logiche che possono essere altrettanto attratte anche nel nostro Paese in chiave innovativa e programmatica. In nuce, sulla base del percorso svolto, l’idea di un reddito di cittadinanza incondizionato, ovvero un trasferimento monetario al singolo da parte dello Stato, che sia indipendente da vincoli e obblighi, è all’oggi un’utopia che difficilmente può diventare realtà. Orientarsi verso schemi di reddito minimo garantito sembra invece, allo stato attuale, anche nel solco dei principi europei, l’unica risposta accettabile ai dilemmi sociali del lavoro di questo tempo. La politica in questo settore deve sforzarsi di compiere una valutazione prognostica per verificare come una misura si può imporre nella società futura, piuttosto che limitare la proiezione per accontentare solamente il binomio dettato dalle contingenze in corso e dai, comunque imprescindibili, vincoli dei saldi di finanza pubblica. L’esperienza statunitense che è stata oggetto di studio comparatistico si mostra attrattiva per il dibattito italiano odierno. Anche se complesso, il quadro di tassazione e del Welfare degli Stati Uniti si può definire come di successo in quanto consente di coniugare, contemporaneamente, il sostegno del reddito dei lavoratori più poveri con forti incentivi al lavoro. L’apporto della scienza giuridica è fondamentale poiché fornisce consapevolezza del substrato normativo necessario per valutare se e come un istituto o una misura funziona e come eventualmente correggerne normativamente gli effetti non desiderati ovvero aggiornarla in base alla morfologia che il lavoro assume. La leva (extra)fiscale non può che essere fondamentale. Il reddito garantito, di per sé, non è la soluzione all’attuale crisi globale ma ne è la base. Per questo motivo la vera sfida non è solo quella di trovare meccanismi capaci di mantenere “posti di lavoro” altrimenti prossimi alla scomparsa nell’immediato futuro, ma anche la creazione e distribuzione del reddito per dare una direzione nel medio-lungo periodo a vantaggio del benessere comune. Un moderno reddito di cittadinanza non potrà prescindere da un ripensamento della fiscalità, nel senso anzidetto nella dimensione del Welfare State orientato alle politiche attive del lavoro, poiché è in tale ambito che la funzione tributaria assolve un compito essenziale del patto democratico, incidendo sulla portata e sulla fruibilità dei diritti fondamentali dell’individuo.

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