Thesis title: Vulnerabilità sismica e patrimonio archeologico. Una proposta di valutazione speditiva per la conservazione dell’architettura allo stato ruderale
La ricerca si pone l’obiettivo di sviluppare un sistema di lettura strutturale delle preesistenze archeologiche allo stato di rudere, così da stimarne la vulnerabilità sismica a scala territoriale in coerenza con le valutazioni speditive di primo livello definite dal vigente quadro normativo.
Tale lavoro può aiutare a individuare le priorità d’intervento per la messa in sicurezza e la riduzione del rischio sismico di siti e complessi archeologici, consentendo di definire una graduatoria relativa alla vulnerabilità dei resti, anche in considerazione della loro eterogeneità costruttiva, morfologica e conservativa.
L’esame preliminare della normativa relativa alla valutazione e alla riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale ha consentito di chiarire come, allo stato attuale, le procedure per il controllo della vulnerabilità sismica del patrimonio archeologico diffuso su vasta area non abbiano ancora trovato soluzioni operative specifiche.
Sebbene il rischio sismico costituisca una minaccia rilevante per i resti archeologici, l’attenzione per le problematiche riguardanti la loro protezione e salvaguardia è il risultato di un graduale processo di sensibilizzazione culturale avviato solo agli inizi degli scorsi anni Novanta.
Per diverso tempo si è infatti ritenuto che i beni allo stato di rudere fossero poco vulnerabili all’azione sismica e che i crolli indotti dai terremoti fossero esclusivamente causati dal loro secolare abbandono.
In risposta ai limiti di una politica d’intervento puntuale post-danno, la normativa ha gradualmente spostato l’attenzione sul tema della prevenzione del rischio sismico, rimarcando l’esigenza di strumenti di valutazione e controllo della vulnerabilità a scala territoriale. Le Linee Guida Mibact 2011 hanno infatti introdotto modelli analitici semplificati (di tipo ‘LV1’) per tipologie architettoniche distinte, non contemplando, tuttavia, i beni archeologici.
L’esame di alcuni modelli di gestione applicati in aree archeologiche italiane, come quelle di Roma, Ostia Antica e Pompei - tutti accomunati dall’intento di sperimentare conoscenze utili a orientare le attività ispettive, manutentive e di mitigazione del rischio rispetto ai processi di alterazione e deterioramento dei resti archeologici – dimostra inoltre l’utilità di una programmazione strutturata, in grado di facilitare il pronto intervento in caso di emergenza e di calibrare tempi e risorse disponibili.
Fra le esperienze di gestione prese in esame, si segnala quella sull’Area Archeologica Centrale di Roma e sul Parco Archeologico di Ostia Antica messa a punto fra il 2009 e il 2011 (nell’ambito del piano d’interventi urgenti per la messa in sicurezza del patrimonio archeologico, coordinato da Roberto Cecchi), in occasione della quale è stato proposto uno ‘Schema di Linee guida per la conservazione delle architetture di interesse archeologico’, che rappresenta un tentativo d’integrazione dei contenuti delle Linee Guida Mibact per una possibile applicazione all’architettura ruderale. Parallelamente, è stato dedicato un approfondimento specifico allo studio del sistema informativo Carta del Rischio del MiC e, in particolare, alle schede ‘Manufatto Archeologico’ e ‘Vulnerabilità Sismica’.
La ricognizione dei modelli qui richiamati ha evidenziato come la difficoltà insita nelle analisi di primo livello (di tipo ‘LV1’) riguarda soprattutto la necessità di bilanciare le esigenze speditive e l’affidabilità dei risultati ottenibili. Queste diverse istanze si traducono nei differenti approcci assunti dai modelli in uso, i quali privilegiano, in alcuni casi, la dimensione prettamente analitica e quantitativa del calcolo, in altri quella prevalentemente qualitativa, legata alla comprensione della vicenda storico-costruttiva e conservativa del bene.
