ANTONINO CAMPAGNA

Dottore di ricerca

ciclo: XXXV


supervisore: Serena Di Nepi; Guillaume Calafat

Titolo della tesi: Roma nel sistema della schiavitù mediterranea (1580-1612)

Questa ricerca ricostruisce i primi anni di azione dell’Opera pia dell’Arciconfraternita del Gonfalone di Roma e delle sue attività di riscatto sul mercato della schiavitù mediterranea. Precisamente, all’interno del mercato dei riscatti di Algeri. Il lavoro si sofferma sul periodo che va dal 1581, anno della fondazione dell’Opera, ai primi anni del XVII secolo, periodo in cui le attività dell’Opera pia si interrompono definitivamente. La ricerca ha preso le mosse dai lavori sul Mediterraneo e sul mercato di schiavi e captivi che vi si svolgeva, ma particolare attenzione è stata dedicata alle scelte locali e romane dell’Opera pia, dei papi che la sostennero (Gregorio XIII e Sisto V) e al loro muoversi su più piani spaziali: urbano, italiano e mediterraneo. In che modo Roma s’interfacciò al mercato dei riscatti? Quali furono le strategie impiegate e le motivazioni della brusca interruzione dell’attività? L’analisi è stata condotta con approccio microstorico. Le fonti utilizzate in questo lavoro sono quelle dell’Opera pia del Gonfalone, conservate presso l’Archivio Apostolico Vaticano. Il confronto con i testi ha anche permesso di identificare il notaio che lavorava per l’Opera pia: Evangelista Ciccarelli, i cui figli e collaboratori offrirono servizio all’Opera anche dopo la sua morte. Inoltre lo spostamento dell’indagine nei registri dei 30 notai capitoli conservati presso l’Archivio di Stato di Roma ha portato alla luce il ruolo inedito (e finora sconosciuto) dei banchieri Bandini. Ad un tempo, il clan di finanzieri fu il supporto dell’attività di redenzione e la prima causa, da quanto individuato nelle fonti, del suo crollo. Il filtro economico e mercantile permette di riorientare anche la questione politica, così centrale nella storia del Mediterraneo. Nella prima età moderna Roma era un centro in espansione. Emersa vittoriosa dal tridentino, l’Urbe era intenta a esercitare una politica di consolidamento del potere interno a discapito delle realtà locali e delle elité urbane comprese nel suo dominio temporale. A ciò s’aggiunse una politica internazionale di progressivo allontanamento dalla sfera d’influenza spagnola, rivendicando una propria autonomia politica e diplomatica. L’approcciarsi di Roma al mar Mediterraneo e, soprattutto, alle realtà musulmane che su di esso s’affacciavano, fu mediato dall’istituzione che faceva, di quel dialogo, la propria ragion d’essere. Alcuni importanti membri dell’Ordine ignaziano videro nell’attività di riscatto una declinazione particolare della missione apostolica gesuitica, dalle fonti pare ch’essi operarono per iniziativa personale, tenendo nei confronti dell’Istituzione di Loyola un rapporto ambiguo, tra la dipendenza e la giustificazione. Le opere inedite esaminate nel lavoro permettono di cogliere il senso apostolico dato da alcuni padri della compagnia alle redenzioni dei captivi. Per tutti questi motivi, per lo stretto legame tra reti finanziarie, diplomazia e interessi politici questo lavoro propone al dibattito la categoria di reciprocità conflittuale. La reciprocità nel conflitto diviene reciprocità grazie al conflitto: è ciò che avvenne per Roma, il cui unico strumento per rapportarsi con l’alterità delle sponde meridionali del mare interno fu l’Opera pia. Le redenzioni, dunque, vennero utilizzate per aprire un dialogo con il mercato algerino e il mondo della Reggenza le cui elites non esitarono ad andare incontro all’istituzione in caso di necessità. Sulla base di un conflitto, della guerra di corsa, lo Stato Pontificio e la Reggenza d’Algeri strinsero rapporti motivati dal reciproco bisogno d’espansione della propria influenza.

Produzione scientifica

Connessione ad iris non disponibile

© Università degli Studi di Roma "La Sapienza" - Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma