Titolo della tesi: Paesaggi della protesta. Mappe e fenomenografie di atmosfere collettive
Nonostante l’ovvietà secondo cui ogni azione ha necessariamente luogo da qualche parte, lo spazio è rimasto a lungo un aspetto poco indagato nelle analisi sulle mobilitazioni collettive.
Negli studi urbani, infatti, solo a partire dagli anni 2000 comincia a diffondersi una sensibilità sul tema della dimensione spaziale delle proteste. Nessuno studio, però, indaga direttamente il fenomeno a partire dalla prospettiva delle atmosfere, intese come “quasi-cose” che abitano una determinata situazione spaziale (Böhme, 1993; Schmitz, 2011; Griffero, 2013).
Anche la disciplina del paesaggio, da qualche anno, considera le atmosfere come traiettoria teorica di riferimento. Tale concetto infatti “nomade” migra, circola, traduce – e tradisce – le sue origini filosofiche, sulla base di volta in volta, di ulteriori fecondi intrecci disciplinari.
A tal proposito, la prospettiva delle atmosfere affettive (Anderson, 2009) e delle atmosfere urbane (Gandy, 2017) precisa il concetto attraverso un accento culturale e politico, considerando le atmosfere come fenomeni corporei condivisi. Se alcuni autori parlano di atmosfere collettive (Runkel, 2018; Trigg, 2020) altri di ambiances politici (Masson, Thomas 2020), anche questo studio, lavorando in continuità con questi, si prefigge di coniugare la questione di una aistetica come teoria della conoscenza sensibile con i processi sociali e le dinamiche di potere che animano lo spazio.
Così come l’atmosfera è un concetto vago, anche il paesaggio, infatti, pur godendo di una certa diffusione, non conosce univocità in termini di definizione. Definiamo “paesaggi della protesta” quella condizione alterata ed eccitata di paesaggio, attraverso cui emergerebbe in modo più nitido lo spessore sempre atmosferico di questo.
Questi rappresentano infatti da un lato un’occasione di indagine rispetto alle teorie sul paesaggio, dall’altro uno spazio di sperimentazione in termini di nuovi codici – mappe e fenomenografie – in grado di descrivere la complessità, sociale e atmosferica, del reale.
La folla – con riferimento alla fenomenologia di Elias Canetti – e la capanna in senso lato – con riferimento alla modalità di presidiare il territorio dei “nuovi Walden” attivisti ambientalisti – individuano due forme della contemporaneità del paesaggio della protesta, declinate secondo un minimo comun denominatore: la dimensione affettiva. Se la prima rappresenta un vettore di affetti, attraverso il fenomeno della “trasmissione” e della “risonanza” (Brennan, 2004; Rosa, 2020), la seconda identifica il campo di protesta come “infrastruttura affettiva” (Näre, Jokela, 2023), attraverso ripetizioni di rituali e pratiche condivise. In tal senso, anche i due casi di studio – il movimento anti-ELAB di Hong Kong 2019-2020 e la ZAD di Notre-Dame-des-Landes – documentano i paesaggi della protesta come cifra del nostro tempo. Non necessariamente a confronto, ma come estratti di particolari manifestazioni di un più ampio insieme, entrambe queste condizioni di protesta, attraverso uno sguardo fenome¬nologico, intendono fotografare trame invisibili e inafferrabili, le une nascoste nei boschi negli interstizi del capitalismo, le altre velocissime, in grado di sfuggire anche ai super-panottici dei sistemi tecnologici più avanzati.
Tale studio identifica un tentativo di indagare lo spazio vissuto di alcuni paesaggi della protesta, attraverso la costruzione di una metodologia di indagine che tenta di ibridare mappe e fenomenografie. In termini più generali, si posiziona in un intermezzo disciplinare che tiene insieme l’istanza estetica e sociale del paesaggio, suggerendo secondo una certa “chiamata” del nostro tempo, alcuni accenti su questioni centrali della contemporaneità, fra cui si menzionano i termini “precarietà” e “atmosfera”.