Tale approfondimento ha quindi consentito di mettere in luce necessità e carenze della ricerca in questo settore d’interesse e d’individuare la possibilità d’impiego di nuovi strumenti.
La proposta formulata all’interno della ricerca indica una possibile implementazione dello stato dell’arte, da un lato orientata a coniugare la dimensione analitica con la conoscenza delle peculiarità costruttive e conservative che condizionano il comportamento strutturale delle rovine, dall’altro mirata a mantenere un approccio speditivo nei confronti della lettura strutturale e della stima della vulnerabilità in condizioni sismiche. Per meglio circoscrivere l’ambito di studio, si sceglie di tralasciare i ‘beni compiuti in sé’, che mostrano un comportamento strutturale d’insieme riconducibile a quello degli edifici storici ancora in uso, focalizzando l’attenzione sui ‘beni allo stato di rudere’, privi di connessioni e sopraggiunti in uno stato frammentario rispetto alle architetture d’origine. Si predilige, pertanto, lo studio diretto di alcuni resti e componenti di fabbrica selezionati all’interno del Foro Romano, scelto come caso studio, elaborando una proposta di abaco di tipologie strutturali che consente di cogliere in modo quali-quantitativo il comportamento strutturale di resti eterogenei.
La dissertazione si articola attraverso contributi tematici specifici che mirano a restituire il percorso di ricerca svolto in vista delle motivazioni e degli obiettivi preposti.
In primo luogo si inquadra il problema della protezione preventiva del patrimonio archeologico dal rischio sismico, ripercorrendo l’evoluzione della normativa nazionale di settore e proponendo un primo bilancio sui limiti e sulle possibilità d’implementazione degli strumenti in uso.
A seguire si richiamano le caratteristiche del comportamento strutturale dell’architettura storica compiuta, evidenziando le analogie e le discontinuità rilevabili con i resti archeologici. Si circoscrive, pertanto, l’ambito di ricerca ai resti privi di connessioni e ridotti allo stato di rudere, illustrando un possibile sistema d’indagine basato sull’individuazione gerarchica di specifiche ‘morfologie strutturali’.
Successivamente si propone un approfondimento della storia sismica di Roma, focalizzando l’attenzione sugli effetti prodotti dagli eventi di maggiore intensità attraverso la presentazione dei risultati ‘archeosismologici’ disponibili per l’Area Archeologica Centrale. Di seguito si approfondiscono i sistemi antisismici impiegati nell’architettura romana classica, rappresentativi di una coscienza sismica che è andata esplicitandosi attraverso riparazioni post-danno, convogliate in specifiche soluzioni costruttive.
L’approfondimento storiografico proposto per il Foro Romano, scelto come caso di studio, ripercorre per punti salienti le principali fasi di genesi e trasformazione del sito, nonché gli esiti delle campagne di scavo condotte a partire dalla riscoperta ottocentesca. Tale lavoro evidenzia l’influenza che i repentini scavi e rinterri, assieme agli interventi di restauro dei rinvenimenti, possono aver avuto sul loro assetto strutturale. Il contributo storiografico si conclude con il resoconto della programmazione dei provvedimenti urgenti per la protezione delle strutture snelle e in grandi blocchi lapidei condotta a partire dagli scorsi anni Ottanta dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, sulla base della documentazione acquisita presso l’archivio corrente del Parco Archeologico del Colosseo.
A seguire vengono illustrati la lettura strutturale dei monumenti archeologici scelti nel Foro Romano e i tracciati schedografici elaborati nell’ambito della proposta formulata nella presente ricerca.
Completano questa parte l’approfondimento dei meccanismi di danno potenzialmente attivabili per le strutture indagate e la presentazione dei modelli di calcolo della vulnerabilità ricercata.
In ultimo si esplicitano i risultati ottenuti a valle degli approfondimenti storico-critici e analitici eseguiti e la graduatoria della vulnerabilità delle strutture analizzate.
La dissertazione si completa con l’illustrazione di alcune proposte operative formulate in vista di una possibile implementazione degli strumenti di primo livello in uso nell’attuale quadro normativo.